SOMMARIO
Anno VI
Numero 1
Marzo 2014
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ARCHIVIO
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Viveri in scatola
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Premessa
Nella lista dedicata agli acquisti della cambusa per un viaggio in autonomia conviene privilegiare alimenti asciutti ma quando i
numeri della compagnia in spostamento permettono l'appoggio di un mezzo
logistico, le scatolette diventano un comodo alleato per la
soddisfazione delle esigenze alimentari con una certa varietà e
senza tante complicazioni.
Al campo fisso può capitare di utilizzarle ma, avendo a
disposizione una cambusa con verdure e pentole più fornita, non
sono necessarie.
Descrizione
Scatolette: contenitori metallici
di forma solitamente cilindrica ma anche quadrata o rettangolare
contenenti alimenti per tutti i gusti, chiuse ermeticamente per
isolarne il contatto con l'aria e prolungarne la durata per tempi molto
lunghi.
I disegni e le scritte sulla parete laterale descrivono il contenuto e
sono spesso colorati e accattivanti. Sul fondo è impressa la
data di scadenza. Sulla base superiore delle scatolette moderne in
genere è presente una linguetta che serve per aprirle e
scoprirne il contenuto.
Possono contenere pelati, passata di pomodoro, fagioli, piselli, ceci,
lenticchie, legumi misti, fagiolini, mais, carne, tonno, sgombro,
alici, acciughe, patè, zuppe pronte.
Chen Guangbiao, uno dei più famosi designer cinesi, ha messo sul
mercato delle scatolette contenenti aria pulita per quelli che,
vivendo in città molto trafficate e abitate da spessi strati di
smog, possono scoprire il lusso di una boccata di aria in scatola e non
è la cosa più strana che sia venuto in mente di
rinchiudere negli ermetici contenitori.
Lasciata
la gamella a valle, si può ottenere un contenitore per bere e
scaldare il caffè lavando la scatoletta ormai vuota dei fagioli
che intimamente gongola di soddisfazione scoprendo di essere stata
utile due volte
Uso
La scelta per un menù vario a base di scatolette non manca. Le
istruzioni sono semplici e scontate. La fantasia può servire
comunque per aggiungere un tocco personale diverso a seconda dell'umore
e della giornata anche all'ingrediente più anonimo.
Scelta della scatoletta.
Apertura della stessa con la linguetta superiore, con l'apriscatole o con altri metodi.
Cucchiaio o forchetta per portarne il contenuto direttamente nelle
fauci se si pensa di mangiare freddo o nella pentola se ce n'è
una a disposizione.
Un amico in una traversata della Norvegia con gli ski da fondo si era
trovato in giorni ventosi a non poter accendere il fuoco per evitare
disastri. Chiuso nella sua canadese, apriva la scatoletta gelata,
piantava il coltello come riusciva proprio in mezzo, scaldava i bordi
con una candela finchè il contenuto non si staccava e, tenendo
il coltello come il bastoncino di un ghiacciolo, si mangiava la carne o
il tonno leccandolo come se stesse passeggiando sul lungomare della
Versilia in una calda sera d'estate.
I trapper erano cacciatori e per procurarsi la carne si affidavano
alla loro abilità. Chi miseramente, ai giorni nostri, gioca a
imitare il loro modo di muoversi e sopravvivere raramente possiede
quest'abilità o può esercitarla liberamente. La carne in
scatola resiste a tempo e intemperie nel cilindro della sella e dopo
certe giornate in cui succedono troppe cose per aver voglia di cucinare
può sembrare una vera delizia.
Dietro le quinte
I batteri sono nemici giurati e invisibili a occhio nudo di tutto ciò che, pur
avendo natura organica, cerca di sfidare i tempi della biologia.
Ogni guerriero ha un tallone d'Achille. A parte il Botulinum e alcuni
suoi parenti più o meno nocivi, i batteri per vivere hanno bisogno di ossigeno.
Isolando dall'aria il cibo da conservare, si può prolungare di molto la sua durata.
Questa è stata prima di tutto una scoperta empirica dovuta
all'osservazione e alla sperimentazione di acuti personaggi. Solo
cinquant'anni dopo la loro geniale intuizione, un biologo francese di
nome Pasteur riuscì a isolare e riconoscere questi minuscoli
esseri e a scoprire le ragioni di quella che era ormai diventata una
pratica diffusa in tutto il mondo.
Storia
Erano anni tormentati. C'era sempre un nemico da combattere, un diritto
da difendere, un figlio da lasciar partire soldato. Come al solito
c'era anche da vivere con tutte le turbolenze che questo comporta.
