SOMMARIO

Anno V
Numero 2
Ottobre 2015

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ARCHIVIO

 

 

 

 

La moglie di un re

jack london
di Jack London

Questo racconto di Jack London è stato pubblicato sulla rivista Overland Mounthli nell’agosto del 1899, la rivista pubblicava un racconto di Jack al mese, che successivamente sono stati raccolti in un libro con il titolo Il Figlio del Lupo. sono racconti freschi, scritti appena tornato dal Klondike dove si era recato nel 1897 per partecipare alla corsa all’oro.
Sono racconti di estremo interesse per coloro che amano la vita selvaggia ed i rapporti che in questa i bianchi avevano con gli indiani : London era un romantico socialista e ha descritto la prospettiva poetica anche se veritiera dell’avventura, consiglio di leggerli, questo racconto in particolare eleva una squaw di una tribù remota al rango di donna bianca è un racconto delicato e che, importante sottolinearlo è scritto negli ultimi anni dell’800, genuino per quel tempo dove la mentalità vittoriana relegava di fatto il selvaggio all’inferiorità, London sa e non lo nega che il primitivo è effettivamente inferiore alla tecnologia dell’uomo bianco, ma capisce che è uomo e che può meritare rispetto, questo concetto falsamente radicato nella mentalità bianca odierna soprattutto da quelli che a parole predicano l’eguaglianza.
 La situazione nelle terre di confine metteva (e mette) in comunicazione realtà culturali diverse, estremamente diverse, Le donne bianche erano rare e molti uomini bianchi prendevano come mogli occasionali squaw comprandole, per la donna primitiva andar con l’uomo bianco era cosa più che apprezzabile, si trattava di elevazione sociale simile alla figlia del portinaio che sposa il padrone di casa o dell’ultima giovane segretaria che si mette con il direttore dell’azienda, il mondo è così è sempre stato così, sia qui sia là.
Il concetto della superiorità universale dell’occidente è radicata ora come allora, la tradizione affonda nella storia giudaico cristiana che pone l’uomo al vertice della dominazione sul mondo e sulle cose che in esso vivono, con questo diritto tutto boschi e bestie devono essere dominati e asserviti e l’uomo bianco considera bestie gli uomini primitivi. L’odierna bontà dell’uomo bianco consiste nell’elevare  “ per forza”  il primitivo rendendolo simile a lui, non solo pensa anche che sia cosa buona e giusta ma da per scontato che  debba essere pure contento, c’è un po’ di bieca arroganza?
La moglie di un re racconta un fatto che non è affatto arrogante perché scritto molti anni addietro e in terra di confine, London rende giustizia al preconcetto, non vuole distruggere la primitiva cultura bensì riconoscere che il cammino dell’uomo è complesso
Quindi chi legge ora deve tener presente alcune di queste considerazioni , considerazioni che tengono questo racconto lontano dall’arrogante omocentripicità bianca di “ l chiamavano due cuori” o da “ balla coi lupi”
MF
LA MOGLIE D’UN RE

Una volta, quando il Paese del Nord era ancora giovane, le virtù civiche e sociali erano ugualmente parche e semplici. Quando il carico delle faccende domestiche diveniva troppo greve e l'umore accanto al fuoco una continua protesta contro la desolata solitudine, l’avventuriero pagava in merci un certo prezzo e si prendeva una moglie indigena. Per quelle donne, la nuova vita era un saggio del Paradiso; ma i bianchi, per lo più, vi tacevano un magro affare. Anche i genitori delle spose o chi ne faceva le veci. Con le coperte di cotone e i calicò vistosi sì, ma niente affatto caldi, e il pessimo whisky che si prendevano in cambio delle donne e delle belle pellicce, i figli del suolo soccombevano presto all'etisia galoppante e ad altri mali più rapidi, correlativi inevita¬bili della benedizione d'una civiltà superiore.
In quei tempi d'arcadica semplicità, Cal Galbraith, traversando il paese, s'ammalò sul Fiume Inferiore. Fu un avvenimento nella vita monotona delle buone sorelle della Santa Croce, che lo ricoverarono e curarono, lungi dal sospettare l'ardente elisire che gl'infondevano col contatto delle loro tenere manine e con le loro gentili prestazioni. Strani pensieri turbarono Galbraith, e non gli lasciarono più pace, finché non mise gli occhi su Madeline, la ragazza della Missione. Ma non lasciò trapelar nulla, aspettò  paziente.  Si  rimise con  la  venuta  della primavera, e, quando il sole chiuse un cerchio d’oro in cielo e tutto il paese palpitò e brulicò di vita gioconda, ritrovò forze sufficienti per rimettersi m cammino.

