Ho conosciuto Mauro più di trent’anni fa, quando, cronista
di Stampa Sera, raccontai di questo giovane che andava a cavallo per le
montagne del Piemonte, partendo dalla sua casa di Giaveno in val Sangone.
Faceva coltelli, rifaceva indumenti dei nativi americani, cercava di fare suoi
i modelli di vita dei nomadi delle pianure. In tanti anni radunò intorno alla
sua idea un gruppo di amici selezionando precise parole d’ordine come libertà, silenzio,
umiltà, cura degli animali, assoluto rispetto per la natura, rusticità di
comportamento, eliminazione del superfluo e dell’inutile. Tutto sommato un
disadattato, negli anni duemila. La barba, gli occhiali rotondi, sovente
sbrindellato, insomma tutto il contrario dello stereotipo legato alla vita
militare. Col tempo si è fatto anche poeta visionario a suo modo, distratto in
apparenza, ma attento al progredire dei tempi e quindi sovente
sempre più inselvatichito e poco allegro.
Poi gli successe un innamoramento per i muli dell’artiglieria
da montagna, incontrati fortuitamente su una mulattiera (naturalmente), in una
delle tante uscite in sella tra boschi e praterie. E scattò una molla, perchè
da anarcoide bastian contrario, amante delle cause perse, vide il tramonto di
un’epoca legata alle salmerie militari, legando subito con ufficiali e
conducenti, nonostante il suo aspetto da lui stesso definito inquietante, se
paragonato ai formalismi della naja. Tra l’altro è sicuro che l’insieme delle regole
da caserma, la disciplina, l’uniforme, saluti, rigide gerarchie,
scartoffie, sarebbero intolleranti al
cavaliere errante.
Ma sotto sotto ci sono concrete parentele con gli alpini:
sono la vita in montagna, fatica e autosufficienza, i bivacchi e la
solidarietà, l’epica del soldato, che volenti o nolenti, ha il suo fascino,
prescindendo dalla retorica, dagli orrori della guerra e dalla stolidità degli
Stati Maggiori. In più ci sono gli uomini che vanno per le montagne, coriacei e
ogni tanto scavezzacolli, accompagnati da quello strano quadrupede ibrido,
lunatico e tenace, paziente, frugale,
capace di immense fatiche portate fino allo sfinimento. Amato e vezzeggiato dai
conducenti, i “drugiot”, in piemontese, vocabolo derivato da “drugia”, il
letame della scuderia.
il campo è finito
si torna in caserma
i quadrupedi salgono sui biga
la "bella" fatica è finita, ricominacia la routine, guardie e servizi
nota
quante volte l'ak ha caricato i cavalli sui camion così
una volta la stradale ha fermato i nostri camion
sono stati gentili, non hanno fatto verbali
ma hanno detto
"ragazzi non fatelo più, le cose cambiano e le sanzioni arrivano"
non abbiamo più caricato i cavalli sui camion
era bello tornare a casa con loro, sui cassoni oltre ai cavalli e
al materiale si sistemavano anche i cavalieri che non trovavano spazio
in cabina,
l'aria portava via sudore e stanchezza restava la gioia dell'uscita
restava nelle giacche e sulla pelle
per noi aroma d'avventura
per loro fastidioso lezzo
nota
non riesco a capire perchè non riesco a soffrire il quotidiano
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