Il cavallo è abitudinario. Rompere le sue abitudini lo
destabilizza, lo mette sul chi va là. A casa sono gli angoli del recinto,
l’ombra nella casetta e la posizione dell’acqua a dargli tranquillità.
Ogni cambiamento va annunciato, quando questo non è possibile,
ci mette qualche giorno a digerirlo.
In viaggio sono la posizione del telo tenda e le scadenze
della giornata a dargli quella tranquillità che lo rende attento ai pericoli
reali anziché ad ogni fantasma. L’orario di sveglia e pietanza, quello della partenza
e della sosta e il tempo che ha per pascolare, lo rassicurano, gli danno la
certezza di soddisfare le sue esigenze anche se si trova in territorio
sconosciuto.
Per un viaggiatore a cavallo, ci sono posti dove lui e il
suo cavallo riposeranno serenamente e di cui avranno nostalgia, quelli in cui
solo uno dei due riposerà bene e altri da cui entrambi non vedrebbero l’ora di
andare via. Si riconoscono a prima vista.
Certe volte si può scegliere, altre volte no.
Cosa vogliono quelle due anime fuori rotta? Erba, acqua, combustibile,
spettacolo, sostegni, silenzio, amici. Quei posti dove c’è ognuna di queste
ricchezze, non se li dimenticheranno mai più. Sono il loro tesoro.
Più il territorio è selvaggio, più è facile incontrare il
luogo per piantare il campo. Si avvicina l’ora della sosta e ad ogni curva si
drizzano le orecchie per sentire il rumore di una sorgente o per individuare un
pianoro erboso. Avvisa lui, bisogna stare attenti, se passi oltre un buon posto
pensando di trovarne uno migliore, è come se succedesse una magia che li fa
scomparire tutti. Da lì in poi incontri solo più selva e rocce.
Il bel tempo aiuta molto. Quando si può guardare lontano, da
una montagna all’altra si può perdere un istante ad esplorare con il binocolo
il versante di fronte e scoprire la piega dietro cui nascondersi.
Con scarsa visibilità, per nebbia o sterminate foreste, è la
mappa che aiuta a trovare vecchi ruderi, sorgenti o fontane, intorno a cui
costruire il mondo di una notte.
Ogni sera è diverso.
Trovato il posto, si scarica il materiale vicino a dove si
vorrebbe montare il telo e si molla di un buco il sottopancia. Mentre il
cavallo pascola, si monta il telo, si cerca la legna, si fa scorta di acqua e,
se è il caso, si impasta il pane.
Quando il campo è montato, è ora di togliere la sella e
preparare qualcosa di caldo. Il cavallo continua a pascolare, si rotola, beve.
Avvisa lui, quando è sazio è ora di legarlo prima che si inventi qualche
avventura notturna. Ci mette poco a recuperare le energie perse durante la
giornata e, mentre il cavaliere comincia a pensare al riposo, lui sarebbe già
in grado di ripartire. Capita di sentire cavalieri che si fermano perché il
loro cavallo è stanco. Per stancare un cavallo ci vogliono doti sovrumane. Può affaticarsi
ma, se il carico è ragionevole e l’animale è ben nutrito e in forma, sarà
sempre il cavaliere il primo a stancarsi.
Sostegni
Noce signorile, quercia materna, larice poderoso, melo
generoso, frassino elegante, la betulla candida che sussurra canzoni, mentre la
rosa timida si difende con le spine, emoziona con i fiori.
C’è un albero per legare il cavallo, un altro per ancorare
il telo, a volte ce ne sono due alla giusta distanza per tendere i tiranti del
colmo su una comoda conca. La specie di albero che sostiene la tenda ha
un’anima che partecipa silenziosa al bivacco di quella sera.
A bassa quota, gli alberi non mancano, montare il telo è
facile, se vicino agli alberi non ci sono posti in piano, si possono trovare a
terra rami secchi che possono sostenere la tenda.
In alta montagna le ultime specie pioniere lasciano il posto
a rocce e tappeti di muschio. Quando l’aria è tersa, a quelle quote si può
dormire senza montare la copertura, non c’è umidità. Altre volte il cielo
annuncia le sue intenzioni di tempesta e conviene mettersi al sicuro. Ci sono
due possibilità: scendere di quota o attrezzarsi per difendersi dal maltempo
con tutti i comfort, anche la musica!
Chalets d’Etiache: cielo terso e aria umida di fondovalle.
