SOMMARIO
Anno V
Numero 2
Ottobre 2015
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ARCHIVIO
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Ruggero Ubertalli
di Mario Gennero
INTRODUZIONE
di Mauro Ferraris
Non so come cominciare
Questo è il periodo del “non metodo” pochi sanno che
cosa è il “metodo” dell’equitazione, i giovani
che salgono in sella oggi non sanno chi è Caprilli o lo
conoscono appena per averlo sentito nominare
casualmente, ancor meno sanno chi è Ruggero Ubertalli.
Al concorso internazionale di Torino nel 1902 Federico Caprilli ha
presentato il Tenente Ubertalli dicendo: è l’unico allievo
che mi capisce.
Ma il motivo importante del suo insegnamento per noi “non
cavalieri “dell’alpitrek è la distinzione tra
equitazione superiore ed equitazione elementare.
La specialità dell’ak è nota: il trekking a
cavallo, ma la caratteristica peculiare del gruppo è che
l’ak percorre i più arditi sentieri nel rispetto del
metodo, questo motivo differenzia il modo di agire e di pensare
dell’ak dalle altre associazioni che praticano il turismo
equestre, l’equitazione militare è ben differente
dall’equitazione sportiva, non solo i fini son diversi ma anche
l’approccio.
Per fare del trekking a cavallo nel rispetto del metodo è
“solo”necessario conoscere le regole elementari
dell’equitazione naturale, quella inventata dal Cap. Federico
Caprilli ed elaborata superbamente da Ruggero Ubertalli; ma
perché lui e non altri ottimi cavalieri della vecchia scuola
sono importanti per noi miseri cavalieri della domenica?
Perché Ubertalli ha dedicato il suo tempo
“all’istruzione a cavallo delle reclute “che poi
sarebbero diventate effettivi nei reggimenti di cavalleria.
Ogni riga dei suoi scritti su questo argomento sono vere perle, perle
che non possono essere distribuite a coloro a cui non importa sapere in
quanto non solo non verrebbero apprezzate ma in molti casi neanche
capite.
Ubertalli scrive:
'Se per l’equitazione superiore
non si può essere buoni istruttori senza essere ottimi
cavalieri, per l’equitazione elementare con dei modesti cavalieri
si possono fare buoni istruttori, purchè si dia loro un'idea
precisa di ciò che devono insegnare, occorre che gli allievi
abbiano istruttori con criteri più che uniformi: identici.'
L’esatto contrario di quello che avviene ora dove su dieci
cavalieri si vedono dieci assetti diversi, con selle e imboccature
diverse, questo si nota non tanto nei concorsi (ma
all’occhio attento anche lì) di periferia ma soprattutto
nell’orgia fai da te del turismo equestre.
Per fare del trekking occorre possedere le nozioni elementari
dell’equitazione naturale per rispettare le fondamentali regole
di sicurezza e rispetto.
Per l’alpitrek in particolare è di fondamentale importanza
conoscere la differenza tra equitazione militare e quella sportiva,
nell’ak non si deve “ vincere” nessuna garetta e
nessuna gincana, ma si deve essere operativi su qualsiasi tipo di
terreno in ogni stagione dell’anno con ogni tempo. I nostri
istruttori non sono buoni cavalieri ma vengono dalla vecchia scuola e
sicuramente non fanno danni.
L'esercito doveva mettere in sella uomini comuni in breve tempo senza rompere i cavalli. Questo era l'obiettivo di Ubertalli.
MF
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In
un articolo pubblicato sullo Sportman del 1926, Giovannini - uno dei
primi civili che partecipò a concorsi ippici - scriveva «
Ho conosciuto il ten. col. Ubertalli, allora sottotenente, al Concorso
internazionale di Torino del 1902 presentatomi dal cap. Caprilli con
frasi che suonavano così: è l’unico mio allievo che
mi capisce, egli sa fare quello che faccio io ed anche meglio. Ha un
intuito speciale, conosce la bocca del cavallo, supplisce alle
deficenze del cavallo con la propria elasticità ed il suo senso
dell’equilibrio... ». Ecco, in pochi tratti, il ritratto di
uno dei più illustri cavalieri della storia della nostra
equitazione, l’epigono della vecchia Scuola di Cavalleria,
l’ultimo dei grandi maestri, il fedele compagno ed amico di
Caprilli, l’interprete più intelligente del
“sistema”.