Madeline era un'orfana. Suo padre, bianco, rifiutatosi un giorno di cedere il passo al grizzly, era morto molto presto. E la madre indiana, rimasta senza più nessuno che le rifornisse il cache, aveva tentato d'aspettare il ritorno dei salmoni con cinquanta libbre di farina e una ventina di lardo. Dopo di che la piccola Chook-ra era andata a vivere con le buone suore e un nome cristiano.
Ma non era proprio senza più nessun parente al mondo. Il più prossimo era uno zio che s'imbeveva delle zozze dei bianchi. Voleva andare tutti i giorni con gli dèi, e quell'andare, incidentalmente, lo portava diritto alla tomba. Quando non era ubriaco, soffriva tormenti squisiti. Non aveva coscienza.
A costui si presentò Cal Galbraith, e insieme consu¬marono molto fiato e tabacco. Infine, dopo mutue promesse, il vecchio pagano buttò qualche libbra di salmone secco nella sua canoa di corteccia, e partì alla volta della Missione della Santa Croce.
Quel che vi promise e mentì, non si saprà mai, che le suore non chiacchierano. Fatto sta che ne tornò con una croce d'ottone sul petto e la sua nipote Madeline nella canoa.
casa
Quella notte si celebrarono le nozze e un gran potlach, e per due giorni più nessuno del villaggio si sognò di pe¬scare. Madeline, scrollatasi dai mocassini la polvere del Fiume Inferiore, partì col marito in una barca a pertica, per vivere sul Fiume Superiore, in una regione chiamata Paese Inferiore. Fu una buona moglie, dividendo col marito i rigori del clima e della vita. Lo tenne anche sulla retta via, facendogli risparmiare la polvere d'oro e invogliandolo a lavorare. Tanto che trovò un buon giaciglio, si fabbricò una bella baracca a Circle City e si fece invidiare  da tutti  quelli  che  venivano  a  trovarlo. Ma poi, maturando il paese, vi comparvero le amenità sociali. Il Sud, che fino allora vi aveva mandato soltanto i suoi figli, cominciò a mandarvi anche le sue figlie. Non erano né mogli né sorelle; tuttavia non mancarono di mettere idee nuove in testa agli uomini e di elevare a modo loro il tono della vita. E le squaw non si raccolsero più a formare girotondi e librarsi nelle allegre danze virginiane. Si trincerarono nel loro stoicismo e in silenzio guardarono spadroneggiare le bianche.
Un altro esodo del prolifico Sud passò i monti. Questa volta di donne che divennero subito potenti nel paese. La loro parola faceva legge, e la loro legge era come l'acciaio. Guardarono dall'alto in basso con fiero cipiglio le donne indiane, e le altre si frenarono, si fecero umili. Tanti uomini, allora, si vergognarono dei vincoli stretti con le figlie del suolo e guardarono malevoli la loro bru¬na prole; ma tanti anche rimasero fedeli e orgogliosi della compagna indigena. Così Galbraith, quando venne l'usanza di divorziare, si mostrò uomo e sfidò la mano pesante delle ultime arrivate, che non sapevano quasi nulla del paese, eppure vi regnavano.
Un giorno, il Paese Superiore, che si stende lontano a nord da Circle City, fu dichiarato ricco. Slitte tirate da cani portarono la notizia al mare, navi la portarono attraverso il Pacifico Settentrionale, cavi e fili se la rilanciarono, e il mondo sentì parlare per la prima volta del Klondike e dell'Yukon.
cache
Galbraith aveva vissuto tranquillo fino allora. Era stato un marito esemplare per Madeline, che lo aveva reso felice. Ma ora una confusa scontentezza lo agitava una vaga nostalgia della vita che lo aveva escluso, una cieca voglia di rompere la stretta cerchia delle sue abitudini. Scendevano il fiume di continuo notizie sensazionali del favoloso Eldorado, descrizioni mirabolanti della città di tronchi e tende, e storielle gustose dei cieciaqui che s’erano abbattuti come cavallette sul paese. Circle City era morta. Il mondo aveva risalito il fiume, cambiando specie, diventando un mondo di meraviglie.
