SOMMARIO

Anno VI
Numero 1
Marzo 2014

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ARCHIVIO

 

 

 

 

 EQUITAZIONE E POLITICA

di Mauro Ferraris

premessa

Nella vecchia  Europa la cavalleria è nata con  Carlo Magno, chi aveva un certo numero di servi doveva prestare servizio alle guerre del re con cavallo ed equipaggiamento propri, in quel periodo nascevano gli ideali cavallereschi tramandati dalla letteratura cortese ma non solo.
I cavalieri erano i nuovi guerrieri del medioevo, d’ indole barbarica più che eredi dei soldati  legionari, loro unico compito era far guerra, guerra in casa e in terrasanta. L’aristocrazia possedeva  destrieri, il popolo muli e asini, col passare del tempo questa mentalità non si è modificata del tutto anche se i borghesi hanno cominciato anche loro ad andare a cavallo dopo la rivoluzione francese.
La cavalleria napoleonica è stata espressione di questo cambiamento, passato il sogno dell’Europa unita la cavalleria è tornata ad essere comandata dall’aristocrazia, così in tutti gli eserciti europei compreso quello italiano fino alla seconda guerra. Ricordiamo che  molti ufficiali di “Savoia”o di “Novara” appartenevano alla nobiltà e come negli altri reggimenti.
Il soldato semplice che prestava servizio nella cavalleria subiva severa disciplina, spesso trattato come un servo dagli aristocratici ufficiali (meno degni).
La tradizione popolare vessata dall’aristocrazia prima e dalla borghesia poi aveva preso a detestare coloro che andavano e possedevano un  cavallo
L’ideale cavalleresco aveva perso significato, il cavallo non rappresentava più Nobiltà d’animo bensì privilegio

cavaliere mediovale Colui che poteva permettersi l’equipaggiamento per aver il privilegio di far la guerra del suo Re
contadino Colui che vede passare i signori sulla terra che coltiva

L’equitazione

intesa come “arte dell’andare a cavallo” era fino a pochi anni fa patrimonio esclusivo dell’esercito. Le figure sia nelle aree alte che in quelle basse servivano alla battaglia, il fine era lo scontro, l’alta scuola serviva a farle  imparare. L’Italia, con l’introduzione del metodo “naturale” portò l’arte a livelli mai raggiunti prima( e neanche dopo), ma essa restava patrimonio di una classe precisa appartenente in primo luogo all’aristocrazia superstite e in secondo all’alta borghesia. Ironia della sorte: tutto avveniva all’inizio del ‘900 e coincideva con la fine dell’era della cavalleria. I nomi più importanti della nascente industria automobilistica italiana erano quasi tutti stati ufficiali di cavalleria e guarda caso a Torino, vicina a Pinerolo dove stanziava la scuola di cavalleria dell’esercito.
La macchina cambiava il volto della guerra, il popolo era estraneo tranne i soldati che militavano nei reggimenti a cavallo. Restava alto in un certo senso il vecchio spirito, gli ufficiali potevano essere umanamente discutibili, molti avevano pessimi caratteri, infedeli incalliti alle loro spose ma primi nella carica, primi a morire sul campo di battaglia, noti fatti d’arme accaduti nella campagna di Russia del ‘42 lo ricordano.
Con la fine della guerra e nonostante la  sconfitta dell’Italia, la tradizione equestre nel nostro paese continuava alla grande tanto era radicata portando a casa parecchie medaglie d’oro alle Olimpiadi.
Piero D'Inzeo

Lequio Piero D'Inzeo (sopra) e Tommaso Lequio (a sinistra), tra i più grandi cavalieri di tutti i tempi


L’avversione delle classi meno abbienti verso l’equitazione quindi è facilmente capibile: rancore più o meno sordo del servo verso il padrone, l’intimo astio del villano che zappa la terra mentre il signore ( apparentemente) beato galoppa davanti ai suoi occhi accecati dal sudore.
La volgarizzazione dell’equitazione è avvenuta negli anni ‘80  allontanandosi vistosamente dalla tradizione, la nuova moda introdusse nuovi sistemi, in pochi anni il “metodo” passò di mano portato avanti da altre nazioni che, continuando ad applicarlo, fecero man bassa di medaglie d’oro nei concorsi ippici.
cavalieri odierni Cavalieri odierni

