SOMMARIO
Anno VI
Numero 1
Marzo 2014
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ARCHIVIO
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Il Kila o Phurba tibetano
di Pier Vittorio Stefanone
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Osservando
attentamente un Kila (in sanscrito o Phurba in tibetano) vengono
spontanee alcune perplessità sulla possibilità che
quell’oggetto possa essere stato definito come
“pugnale”, specie considerandone la maneggevolezza e la
praticità dell’uso, sebbene il termine kila o kilaya possa
essere correttamente tradotto come “trafiggere, inchiodare”.
Il termine di pugnale magico va quindi rivisitato o, quanto meno,
interpretato più correttamente: sarebbe più esatto
definire il Phurba come un particolarissimo picchetto usato dagli
sciamani mongoli quale deterrente, allo scopo di proteggere i nomadi
che dormivano in tende sperdute in steppe credute popolate da creature
demoniache.
Questi picchetti (generalmente quattro), dalle lame prive di filo,
venivano piantati ai quattro lati della tenda creando una sorta
di… area protetta a struttura quadrangolare, entro la quale le
persone si trovavano al sicuro da ogni malefizio ordito contro di loro.
Lo sciamanesimo mongolo si diffuse anche in Tibet grazie soprattutto
alla religione Pön (o Bön), preesistente all'arrivo in quella
regione del Buddhismo.
Questa religione si fondava su una sorta di animismo magico incentrato
sulla figura di un sacerdote psicopompo cioè capace di entrare
in contatto con l’aldilà, con gli antenati e con gli
spiriti della natura.
Il suo compito principale era quello di eseguire rituali e pratiche divinatorie.
Questi sacerdoti erano considerati in grado di dominare le misteriose
energie del mondo naturale e di penetrarne i segreti attraverso poteri
che derivavano loro da profonde conoscenze esoteriche.
I sacerdoti bon-po avevano inoltre il compito di proteggere il monarca
e l'intera comunità dei fedeli dall'azione di quelle forze
negative che si riteneva fossero la causa prima di malattie, di
calamità naturali e della morte stessa.
Di conseguenza questi picchetti Phurba possono essere oggi considerati
come parte integrante della ritualità del buddhismo tibetano
lamaista.
In altre parole, quando consacrato e destinato al suo uso più
intrinseco, il Phurba può essere considerato come una
manifestazione di Vajrakilaya.
L'irato heruka Vajrakilaya è una yidam (oggetto di meditazione),
che si manifesta in forma di un dio irato ma ancora intensamente
compassionevole al fine di soggiogare l'illusione e la
negatività che possono ostacolare la pratica del Dharma,
rimuovendo gli ostacoli e distruggendo le forze ostili che si oppongono
alla compassione e alla purificazione da possibili manifestazioni
di… inquinamento spirituale.
Il Phurba può essere costruito con materiale diverso: legno,
metallo, argilla, osso, corno, cristallo ed anche thog lcags
(cielo-ferro) cioè ferro ricavato da meteoriti, di un colore che
tende all’azzurro; è usato da sciamani e tantrici da varie
etnie: Tamang, Gurung, Newari (tribù tibetano-birmane) e anche
da popolazioni tibetane migrate in Nepal.
Lo sciamano, per mettersi in contatto con gli spiriti e le
divinità della terra, la trafigge con il Phurba, mondandola da
spiriti malvagi e rendendola adatta ad essere luogo di preghiera.
Questa idea di trafiggere e immobilizzare la terra si rivela sovente
nella tradizione sciamanica tibetana, a tale proposito Kerrigan (1998)
asserisce che “…le montagne erano pioli giganti che
tenevano la Terra al suo posto, impedendole di muoversi…”.
Ne deriva che monti come l’Amnye Machen, (adorato come
divinità dal popolo Ngolok, che si erge nel Chinghai e che
leggende misteriose narrano avere un’influenza nefasta su tutti
coloro che osano avvicinarla) siano stati trasportati da altri mondi
per quel preciso scopo.
Per curare le malattie lo sciamano usa generalmente Phurba in
legno e trafigge verticalmente, ad esempio, una ciotola di riso, con lo
stesso intrinseco significato esorcistico con il quale penetra il
terreno.
Così come le lame vengono utilizzate per la distruzione dei
poteri demoniaci, l’estremità dell’impugnatura serve
ai tantrika per elargire benedizioni. Müller-Ebelling (2002)
descrivono l’ intervento d’un sacerdote tantrico Newari
della valle di Kathmandu, definito come Gubajus: per curare un bimbo
malato, costui immerse il Phurba in una ciotola d’acqua,
rimestando e pregando, poi quell’acqua venne fatta bere al
piccolo paziente.
Per noi, usi alla medicina occidentale, rimane il tarlo del dubbio: non
ci è dato di sapere se guarì…. ( né
Müller-Ebelling ce lo svelarono).
Descrizione del Phurba o Kila
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Impugnatura: rappresenta la saggezza Lama: rappresenta gli abili mezzi
L’impugnatura del Phurba è generalmente ottogonale.
Inizia con tre teste di divinità (n°1), Yamantaka, Amrita
Kundalin e Haryagriva. A volte al loro posto è raffigurata una
testa di cavallo che è il simbolo di Haryagriva, in altre ancora
è raffigurata solamente il volto di Vajrakila nelle sue tre
manifestazioni: una gioiosa, una serena ed una adirata .
Due nodi infiniti (n°2 e n°4) delimitano otto petali di loto
(n°3) i cui vertici si toccano in una specie di rigonfiamento a
metà dell’impugnatura, conferendole una forma ottagonale.
