SOMMARIO

Anno VI
Numero 2
Settembre 2014

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ARCHIVIO

 

 

 

 

Lucio Lami ha sempre avuto simpatia per Mauro Ferraris, era un uomo di cavalli e un gran giornalista, giornalista in tempi non sospetti, anche se doveva frequentarli non era salottiero era uomo d’azione, non aveva peli sulla lingua, scriveva ciò che pensava, era libero e non servo di partito. Aveva dato fiducia al Mauro nel 1973, quand’era alle prime escursioni a cavallo, in fondo erano due libertari. Il pezzo qui riportato era stato pubblicato su “Lo Sperone” quand’era ancora stampato in bianco e nero, leggetelo è istruttivo, soprattutto per quelli che devono comprare cavalli.

Mauro mi ha raccontato che l’ultima volta ha visto Lami ospite da Vespa a Porta a Porta. Si parlava di Afganistan, tutti erano in divisa giacca camicia e cravatta, lui con una consunta giacca verde militare, lui disse parole fuoricoro, le sue parole erano analisi giuste e si sono avverate.
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B.H.-

Quando andavamo in Irlanda a comperare i cavalli

di  Lucio Lami

Mettendo ordine nel mio archivio ho trovato un vecchio nastro con incisa l'ultima conversazione che ebbi con Ubertalli, poco prima che morisse. Mi pare interessante pubblicarla.

Lucio Lami

  Quando andava all'estero, Caprilli, andava per i cavalli?

  Sì, passava da Londra, poi andava in Irlanda. Dopo di lui ci andai io.

  Racconti, cosa facevate lassù?

  Si girava per l'acquisto di cavalli.

  Andavate allo show di Dublino?

  No. Giravamo per la rimonta dei cavalli. Visitavamo i negozianti. Acquistavano i cavalli per la Scuola di Cavalleria. Si faceva così dal 1891. Era stata istituita la rimonta degli irlandesi perché allora il saltatore era solo l'irlandese. La scuola faceva due rimonte, sempre con lo stesso giro: una per la scuola e una per i sottotenenti; infatti l'allievo di cavalleria, quando entrava a Modena,  lasciava un deposito di 2.500 lire: quel deposito impegnava lo Stato a dargli un cavallo «suo» dal momento in cui avrebbe preso servizio al Reggimento, e questo cavallo, allora, era irlandese.

  Chi vi accompagnava?

  Avevamo un sensale. Un italiano pratico del mercato; più che un in­terprete era un sensale, un cavallan­te. Le visite duravano una ventina di giorni.

  Era piacevole?

  Molto piacevole; allora il cavallo italiano non era stato ancora migliorato: i cavalli degni della sella non erano che irlandesi.

  Ve li davano interi?

  No. Erano già castrati. Non solo, ma già addestrati, montati... Là i cavalli li presentano montati. Si vedeva già se erano promettenti.

  Li provavano anche su qualche ostacolo?

  Qualcuno sì. Non tutti. Quelli per esempio che portavano alla fiera venivano presentati montati.  Insomma si vedevano già le attitudini. Gli esami finali degli allievi della nostra Cavalleria venivano fatti con cavalli irlandesi. A questi esperimenti assisteva per consuetudine il re. Un giorno egli, di sua iniziativa, osservò che i cavalli erano tutti irlandesi. «Ma come — disse — ma non ci sono cavalli italiani?». Così cominciammo ad usare anche cavalli italiani. Io, a Pinerolo, avevo l'incarico dell'addestra­mento: andavo a prendere i puledri ai depositi. Il più grosso era quello toscano di Grosseto. Li addestravo a dovere. Da allora in poi gli esa­mi furono fatti con cavalli italiani, così il re rimase soddisfatto.

  Non potevano allevarli anche qua gli irlandesi?