Pioggia annunciata. Diretta ai ruderi delle grange, incontro una roccia grande
come una casa che sembra volermi dire che mi ospiterebbe volentieri. A valle
uno spazio erboso e in piano sembra fatto apposta per posare il materiale. Tanta
erba, quanta ce ne vuole. Intanto sul guscio della grande roccia, fessure e
asperità diventano appigli per i tiranti. Un tronco di larice nanizzato dal
clima e stritolato da qualche slavina, diventa il sostegno anteriore del colmo.
L’aria è umida, ma lì sotto è come essere in una bolla di
aria calda e asciutta. Finchè c’è luce Isotta pascola e si abbevera alla stessa
sorgente dove raccolgo l’acqua per preparare la zuppa. Il piccolo fuoco è di
legna secca trovata lì intorno, tritata forse dalla stessa slavina che ha
fornito il palo di sostegno del telo.
Un chiodo da roccia piantato a un metro dal telo, diventa
l’anello dove legare la cavalla per la notte.
Intorno alle tre del mattino, uno scroscio sul telo annuncia
l’inizio della tempesta e Isotta mette la testa sotto il telo per ripararsi.
Non ha più mosso un baffo fino al mattino e in quel tepore del saccopelo era
proprio vicina.
Al mattino aveva smesso di piovere e tirava una bisa gelida.
Alpe Sellery: c’era una volta Alfonso, saliva in alpeggio da
quando era nato, sempre lo stesso, comunale. Arrivavi da lui e sul muro esterno
della stalla c’erano gli anelli per legare i cavalli, l’acqua buona e leggera
di fontana Mura alimentava l’abbeveratoio. Era meglio montare il campo vicino a
lui per stare insieme e passare una sera in un bel posto: la sua casa estiva.
Poutaget, pentola dell’acqua calda, qualche sedia intorno a un piccolo tavolo.
A seconda del numero di persone che arrivavano, il tavolo era sempre lo stesso,
aumentavano il numero di sedie e quello di piatti e tutti erano sempre comodi e
trovavano il loro angolo. Come dei re.
Un inverno Alfonso se n’è andato e i suoi animali sono stati
venduti. Da quel giorno non sono ancora tornata a Sellery superiore.
Questa primavera due amici apicoltori hanno portato le api a
pascolare nell’alpeggio sottostante. Momento di rododendri fioriti, unico fiore
ad arrossire i versanti.
Sono salita a cavallo la sera prima con l’intenzione di
passare la notte vicino alla casa di Alfonso. Al bivio del fortino ho preferito
prendere acqua alla fontana e lasciare la strada. Il forte Santo Stefano difendeva
l’accesso sulla val Sangone dal col della Roussa. È ancora più antico di
Alfonso, risale al sedicesimo secolo. Visto dal colle è a forma di stella,
visto da dentro è ciò che rimane delle antiche mura in mucchi di pietre che
stentano a tenersi insieme. Qualcuno aveva passato degli inverni lassù e lassù
non ci sono alberi, l’unico combustibile a disposizione sono le radici secche
dei rododendri e gli escrementi degli animali.
Meglio accamparsi lì, in mezzo alla stella.
Spazi in piano di tre metri per due non mancano, ma non c’è
proprio nessun appiglio per montare il telo. Gira e rigira, trovo un gradone
alto quasi un metro e mezzo su uno dei pianori più larghi. Credo che fosse una
vera e propria stanza. Trovato uno spunzone di viva roccia in cui piantare il
chiodo dove legare Isotta, la lascio pascolare e monto il telo.
Un lato del colmo è picchettato nell’erba a monte della
scarpata, l’altro lato è appoggiato a un omino di pietre piatte.
Bivacco di terra ai confini del cielo, su rocce slegate,
vicina ad Alfonso.
Lui lo diceva sempre che lì alle cinque e mezza arriva la
nebbia e la nebbia non ha mancato l’appuntamento.
Il mattino dopo il sole è arrivato quasi con la luce, come quando
sei in alto su un versante che guarda ad Est.
Acqua
La borraccia che tengo legata alla sella contiene quasi un
litro e mezzo di liquido, è rivestita da uno strato di lana e uno di pelle per
conservarlo fresco e ritardarne il congelamento, a seconda della stagione. Quando
è piena, ce n’è a sufficienza per preparare una cena, bere, lavarsi i denti, le
mani e la faccia, preparare un caffè la mattina dopo.
Un cavallo che ha sete è capace di bere anche l’acqua
salmastra dei pozzi vicini al mare e quella marrone delle pozzanghere in cui
sguazzano i girini, ma quando l’acqua è fresca se ne accorge e apprezza.