Anche l’etnografia ha fatto la sua parte, capovolgendo l’opinione, i “nostri” non erano più i soldati U.S. ma gli indiani, tutti comunque sempre a cavallo, poi venne la moda country  e con lei l’abbigliamento le danze e le selle western, tutto molto italiano mischiato a fiere, birra e braciole.
Negli anni ‘80 il popolo scoprì che andare a cavallo poteva essere bello, il mercato colse l’occasione del guadagno e scoppiò la moda, il contadino ne tenne uno insieme alle mucche, l’idraulico comprò l’argentino, il fricchettone con i soldi del padre si trasferì in campagna con gli animali.
In breve tempo il “metodo” venne messo da parte e l’equitazione stravolta nel suo essere dalle nascenti esperienze fai da te, patparelliane e animaliste, anche loro condotte nel business da rassegne gare garette. I maneggi fiorirono copiosi, cavallanti improvvisati sostituirono “l’uomo di cavalli”. Così andò fino al passare della moda americana negli anni ‘90, alla grande crisi del 2000 e dulcis in fundo al cambiamento del sistema produttivo nell’attuale recessione.
La prosperità degli anni ‘80 ha permesso al ceto medio di far capolino al mondo del cavallo cosa non permessa prima sia per motivi economici  sia di mentalità. Molti ebbero l’occasione di assaporarne la bellezza, la popolazione equina passò, nel diporto, da pochi esemplari a centinaia di soggetti. Le sellerie aumentarono così pure maneggi e maniscalchi, la fiera di Verona passò da un padiglione negli anni ‘80 ai più di 10 odierni. Il popolo italiano poteva salire in sella spezzando un privilegio secolare ma sia i luoghi sia il modo di praticare questa passione rimase diviso rigidamente.
L’equitazione divenne lo “stare in sella” non più arte ma finalmente dopo secoli il popolo  si trovava nelle condizioni di avere, se voleva, il magnifico animale e per coloro che avevano vera passione questo fu gran miracolo.
Ora son rimasti pochi cavalli e gran confusione, la gente normale non ama né il rischio né il coraggio, l’attuale pensiero dominante è di centro e il centro non ama gli estremi.
Ma l’andare a cavallo resta  atto di coraggio, chi pratica  l’equitazione o lo stare in sella sa che è pericoloso e deve mettere il rischio nel conto.
Coloro che han fatto anche una sola volta una vera caccia alla volpe sanno di cosa parlo.
Capitolo simile ma a parte è costituito dal nomade: il beduino il mongolo, l’indiano delle pianure vive con il cavallo, sono popoli predatori fieri e guerrieri, vita  morte combattimento. A differenza dell’occidente in cui i cavalieri erano solo i nobili tutta la popolazione maschile era guerriera, in loro carità e ferocia convivevano più o meno tranquillamente. Anche in quel mondo le loro razzie erano temute dai più, gli apparentemente pacifici ed evoluti agricoltori.
apaches Guerrieri nomadi, nella cultura del cavallo tra  le popolazioni primitive, ovviamente i rapporti politici erano diversi da quelli occidentali.
mongolo Questo ragazzo è nato sulla groppa del cavallo, libero nella steppa, servitù e privilegi son ben diversi da quelli praticati in occidente.

Forse il cavallo è rimasto storicamente animale epico e per questo amato più dai coraggiosi che dalla gente normale, forse per questo i veri amanti dei cavalli quelli che hanno travolgente passione sono spesso stravaganti o disadattati.
janus
L’alpitrek  vuole essere fuori dalla mischia, vuole assorbire il bene che inevitabilmente è racchiuso nelle cose e nelle varie situazioni e lasciare il male alle  stesse, ne derivano accostamenti stravaganti come rigida disciplina e atteggiamenti libertari, progressione militare e modo cheyenne, difficile spiegare la situazione in quanto le regole scelte e rigidamente osservate sono etiche e non politiche.