  Non è così semplice. Il cavallo è un prodotto dell'ambiente, anzi, come dicevo allora, del suolo. Le razze, trasportate, deperiscono. Di fatto, si può lavorare bene sulla razza di purosangue inglese  che è adoperata in tutto il mondo. Anche i cavalli italiani che corrono o vengono direttamente di là, oppure sono figli di purosangue. Insomma, la razza è quella. Eppure, in ogni nazione, questo cavallo, col passare delle generazioni deperisce, niente da fare, perché appunto c'è la questione dell'ambiente. E io quando fui in Sardegna e feci delle statistiche, constatai che il purosangue inglese dopo che era in Italia da sei anni cominciava ad esaurirsi. E Tesio, che oltre a essere un proprietario di cavalli da corsa, era uno studioso, un uomo che faceva tutto da sé, lo sapeva. Tutti gli altri erano dei ricchi proprietari che ci rimettevano, lui, invece, si era arricchito. Era uno studioso e che cos'aveva scoperto? Che si poteva far venire la cavalla incinta dall'Inghilterra: il prodotto nasceva in Italia, questo prodotto era italiano, perché era fatto qui. Ma era in realtà inglese. Tesio lavorava solo sul sangue inglese. Diceva: è «per incrementare» il turf italiano. Sta di fatto che portava delle cavalle incinte, quindi padre e madre inglesi. E con questo cavallo «italiano» vinceva e batteva tutti i cavalli italiani. Ma era assai capace, faceva tutto, tutto da solo.

  Infatti il suo libro è stato tradotto in inglese e ha avuto grande successo in Inghilterra.

  Appunto. Era un conoscitore profondo. E sosteneva che il cavallo italiano era buono quanto l'inglese...
— Ah sì?

— Sì, ma io, in un articolo, gli avevo risposto « sì, ma i cavalli italiani di Testo sono inglesi, non sono italiani»...Perché o hanno il padre inglese, o hanno la madre. Di italiano non c'è niente, o poco. Ma Tesio era grande per altri motivi: era allevatore, allenatore, sapeva anche insegnare ai fantini, faceva tutto lui. Mentre nelle altre scuderie il proprietario è un ricco, che pagava il direttore dell'allevamento, l'allenatore, il fantino, insomma tutto quanto, Tesio non era condizionato da nessuno perché decideva tutto lui. Questa era la sua forza.

ubertalli

  Caprilli montava anche in corsa?

  Sì, da giovane sì. Sa, allora era ancora possibile. Poi, un po' per il peso, un po' per i soldi, smise. Il cavallo da corsa impegna troppo. Io stesso, da sottotenente, ho montato in corsa, poi l'ho lasciata perché il cavallo bisognava tenerlo allenato ma non lo si poteva tenere in ogni guarnigione. Quando non si poteva averlo con sé bisognava ricorrere a un trainer, quindi era molto costoso. Allora ho desistito. Ho fatto il concorso ippico, perché nel concorso il cavallo ce l'avevamo di servizio. Poi, non c'è questione di peso.

 Lei è andato a Saumur, in Francia?

  Sì sono andato, così per una visita.

  Anche Caprilli so che vi era andato, in visita. Con un braccio fasciato...

  Sì, io ci sono andato dopo. Caprilli molto prima. Aveva un braccio al collo, perché se l'era rotto. Vi era andato col generale Berta che aveva voluto farsi accompagnare da lui e poi anche per vedere le novità. Gli fecero vedere un cavallo che non riuscivano a lavorare e Caprilli lo montò con il braccio al collo. Il cavallo andò benissimo perché la grande abilità di Caprilli era la sensibilità. Quell'episodio fece epoca. Dopo di allora, molti cavalieri francesi, che frequentavano i concorsi ippici, Bizard specialmente, che era mio amico, adottarono la nostra monta. Non per scuola ma per imitazione. Erano già grandi cavalieri, ma adottarono la sua monta. Quando andavo in Francia passavo sempre a trovarli. Adesso non so più come sia...

L.L.