Galbraith volle vedere quelle cose coi suoi occhi. E terminato il lavaggio, versò qualche centinaio di libbre d'oro sulle grandi bilance della Compagnia e si prese un assegno pagabile a Dawson. Poi affidò le sue miniere a Tom Dixon, baciò Madeline, promise di tornare prima del ghiaccio poltiglioso, e s'imbarcò su un vaporino diretto a monte.
gente yukon
Madeline aspettò - aspettò per tutti i tre mesi di luce diurna. Nutrì regolarmente i cani, dedicò gran parte del suo tempo al piccolo Cal e guardò sbiadire la breve estate e il sole cominciare il lungo viaggio a sud. Pregò anche molto, al modo che le avevano insegnato le buone suore di Santa Croce. Venne l'autunno; l'acqua dell'Yukon s'addensò in una poltiglia ghiaccia, i re di Circle City tornarono alle loro miniere, ma non Gal¬braith. Però uomini di Tom Dixon le portarono con le slitte la legna per l'inverno, e la Compagnia le rifornì il cache con le sue merci migliori, informandola che po¬teva disporre d'un credito illimitato.
L'uomo è sempre stato la causa principale del dolore della donna, e in questi casi, al solito, tutti s'accordano a parlar male d'un assente, tutti, salvo l'abbandonata. Così, senza inutili indugi, Madeline sentì narrare strane cose di Galbraith; anche d'una ballerina greca, che giocava con gli uomini come i bambini coi birilli. Madeline era un'indiana, non solo, ma anche non aveva nessuna amica cui chiedere consiglio. Pregò e pensò, e una notte attaccò i cani e se n'andò, col piccolo Cal ben imbacuccato sulla slitta.
L'Yukon era ancora navigabile, ma il ghiaccio delle rive già cresceva, e il fiume s'assottigliava di giorno in giorno. Chi non ha mai provato nulla di simile non può farsi neppure una lontana idea delle fatiche affrontate da quella donna, percorrendo cento miglia sull’orlo ghiacciato del fiume, e duecento poi sulla via vergine del fiume gelato.
Ma era un indiana, e una notte arrivò alla baracca di Bimbo Malemuto. Questi sfamò una muta molto affamata, mise a letto un piccino che scoppiava di salute, e soccorse una donna sfinita. Le levò i mocassini agghiacciati, ascoltando la sua storia, e le immerse la punta del suo coltello nei piedi, per vedere fin dove il gelo li aveva penetrati.
Nonostante la sua tremenda virilità, Bimbo Malemuto aveva un fondo tenero, un elemento puramente femminile, che si guadagnava la fiducia del più ringhioso cane-lupo e strappava confessioni al cuore più incallito. Senza provocazioni. I cuori gli si aprivano spontaneamente come i fiori al sole. Finanche Padre Roubeau si era confessato a lui, e gli uomini e le donne del Nord bussavano sempre alla sua porta - una porta sempre aperta a tutti. Madeline lo conosceva fin da quando aveva cominciato a consorziare con la razza di suo padre, e alla sua mente semibarbara pareva che ogni saggezza dovesse convergere in lui, che tra lui e l'avvenire non potessero  esserci veli.
Falsi ideali erano nati nel paese. La società di Dawson non era più come le precedenti comunità di quelle regioni, la cui maturazione precipitosa implicava molti mali. Questo, Bimbo lo sapeva, e ben conosceva Galbraith. Sapeva pure che una parola avventata può spesso generare malanni. E voleva trarre una grande lezione da quel caso, e svergognare l'infedele. Convocò, pertanto, la notte seguente, Stanley Prince, il giovane ingegnere, e Jack Harrington, detto il Fortunato, col suo violino. Quella stessa notte, Bettles, che doveva molto a Bimbo Malemuto, attaccò i cani di Galbraith, assicurò sulla slitta il figliolo di Galbraith, e s'allontanò quatto quatto nel buio, verso il fiume Stuart.