Si chiamava Nicolas Appert e per vivere faceva il cuoco pasticcere. La
cucina in cui lavorava catturava momenti e pensieri ma era un creativo
e si consumava in ricerche e prove.
Nel 1810 Napoleone aveva indetto un concorso. Chi avesse risolto il
problema della conservazione delle derrate alimentari per il suo
esercito sempre operativo avrebbe vinto dodicimila franchi o l'iscrizione del brevetto.
Otto anni prima, dopo lunghi esperimenti, Nicolas era giunto alla
conclusione che viveri normalmente deperibili chiusi in barattoli di
vetro con un tappo di sughero sigillati dal bollore di un bagno maria
potevano conservarsi anche a lungo.
Era quella l'idea da presentare all'imperatore scegliendo il premio in
denaro per realizzarla con la prima fabbrica di alimenti in vasi di
vetro del mondo.
L'Impero è caduto e Nicolas Appert è morto in miseria.
Nell'agosto di quell'anno il re Giorgio III d'Inghilterra
assegnò il brevetto per il metodo di conservazione degli
alimenti in contenitori di vetro ceramica alluminio e altri metalli a
Pierre Durand che invece non divenne un imprenditore ma si nutrì
dell'idea mentre Bryan Donkin e John Hall dettero vita all'industria
che riempì gli empori del Far West di scatolette di fagioli
ancora oggi protagoniste di lunghe storie intorno al fuoco.
I contenitori di vetro erano troppo fragili per conciliarsi con la
rude vita dei boschi. Le scatolette di latta invece bastava aprirle e, se non
c'era una padella, potevano essere scaldate direttamente sul fuoco anche
se il fumo anneriva i bei disegni colorati che le ornavano.
Divagazione uno
Ogni soldato ha le sue scorte di scatolette ma può consumarne
solo dopo il nulla osta dell'ufficiale nei casi in cui non sia
possibile raggiungere il rancio.
Milioni di soldati e migliaia di milioni di scatolette.
Dove c'è stata battaglia o pattuglia, si trovano ancora adesso
scatole vuote schiacciate sotto le pietre o scatole piene scampate al
passaggio di tutti gli affamati e curiosi.
Punta Colomion era stata battuta dai soldati. La strada che porta alla
caserma XVI ci passa proprio di fianco. Quando ancora ci si ricordava
della guerra ma ormai era finita, in quel posto venne costruita una
sciovia. Lungo quella strada corrono tuttora i primi metri della pista
numero 1. In cima ad ogni impianto di risalita c'è un gabbiotto
dove la persona addetta allo sbarco degli sciatori può ripararsi
dal gelo o dal sole. La vecchia casetta di punta Colomion era a ovest
dello sbarco ed era abbastanza spaziosa rispetto ad altre.
L'impiantista che aveva presidiato per vent'anni quella cima esposta e
spettacolare aveva cambiato mansione quell'anno. C'era uno nuovo.
Quando c'è un problema, l'impiantista ferma la sciovia con un
pulsante rosso che, cessata l'emergenza, deve essere rialzato per
rimettere in moto.
Una mattina la sciovia Colomion non ne voleva sapere, continuava a
segnalare l'emergenza a monte ma l'ultimo ad essere sceso giurava di
aver lasciato tutto in ordine. Partì la delegazione che doveva
svelare il mistero e scoprì che sette o forse otto metri cubi di
roccia avevano schiacciato la casetta schiacciando anche il pulsante
dell'emergenza. Il novellino era salvo dalla frana che lo avrebbe
schiacciato se fosse caduta durante la giornata e dal pubblico ludibrio
ma finì l'inverno in una scatola improvvisata.
La ricostruzione del gabbiotto di punta Colomion doveva essere stata
uno dei primi lavori dell'estate seguente e si scelse di metterla a est
dello sbarco per non sfidare ulteriormente la cima sovrastante. La
prima bennata tirò su insieme alla terra una scatoletta di latta
verde intatta. La lasciarono lì senza farci caso ma a
mezzogiorno ci si ricordò di lei. Venne l'idea di aprirla,
qualcuno la assaggiò e chi per scommessa, chi per gioco, chi
senza volerci giocare si mangiarono per scherzo della carne in gelatina
che aspettava lì al buio di una scatola da almeno quarant'anni.
A nessuno è successo niente. La scatoletta vuota è
rimasta nelle fondamenta della nuova casetta che è ancora
lì tra la tormenta e la montagna.