In marcia in regioni dove è facile incontrare ruscelli e
fontane, la lascio bere alla prima che incontro, intorno a mezzogiorno e a fine
tappa. Quando un cavallo si abitua così, si disseta sul serio in quei momenti e
quando capita di dover attraversare territori dove l’acqua non c’è, sa di
doverne approfittare. Trovare un lago, un torrente o una fontana vicino al
campo, gli permette di bere quanto vuole e quando ha sete mentre è libero al
pascolo.
L’acqua buona vicino al campo è un lusso, non sempre c’è.
Certi ruscelli di montagna possono essere potabili all’occorrenza, se non si
riesce ad avvicinarsi alla sorgente per assicurarsi che nell’acqua a monte non
ci siano animali morti, è meglio utilizzarla preferibilmente per lavarsi e per cucinare.
Quando piove, il telo è una gran risorsa, basta lasciare un angolo
più spiovente, perché l’acqua scivoli tutta da quella parte, la gamella messa
lì sotto si riempie abbastanza rapidamente.
Combustibile
Mauro non capisce perché sul versante italiano ci sia così
poca legna secca a terra mentre, appena si scende in Francia, in ogni posto
basta allungare una mano alla cieca per trovare rami e rametti di ogni misura.
Sarà che appena cambia il versante al posto dei larici si incontrano i pini,
sarà che si parla un’altra lingua, sarà che la gente si scalda con la corrente
elettrica, il risultato è lo stesso: in Francia è molto più vietato e molto più
comodo accendere un fuoco.
Ci sono posti dove la legna bisogna cercarla, altri dove i
travi di ruderi crollati sono l’unica risorsa per il bivacco, nelle vecchie
caserme crollate del vallo alpino, a quote ben superiori al limite della
vegetazione, le antiche perline che foderavano le stanze degli ufficiali e
altre suppellettili di legno ormai distrutte dagli inverni, forniscono
combustibile senza arrecare danni a nessuno. Quando non si può fare affidamento
su nessuna di queste possibilità, le soluzioni possono essere: escrementi di
animali, meta o fornellino, non accendere il fuoco. Va bene tutto. Il fuoco
acceso, anche solo per scaldare mezza gamella di acqua per il caffè, trasforma
un bivacco in una casa accogliente fatta di calore ricordi e attimi per
sognare.
Amici e altri animali
Partendo con un cavallo non sei mai da solo. Capita comunque
di ricercare la compagnia di propri simili, capita che il cavaliere cerchi
altri uomini e il cavallo altri cavalli
Alpe Arguel: poco meno di duemila metri, pianori a sbalzo
sulla valle proprio dove si stringe a Exilles. È così stretta che succede di
sentire i cani abbaiare sull’altro versante. Il suono impiega un istante ad
arrivare di qua, per raggiungerlo a piedi o a cavallo ci vorrebbero più di nove
ore. Alpeggio affittato da Nicolino da più di vent’anni. Quest’anno era là con
centocinquanta bovini, le pecore di suo figlio e una cavalla, sempre la stessa.
Non so se Nicolino è un amico, so che quando salgo lassù lo
incontro e che lì vicino si sta bene. Lui deve mungere, fare le tome e la
ricotta, vendere il formaggio e preoccuparsi che tutti i suoi animali siano
dove il pascolo è buono. Sa che quando ci sono le belle giornate di sole gli
amici lo vanno a trovare e che nelle fredde giornate di tempesta lassù non
arriva nessuno. Lui va avanti come sempre: animali, latte, tome. Finché sei lì
sei il suo migliore amico, non c’è nessun altro. Quando vai via sei un ricordo
che torna a galla quando arrivi di nuovo lassù. L’Arguel è un posto da sogno,
ma lì non puoi permetterti il lusso della nostalgia, la solitudine è spietata.
In un’estate come quella che è appena finita, passano giornate intere in cui
trovi gli animali perché senti le campane e la casa perché senti la pioggia
battere sulle lamiere del tetto. La nebbia mette a dura prova orientamento e
affetto. La nostalgia non fa per chi passa l’estate lassù.
Isotta pascolava mentre montavo il campo e la Cavalla Senza
Nome è venuta lì vicino. Sembrava che fossero sempre state insieme e non è
stato facile dividerle al momento di andare via.
Casotto Fumavecchia: per qualche mese gli alpeggi sono
abitati dai margari dalle loro famiglie e dai loro animali, d’inverno tutto tace sotto la silenziosa coperta di neve.