- Così: un, due, tre… un, due, tre. E ora indietro. No, non così. Da capo, Jack. Guardate, così.
Prince mostrò il passo da esperto conduttore di cotillon.
- Adesso: Un, due, tre... Un, due, tre. Indietro! Ah così va meglio.  Provate ancora.  Ma  senza guardare i piedi. Un, due, tre... Un, due, tre. Più piccoli i passi. Non siete mica alla stanga, adesso. Provate ancora. Ecco, così va bene. Un, due, tre... Un, due, tre.
Madeline girava e rigirava in un valzer interminabile. La tavola e le sedie erano state respinte contro le pareti, Bimbo Malemuto, seduto sulla branda coi gomiti sulle ginocchia e il mento tra i palmi, guardava molto interessato. Harrington, seduto accanto, raschiava il violino seguendo i passi.
Era una situazione unica, quella, e soprattutto patetico era il suo spirito pratico. Madeline veniva allenata razionalmente, come un atleta a una contesa o un cane-lupo a una corsa. Sfuggita nell'infanzia alle fatiche che incombono al più delle donne della sua razza, era ben fatta, snella e dotata di molta grazia naturale. Quella grazia veniva ora sviluppata e foggiata.
- Il male si è che ha imparato a ballar male, - disse Prince, deponendo la sua allieva sfiatata sulla tavola - Impara presto, sì, ma imparerebbe meglio, se non avesse mai ballato. E bisognerà svezzarla di quel modo di tener la testa tra le spalle, quando cammina.
-  Fortuna  ch'è cresciuta alla Missione. È un'abitudine che viene camminando in testa alla slitta con la cinghia da spalla. Le altre indiane l'hanno peggio. Lei ha tirato solo da sposa e solo da principio. Ha visto brutti tempi con quel suo marito. È passata per la  fame di Quaranta Miglia.
-  Ma potremo levargliela, quell'abitudine?
-  Mah! Qualche passeggiata un po’ lunga con gli allenatori le farà bene. Vero, Madeline?
L'indiana accennò di sì col capo. Se lo diceva Bimbo, che sapeva tutto, non poteva essere diversamente.  Prince la osservò, pressapoco come si osservano i cavalli all'ippodromo. E con subito interesse le domandò:
-  A proposito,  quanto s'è preso quel vostro zio astemio?
-  Un fucile, una coperta e venti bottiglie d'hooch. Il fucile era rotto.
Parlava un buon inglese, con le peculiarità del marito e, ancora percettibile, l'accento indiano, il tradizionale affiorare di strani suoni gutturali. Anche contro questo difetto s'erano diretti, e non senza successo, gli sforzi dei suoi istruttori.
Nella seguente lezione, Prince fece una scoperta.
-  Ma dico, Bimbo, qui c'è una svista. Non può imparare coi mocassini.  Ci vogliono scarpette  e  un impiantito incerato.
Madeline guardò sorpresa i suoi mocassini. In inverni precedenti aveva ballato tante volte con simili calzari a Circle-City e a Quaranta Miglia, e nessuno vi aveva mai trovato nulla da ridire. Ma in quella città tanto diversa... A ogni modo, se c'era un inconveniente anche lì, Bimbo vi avrebbe certo provveduto.
Infatti, Bimbo vi provvide. Prese i guantoni e il berretto, e andò a fare una visita alla signora Eppingwell, moglie d'un alto funzionario del Governo. Bimbo aveva notato al Ballo del Governatore che quella signora aveva piedi molto piccoli. E sapendo ch'era donna di spirito quanto bella, ritenne facile ottenerne un favoruccio.
Al suo ritorno, Madeline si ritirò un momento nella stanza interna. Ne tornò fuori con piedini che fecero trasecolare Prince.