Ruggero
Ubertalli (1877-1974) iniziò la sua carriera militare
all’età di 15 anni all’Accademia Navale di Livorno
per passare poi, a 19 anni, a quella di Modena. Nominato sottotenente
di Cavalleria nel 1898 venne assegnato, due anni dopo, ai
“Lanceri di Milano” dove prestava servizio il tenente
Caprilli, già noto per la sua bravura e per i successi a
cavallo. Con lui erano altri nomi della nostra equitazione: Pandolfi,
Calvi, Piscicelli, Anseimi, Bianchetti, future colonne
dell’equitazione naturale.
Caprilli intuì presto le doti atletiche e la sensibilità
di Ubertalli, del quale apprezzava particolarmente la spiccata
elasticità e la flessuosità naturale, tanto che Barontini
scrisse osservando Ubertalli a cavallo: “un’armonia, un
accordo, un assieme così perfetto fra cavaliere e cavallo, non
si sono visti giammai”.
Ubertalli, vincitore di innumerevoli concorsi, montò spesso
cavalli “difficili” ottenendo risultati che altri cavalieri
ritenevano impensabili, come, ad esempio con Gitomor. Questo cavallo,
figlio di un trottatore, che aveva partecipato a dei cross in Francia,
portato in Italia da Antonelli venne affidato a Ubertalli che lo
lavorò inizialmente alle redini elastiche, - come ricorda Mario
Badino Rossi - per togliergli il vizio di rovesciare la testa. Superato
questo difetto il cavallo continuò a non tollerare il minimo
disturbo, infatti pretendeva che il suo cavaliere rimanesse fermo in
sella. Cavallo molto generoso, gran saltatore, con pochi tempi di
galoppo passava i due metri e non sapeva cosa volesse dire toccare
l’ostacolo. Quando Ubertalli lasciò la Scuola, il cavallo,
considerato troppo difficile e nervoso, venne adibito al carro bagaglio
e poi riformato ed... abbattuto!
La
fama di Ubertalli è legata, in particolare, al cavallo Vissuto.
Quando il binomio si incontrò per la prima volta - verso la fine
del 1908 - il cavallo da otto mesi non si lasciava più montare,
era un soggetto particolare che non sopportava il benché minimo
sbatti¬mento di gambe. Nessun cavaliere principiante sarebbe stato
in grado di montarlo in percorso. Alcuni nomi illustri lo montavano,
esclusivamente in gare di elevazione, su un singolo ostacolo,
riducendolo però un animale intrattabile ed immontabile, tanto
che non usciva più dalla scuderia. In queste condizioni lo
trovò Ubertalli, che ricominciò il suo addestramento con
pazienza e progressione. Venne presentato in concorso
aH’internazionale di Torino nel 1911 ed a Genova nello stesso
anno. Il binomio Ubertalli-Vissuto divenne l’idolo dei concorsi
ippici per diversi anni. « Pur sempre pauroso, la sua entrata in
campo - scrive ancora Mario Badino Rossi - aveva qualcosa della
corrida, nel momento in cui il toro... vede aprirsi la porta
dell’androne sotto le tribune e crede di essere libero... ».
Per concentrarlo sugli ostacoli e per limitare il campo visivo, per
evitare che si spaventasse oltre il dovuto, Ubertalli munì il
suo grigio di paraocchi, permessi a quel tempo dai regolamenti. Vissuto
raggiunse la massima fama conquistando il record di elevazione con un
salto di 2,20 m. Questo primato venne battuto soltanto nel 1938 da un
altro caprilliano, Antonio Gutierrez, con un salto di 2,44 m.