Questa configurazione simboleggia, sotto il punto di vista
esoterico, l’unione della goccia rossa con la goccia bianca di
bodhicitta (Mente del Risveglio), che racchiude la “goccia
indistruttibile” nel chakra del cuore ed i suoi otto canali.
I due nodi infiniti, posti alle estremità dei petali di loto
rappresentano uno degli “otto simboli di buon auspicio” (
gli altri sono: il fiore di loto, il parasole, i pesci d’oro, il
vaso della ricchezza, la conchiglia, il vessillo di vittoria e la ruota
di Dharma).
Questi “Otto Preziosi Simboli”, costituiscono uno dei
più antichi gruppi di simboli della cultura tibetana che erano
utilizzati come oggetti rituali o comunque identificati come segni di
prestigio. Gli otto simboli di buon augurio si trovano spesso
rappresentati sulle kate (la sciarpa tibetana di buon auspicio e
benedizione), su arazzi, su bandiere, braccialetti e collane
nonché su decorazioni di muri e travi.
Vengono anche raffigurati sul terreno con polvere bianca quando
è previsto il passaggio di qualche importante personalità
religiosa o civile.
Il nodo infinito (in sancrito srivatsa, in tibetano dpal be’u)
è un nodo chiuso composto da linee intrecciate, molto utilizzato
dall'iconografia tibetana; spesso viene paragonato al simbolo
nandyavarta, una variante della svastika.
Per il buddhismo tibetano è un simbolo classico del modo in cui
tutti i fenomeni sono interdipendenti tra loro e, non avendo né
inizio, né fine, simboleggia anche l'infinita conoscenza e
saggezza del Buddha e l'eternità dei suoi insegnamenti.
Abbiamo detto che la forma dell’impugnatura è ottagonale e
ciò da adito a diverse… interpretazioni numeriche:
potrebbe rappresentare le otto divinità che formano il seguito
di Vajrakilaya, oppure il Nobile Ottuplice Sentiero, o anche le Otto
Direzioni o le Otto Conoscenze.
La punta (n°8) è formata dalla convergenza di tre lame
(n°7) uscenti dalla bocca di un Makara (n°5) da dove escono
pure tre serpenti o naga (n°6) .
Il Makara è una creatura fantastica della mitologia indiana. Era
il vahana di Ganga e Varuna e l'insegna di Kama, raffigurato sulla sua
bandiera (dhwaja) Karkadhvaja.
La tradizione lo descrive come una creatura acquatica, a volte
identificato con il coccodrillo, a volte col delfino. In alcune
raffigurazioni ha un corpo di pesce e la testa di elefante. Rappresenta
l'acqua, fonte di vita e di fertilità.
Nell'arte indiana il makara è un motivo ricorrente sulle entrate (toran) di templi e monumenti.
I naga sotterranei sono ritenuti i responsabili delle malattie
legate all’acqua e vengono sottomessi tramite l’azione
irata del Phurba durante il rito di sottomissione della terra.
In altre parole il Phurba serve ad inchiodare al suolo le
divinità-demoni maligni che creano ostacoli ed è
perciò che questo picchetto sacro viene usato per purificare il
terreno, su cui verrà eretta la tenda o un mandala ( Il mandala
e una figura circolare e rappresenta, secondo i buddhisti, il processo
mediante il quale il cosmo si è formato dal suo centro. Le
immagini fisiche con cui esso è rappresentato servono per
costruire il vero Mandala che si forma nella mente della gente e
vengono consacrate solo per il periodo durante il quale è
utilizzato per il servizio religioso poi vengono distrutte) o
un’altra qualsiasi costruzione, proteggendolo da eventuali
interferenze negative.
Le tre lame rappresentano la capacità del Phurba di combattere e
vincere le tre energie negative (mula klesha in sanscrito): il
desiderio (attaccamento, illusione), l’ ignoranza (equivoco) e
l’odio (avversione, paura).
A B C D
Nel suo insieme l’impugnatura può essere ancora suddivisa
in quattro parti: nel nodo infinito superiore è rappresentato il
regno di Buddha (A), nella metà superiore dell’impugnatura
è posto il cielo degli dei senza forma (B) mentre nella sua
metà inferiore è racchiuso il cielo degli dei della
forma (C) infine, nel nodo inferiore (D), che si continua generalmente
con un makara, è situato il cielo degli dei del desiderio.
Fonti bibliografiche e web
• Beer, Robert(1999) The Encyclopedia of Tibetan Symbols and Motifs (Hardcover). Boston MA: Shambhala
• Hummel, Siegbert (2007) "The Lamaist Ritual
Dagger (Phur bu) and the Old Middle Eastern ´Dirk Figures`",
translated by G. Vogliotti, in: The Tibet Journal, vol. 22, no. 4, p.
23-32
• Kerrigan, Michael, Bishop, Clifford &
Chambers, James (1998) The Diamond Path: Tibetan and Mongolian Myth
Amsterdam: Time-Life Books
• Lumir, Jisl (1962) “Ein Beitrag zur
ikonographischen Deutung der tibetischen Ritualdolche“, in:
Annals of the Naparstek Museum, no. 1, Prague, 1962,
• Müller-Ebeling, Claudia; Rätsch,
Christian & Shahi, Surendra Bahadur (2002) Shamanism and Tantra in
the Himalayas, transl. by Annabel Lee. Rochester, Vt.: Inner Traditions
• Mayer, Robert (1999) "Tibetan Phur.pas and
Indian Kīlas", in: The Tibet Journal, vol. 15, no. 1, Dharamsala.
It.Wikipedia.org/wiki/Phurba
www.surja.it
buddismo.forumfree.it |
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