Appena la neve si scioglie e prima che torni i prati in
piano su cui nella bella stagione rumina il bestiame domestico sono visitati
dagli animaletti del bosco che nel corso della notte si alternano per godersi
la prima erba in primavera e quel che ne rimane a fine autunno.
Quella notte mi ero rintanata nel telo tenda, viveri per una
sera e un bel libro.
Le giornate ormai corte e la candela
Intorno un traffico di animali che andavano e venivano
interdetti ma non disturbati dalla nostra presenza, si avvicinavano a turno al
bivacco pascolando e se ne andavano via quando ne arrivavano altri.
I cervi nell’ordine della foresta sembrano avere la
precedenza su tutti, anche i cinghiali all’avvicinarsi dei bramiti si dileguano.
I caprioli sono i più timidi e si sono tenuti a distanza,
anche se si sentivano abbaiare giusto lì dietro non sono riuscita a vederne il
riflesso degli occhi con la pila.
I cinghiali sono i più impertinenti e quando sono stati
troppo vicini ho dovuto uscire dal sacco a pelo per mandarli via.
Quello era il posto degli animali e nonostante tutto questo
traffico la mia cavalla è rimasta vicina come se intorno a noi ci fosse un
recinto e noi due uno dei branchi al pascolo al casotto Fumavecchia.
Esposizione
C'è chi ama gli ultimi raggi di sole della giornata e chi
preferisce l'alba. Difficile trovare un posto dove si può godere
di entrambi. In fondovalle non c'è nessuno dei due. Ogni
volta che posso, preferisco rimanere un po' in alto. Laggiù
corre l'acqua e l'aria è più umida, il sole sorge tardi e
se ne va via presto. Sui versanti esposti a Nord, il sole non arriva
mai. Esistono posti così, sono quelli dove il telo di notte
diventa un candido e rigido tetto di ghiaccio.
Vallandona: Questa primavera faceva caldo, ma c'era molta più
umidità del solito. Andavo verso sud e mi trovavo dalle parti di
Asti. in cresta alle colline e in fradici fondovalle. la giornata era
stata nuvolosa ma anche afosa. avevo pensato di accamparmi sull'ultima
cresta per evitare l'umidità. Raggiunti i prati che avevo visto
dall'altro versante, ho incontrato persone diffidenti e zanzare.
Nessuno poteva accettare che mi accampassi in un suo prato.
Sento dire che in fondovalle c'è un pastore con le pecore. Mi
rimetto in pista e raggiungo il ponte. erba rasata da più di
mille pecore e degli asini enormi. Asini? Ma quelli sono gli asini di
Fulvio! Il rumeno di guardia alla roulotte conferma e aspettiamo
insieme. Fulvio non l'avevo mai incontrato sotto i duemila metri. con
le sue pecore tiene puliti i versanti più impestati della Val
Chisone. i suoi asini portano viveri e agnelli attraverso pietraie
appese sul nulla. d'inverno scendono quaggiù.
Abbiamo passato una bella sera insieme e a un certo punto ciascuno si
è rintanato nella sua cuccia. Sono partita l'indomani mattina
prima che loro si svegliassero. Uscire dal saccopelo è stato un
atto di coraggio, lì dentro un clima perfetto, fuori il gelo
sospeso a mezz'aria. Intirizzita prendo un caffè e sistemo
l'equipaggiamento. il telo l'ho smontato per ultimo. era diventato
bianco.
Primo picchetto: crik. Secondo picchetto della stessa falda: crok. il
Telo si è appoggiato rigido a terra, cambiando di poco l'angolo
di colmo. Dall'altro lato la stessa cosa e, quando ho tolto il primo
palo del colmo è rimasto in piedi, congelato. Piegarlo è
stata un'impresa.
quella notte avevo dormito in un posto dove non mi sarei mai accampata.
L'incontro con amici vale la pena di litigare con il gelo.
Rochille: sembra un pianoro erboso. Le caserme degli
chasseurs des alpes sono costruite nel posto migliore per visuale, esposizione
e pendenza. Vietato entrare nel perimetro. Nella pian, per terra c’è
un’erba che assomiglia a quella di Vallandona: aria di fradicio e di gelo. Sul
promontorio che genera l’acquitrino c’è qualche piccolo pianoro. È lontano, ma
preferisco evitare la brina. Il telo lo monto lassù e lassù c’è meno umidità e
si vede più lontano, i cavalli pascolano quell’erba fradicia fino a notte,
fanno pochi passi, preferiscono mangiare.