Divagazione due
La ferrovia dell'Ovest avanza miglio dopo miglio. Gli operai sono
approdati in America per scoprire che anche lì ci sono uomini
che decidono per tutti gli altri. Di lavoro ce n'è quanto se ne
vuole e sono rimasti. A differenza che a casa lì non hanno
parenti nè famiglie di cui occuparsi quindi sono molto
più redditizi perchè impegnano tutte le loro risorse
nell'avanzamento della ferrovia. Sui binari che si srotolano attraverso
le pianure arrivano i rifornimenti. Se stai trafficando tra traversine
e binari, il treno lo senti molto prima di vederlo e sa di festa,
potrebbe magari portare anche della posta.
Sembra un deserto quello che stanno attraversando ma non sono mai stati
da soli. in ogni momento c'è qualcuno che segue le loro mosse.
Qualcuno che ha sempre vissuto lì e che preferisce nascondersi.
Ogni giorno il campo avanza e lascia indietro la sua spazzatura e in
mezzo alla spazzatura scatolette vuote e scatolette mezze piene. Quelle
vuote possono essere interessanti per uno che non ha mai avuto attrezzi
in metallo ma quelle piene sono proprio strabilianti. L'olio delle
sardine non assomiglia a niente di conosciuto e ogni volta che una di
queste spedizioni rientra dal cantiere della ferrovia, porta
all'accampamento curiose diavolerie.
I cantieri del tunnel del Frejus avevano portato a Bardonecchia
maestranze che venivano da lontano. Avevano esigenze sconosciute ai
valligiani che cercavano di continuare come se niente fosse ma
erano inevitabilmente incuriositi da tante stranezze. Studiavano questi
cittadini che esploravano le loro montagne senza motivo apparente o
forse con delle ragioni che non riuscivano a spiegarsi. L'abitudine di
portare sempre sotto la giacca un binocolo per seguire i movimenti del
gregge sul versante di fronte o dei camosci sulle cenge senza farsi
vedere, ce l'aveva sempre avuta. Usare lo stesso attrezzo per seguire
le intrusioni più o meno goffe e più o meno coscienti di
questi spaesati forestieri, era solo un gioco, quasi un esercitazione
ad avvicinarsi il più possibile senza farsi scoprire.
Una mattina due di questi signori avevano lasciato il cantiere
passeggiando e discutendo e si erano incamminati lungo la strada che
porta a Grange Frejus.
Lui li aveva visti salire, scendere, fermarsi in un bel prato al sole,
a picco sotto la cresta del Ciardun Blanc. Lì avevano tirato
fuori dallo zaino delle scatolette, le avevano aperte e credevano di
essersele mangiate. Sazi erano ripartiti mentre lui incuriosito era
sceso a Granges Serre per vedere cosa era rimasto. I due signori
che avevano tanto tranquillamente passeggiato con le scatolette piene
nella borsa, avevano giudicato troppo pesanti le stesse scatolette dopo
averle svuotate e le avevano lasciate lì in mezzo ai fiori.
Viste, annusate e assaggiate risucchiando quel poco di olio in cui
probabilmente erano state per qualche tempo delle aringhe, quelle due
scatolette erano una diavoleria talmente fuori dal mondo che conosceva
che se ne ricorda ancora, anche se nel frattempo ne ha viste a milioni.
Come aprire le scatolette
Le scatolette moderne sono dotate di una fantastica linguetta che
permette di srotolare il metallo che le chiude tagliando
contemporaneamente il bordo senza fargli mostrare i denti. Prima che si
arrivasse a questa invenzione, per aprire le scatolette occorreva
l'apriscatole. Senza apriscatole una scatoletta chiusa diventava un
bell'enigma. C'è chi ha sacrificato coltelli di valore
inestimabile, c'è chi si è tenuto l'acquolina in bocca e
c'è chi si è messo a guardare intensamente il nemico per
rintracciarne il famoso tallone d'Achille.
Quello che conosco io ha pensato che il punto debole della chiusura
fosse sul bordo e, strofinando e ruotando la scatoletta capovolta su un
masso piatto e ruvido è arrivato a corroderlo anche abbastanza
rapidamente. L'aspetto della scatoletta dopo questo trattamento non era
più troppo invitante ma l'acqua dei fagioli era già
scolata ed è bastato metterli sul fuoco e mangiarli per ricevere
un ricco premio.
Conclusione
Succede che a un certo punto la parola scatoletta susciti nella
fantasia l'idea di fuoco di bivacco e di aria aperta. Succede che per
mesi possa capitare di rimanere incastrastrati in una routine dove la
vita all'aria aperta assume contorni sfumati. Succede che se in cucina
non c'è nemmeno una scatola di fagioli, la prima volta che si va
a fare la spesa ce ne si procura una. Magari non la si mangia per anni,
è solo per avere la certezza che all'occorrenza ci sia.
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