Commentando la fotografia che ritrae Ubertalli e Vissuto al culmine
della parabola dei 2,20 m, Badino Rossi annotò « ... il
cavaliere è fermo in sella e composto, nell’assieme del
cavallo, come su di un ostacolo di medie dimensioni o normali di
percorso. La gamba è ferma, naturalmente cadente, non si sposta
né avanti né indietro, il tallone è basso, col
piede introdotto nella staffa, tipico giusto uso della staffa. Il
cavaliere posa le redini sulla base del collo del cavallo, con
semplicità e naturalezza come se il cavallo muoves¬se al
passo, pronto a valersi dell’aiuto della martingala, se
necessa¬rio, nella preoccupazione, o attenzione, di non disturbare
minima¬mente il cavallo in questo momento critico, specie per la
sua sensibilità... ». Una applicazione pratica delle
regole del sistema caprilliano, il tutto a 2,20 m! Ubertalli divenne
uno specialista delle gare di elevazione. Si rese famoso fin dal
concorso internazionale di Torino del 1902 quando, in un fuori
programma, si cimentò con l’amico Caprilli alla conquista
del primato di elevazione. Come è risaputo Caprilli, al termine
della categoria di elevazione, vinta dal francese Daguillon Pujol,
deluso per essere stato eliminato al salto di 1,70 m montando un
cavallo che poteva superare i due metri, lanciò una sfida,
rivolta essenzialmente ai francesi, a chi in pratica, avesse superato i
due metri in tre tentativi. Propose in premio la ragguardevole cifra di
500 lire. Nessuno però si fece avanti ad eccezione di Ubertalli,
pur senza alcuna pretesa di vittoria. Caprilli con Melopo saltò
2,08 m, mentre il suo allievo, con Cheerful, si fermò la prima
volta col muso contro le barriere, la seconda volta passò netto
con l’anteriore, ma sfiorò con i posteriori facendo cadere
la barriera del verticale!
Ubertalli, profondo conoscitore di uomini e di cavalli, tecnica- mente
preparato, si affermò sia come cavaliere sia come istruttore.
Debuttò in concorso nel 1900 a Salsomaggiore vincendo una delle
gare di elevazione; nel 1902 partecipò allo
“storico” concorso internazionale di Torino presentando il
“sistema”; nell’anno successivo fece parte, con Bolla
e Calvi, della squadra che per la prima volta difendeva i colori
italiani all’estero, a Buenos Aires. Innumerevoli sono state le
sue vittorie. Da segnalare la sua affermazione nel 1911 nel campionato
del cavallo d’arma, una prova istituita da Caprilli.
La prima guerra mondiale vide Ruggero Ubertalli presente in reparti a
cavallo, poi dal 1915 nell’aviazione, come comandante della
Settima e Ventiseiesima squadriglia Voisin meritando una medaglia di
bronzo al Valore militare.
Terminato il conflitto ritornò all’attività
equestre. Partecipò alle Olimpiadi di Pershing con la cavalla
Gioconda. Fu direttore dei corsi della Scuola di Cavalleria,
comandò i reparti delle Guide e fu comandante di Genova
Cavalleria, di stanza a Roma. Fu nominato ispettore ippico e
veterinario. Percorse tutti i gradi della carriera militare fino a
Generale di Corpo d’Armata. Profondo conoscitore del mondo
equestre e delle dottrine del Maestro, grande uomo di cavalli, esperto
di ippologia e di ippotecnica, tecnico dell’allevamento, in cui
operò per affermare un prodotto nazionale, in parti- colar modo
quando diresse il centro di Lipizza, allora italiano, collaborò
anche con numerosi scritti alle principali riviste specializzate, in
particolare a II Cavallo Italiano. Ubertalli, quasi con un senso di
preveggenza, si rese conto, fin dagli anni Venti, che
l’insegnamento del Maestro, basato essenzialmente
sull’esempio e sulla pratica dei migliori allievi della Scuola di
Pinerolo, si stava perdendo. Nel 1923 le Industrie Grafiche Italiane
editarono un volumetto di 120 pagine dal titolo Elementi di Equitazione
naturale, frutto ed essenza del puro pensiero di un allievo diligente
ed intelligente. Da questa intuizione nacque il suo libro,
l’unico scritto dei tanti discepoli del Capitano.
« Dopo aver pietosamente radunate nell’urna, con le mie
mani, le ceneri del compianto capitano Caprilli, passati alcuni anni e
subentrata un po’ di calma nelle sorti dell’Arma, mi parve
ora di compiere un sacro dovere nel cercare di completare l’opera
che il destino Gli ha troncata... » scrisse nella prefazione del
lavoro dedicato “alla memoria del Maestro”.
Ubertalli
nella sua, forse troppo breve, opera elaborata in vista di una
equitazione militare e non sportiva, partì dal concetto che
Caprilli lasciò soltanto delle direttive e non un metodo di
insegnamento. Da questa mancanza di una codificazione scritta del
metodo naturale, nel tempo, sono derivate le varie “scuole”
fino a raggiungere un “non metodo” dei nostri giorni con i
risultati ben noti a chi frequenta i concorsi ippici!
« Il mio modesto lavoro - conclude l’autore - non ha altra
speranza ed altro scopo che questo: dare un metodo per insegnare gli
inoppugnabili principi del nostro sistema di equitazione, nel miglior
modo e nel più breve tempo ».
MARIO GENNERO
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