Collebelle: cresta
di collina esposta a sud, notte gelida, di fianco al telo, il secchio
per l'abbeverata del mattino che Louis ci aveva prestato, è
diventato un blocco di ghiaccio durante la notte. La buona esposizione,
il terreno asciutto, al risveglio il telo era secco e, lì sotto,
un'aria confortevole impigriva cercando di convincerci di non uscire
dal saccopelo. Ogni sera si arriva e ogni mattina si parte. Siamo
uscite anche quella volta. I cavalli, coperti dalle termoriflettenti
avevano la schiena calda e aspettavano fieno e pietanza.
Che bello tornare nel saccopelo mentre loro mangiano e aspettare che il
ghiaccio diventi caffè avvolti in quel bel calduccio!
Conca
Prima di montare il
telo, conviene sempre togliere pigne, ricci o sassolini dall'area che
ne verrà protetta e provare a sdraiarsi per trovare quel punto
più comodo degli altri, senza dossetti che spaccano la schiena.
Montando il telo dopo aver fatto queste prove, il terreno sotto il telo
non è più un pavimento qualsiasi, ma un vero e proprio
letto, di quelli più confortevoli.
D'inverno, può capitare di accamparsi sulla neve. Quelle sere
è meglio isolarsi dalla neve sottostante che, con il calore
corporeo si scioglie. La neve pestata si fonde meno e quindi, prima di
montare il telo, conviene passare avanti e indietro due o tre volte.
Bisogna poi cercare di fare dei fasci di erba secca o rami di conifere,
con cui coprire la conca. Il tessuto di foglie lunghe isola dal terreno
quasi come la pelle non conciata.
Spettacolo
L’ho vista. Quando sorge il sole quella cavalla si ferma e
lo guarda. Quando arrossisce stretto dall’orizzonte, prima di lasciare il posto
al crepuscolo, smette di pascolare e lo guarda, se siamo in marcia drizza le
orecchie e sembra salutarlo mentre se ne va.
Non dovrei stupirmi quando mi accorgo che sta guardando
proprio il panorama. non eè l'unica. Perché non dovrebbe sapere che cosa è bello e cosa no?
Prima di Susa la via Francigena passa attraverso una borgata
in cui non ho mai visto un animale né sentito un rumore. Ogni volta che passo
da lì, lei è titubante e circospetta. Un giorno mi hanno chiesto di andare a
comprare del salame e l’indirizzo mi ha portata proprio in quel cortile. Dietro
alla macelleria c’è il macello. Lei lo aveva capito senza che nessuno glielo
dicesse.
Per oltrepassare la città di Asti, una volta sono passata da
Sud. Arrivavo da Alessandria, attraverso i campi. Per andare oltre
l’autostrada, la stradina da cui arrivavo si infilava sotto un arco di mattoni.
Oltre quell’arco, mucchi di immondizia di ogni specie ci hanno circondate,
finché non ci siamo trovate nel bel mezzo di un accampamento di zingari.
Quell’odore e quelle carcasse di elettrodomestici mischiate a vestiti coperti
di fango hanno detto qualcosa a Isotta. Finché non ci siamo allontanate, la sua
pelle diceva che quel posto non faceva per lei.
Il cavallo è bello.
Per alcuni è scontato.
Probabilmente ormai riguarda il passato.
Passato in cui bello era scontato e cavallo semplicemente
utile.
Bello nel brutto abbellisce. Sta, ma inquieto.
Bello nel bello sembra un sogno, ma è vero e sta sereno.
Smontare il campo
Il sedentario smonta
prima il telo, il nomade mette prima in sicurezza il materiale e per
ultimo smonta il riparo che lo protegge.
Davanti al nomade c'è la strada. Ogni giorno smonta e rimonta e
sa che ogni goccia che raggiunge un oggetto utile, richiede lavoro e
tempo per evaporare.
Il sedentario, la sera torna nella sua abitazione e fa asciugare
l'equipaggiamento vicino alla stufa. Nell'odore dell'umidità che
evapora, sente ancora il profumo della notte all'aria aperta.
Tracce
Se ne va. L'erba
schiacciata dove ha riposato, le braci del piccolo fuoco di bivacco
ormai cenere, si disperdono nel vento, sulla strada impronte di ferri
continuano sulla stessa direzione. In angoli speciali del mondo, un
laccio colorato legato a un ramo o a una roccia, ricorda che
qualcuno è passato di lì. Sole e gelo lo consumano.
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