-  Perdinci!  Chi l'avrebbe creduto? Che streghetta! Ma se mia sorella...
-  È un'inglese, tua sorella, - l'interruppe Bimbo - con un piede inglese. Madeline è d'una razza di piedi piccoli. I mocassini non sformano i piedi, e da bambina non le è toccato correre coi cani.
Ma ciò non bastava a capacitare Prince. E Harrington, toccato nel suo istinto commerciale, guardava i piedini squisiti, pensando alla sordida lista - un fucile, una coperta e venti bottiglie d'hooch.
Madeline era la moglie d'un re dell'oro, che avrebbe potuto  comprarsi una  ventina  di  bambole alla moda pure i suoi piedini non avevano mai conosciuto altro che i mocassini in pelle di cervo conciato a rosso. Dapprima aveva guardato con meraviglia le  delicate scarpette di seta bianca; ma poi comprese subito l'ammirazione che vedeva negli occhi degli uomini.  Arrossì orgogliosa, inebriata un momento dal suo successo.  Poi mormorò tra sé:
- E il fucile era rotto!
indiani klondike      
L'allenamento continuò. Ogni giorno Bimbo accompagnava Madeline in lunghe passeggiate, per correggerne il portamento e accorciarne il passo. Che venisse riconosciuta per via, era poco probabile, poiché Galbraith e gli altri vecchi del paese erano completamente sperduti tra i nuovi invasori. Inoltre le tenere donne del Sud avevano messo in uso certe maschere di tela per ripararsi il viso dal freddo; e così mascherate e imbacuccate nelle parke di scoiattolo, madre e figlia potevano passarsi davanti senza riconoscersi.
L'allieva faceva progressi. Prima lenti,  poi  con un subito acceleramento, cioè da quando aveva calzato per la prima volta le scarpette di seta. Il sangue del suo padre bianco s'era asserito. Fino allora s'era creduta d'una razza inferiore, una  donna non sposata, ma comprata. Mai, nemmeno dopo la nascita del figliolo, s'era sentita pari al marito. E come il marito, aveva considerato anche le donne della sua razza specie di divinità. Può darsi che la familiarità generi un certo disprezzo; fatto sta che da qualche tempo Madeline comprendeva meglio i bianchi. Vero che la sua mente era incapace d’analizzare, ma in quelle cose si valeva della chiarezza di visione ch’è propria alle donne in generale. La sera delle scarpette, l’ammirazione dei tre amici l’aveva indotta a fare confronti. I quali, naturalmente, non potevano limitarsi ai piedi e alle caviglie. E la divinità delle sue sorelle bianche cadde m frantumi. Erano soltanto donne come lei, e perché mai si credevano superiori a lei? La nozione dei suoi difetti le diede forza. E tanto s’applicò a correggersi, che i suoi allenatori, meravigliati, sovente si trattennero fino a tarda ora discutendo l'eterno mistero femminile.
Così s'avvicinò la notte di San Silvestro. A intervalli irregolari, Bettles mandava notizie del piccolo Cal, dallo Stuart. Presto dovevano ritornare. Intanto, chi entrava nella baracca, attirato dalla musica e dal battito dei piedi, vi trovava solo Harrington che menava l'archetto con fervore, e gli altri due che battevano il tempo o discutevano un passo controverso. Madeline riusciva sempre a scomparire in tempo.
Una di quelle sere entrò anche Galbraith. Notizie incoraggianti erano venute dallo Stuart, e Madeline s'era superata - non solo nel camminare, nel portamento e nella grazia, ma anche con la lingua. S'era difesa brillantemente in una vivace schermaglia, e, trascinata dall'ebbrezza del momento, aveva strapazzato, mortificato e lusingato i suoi istruttori con una disinvoltura e una foga che nessuno dei tre le sospettava. E tutt'e tre, involontariamente, d'istinto, s'erano inchinati, non alla sua bellezza né alla sua saggezza ne al suo spirito, ma a quel che d'indefinibile ch'è l'essenza della donna. Ora ella vorticava con Prince nell'ultima danza della serata, mentre Harrington improvvisava variazioni sorprendenti e Bimbo ballava per conto suo con una scopa.
Udendo bussare, Harrington continuò imperturbato, Madeline si precipitò nella stanza interna, la scopa scomparve sotto la branda e, quando Galbraith e Savoy s'affacciarono all’uscio, Bimbo e Prince ballavano una scottisch frenetica.
Di regola, le indiane non sono facili a svenire; pure Madeline giunse molto vicino a uno svenimento quella sera. Per un'ora ascoltò rombar i vocioni degli uomini, e le familiari flessioni del marito le andavano al cuore alle ginocchia. Così, stremata dall'emozione, non attese le ultime battute di quella conversazione.
-  Quando conti di tornare a Circle City? - domandò Bimbo, semplicemente.
-  Non ci ho ancora pensato. Non prima del disgelo, probabilmente.
-  E Madeline?
Galbraith arrossì e abbassò gli occhi, e Bimbo lo avrebbe certo disprezzato per quell'atto, se non avesse conosciuto bene gli uomini.
-  Credo che stia bene. Tom Dixon cura i miei interessi laggiù e bada che non le manchi niente.
Bimbo lo zittì bruscamente, prendendogli un braccio. Erano usciti all'aperto. L'aurora boreale proiettava miracoli di colori. Sotto, a piè del colle, dormiva la città improvvisata. Un cane lontano si mise a ululare. Galbraith volle dir qualcosa, ma Bimbo ancora lo zittì. L'ululo si moltiplicò. Ripreso da un cane dopo l'altro, divenne un coro ch'empì tutta la notte. Chi l'ode per la prima volta, si trova davanti al primo e maggior segreto del Nord; chi l'ha già udito sovente, vi sente il lamento solenne del passato. È un lamento d'anime in pena, vibrante del retaggio del Nord: sofferenze immani d innumerevoli generazioni.
Galbraith rabbrividì quando l'orrendo coro andò morendo in singhiozzi. Bimbo, leggendo i suoi pensieri, riandò con lui i terribili giorni di carestia e d’epidemia, e ricordò la paziente Madeline, che divideva sofferenze e pericoli, senza mai lasciarsi sfuggire un lamento. Tanto da suscitare nella mente dell'interlocutore molte immagini vivide, nitide e spaventose, tanto che il passato gli toccò il cuore con un dito pesante. Poi una stretta di mano e la neve protestò sotto i mocassini ricamati del re di Circle City.
Madeline, adesso era molto diversa dalla vivace creatura d'un'ora prima. Snervata, spossata, sedeva giusto come l'avevano accomodata Prince e Harrington. Bimbo s'accigliò. Così non poteva andare. Doveva poter sostenere un incontro col marito con animo diverso, alla maniera delle bianche, se no, la vittoria si sarebbe mutata in una sconfitta. Le parlò seriamente, senza mitigare i termini, iniziandola nelle debolezze del suo proprio sesso, rivelandole la semplicità fondamentale dell'uomo, per cui la parola della donna fa legge.
Alcuni giorni prima della notte di San Silvestre, Bimbo Malemuto fece un'altra visita alla signora Eppingwell. La quale mise subito a soqquadro la sua guardaroba, si recò al reparto tessuti della P. C. Company, e tornò con Bimbo per far la conoscenza di Madeline. Cominciò un periodo molto insolito per quella baracca: fu trasformata in una sartoria, e i cospiratori maschi dovettero star fuori. Li ospitò provvisoriamente l’Opera House. E là, vedendoli sempre insieme a confabulare e brindare alla riuscita di chissà quale impresa, molti subodorarono torrenti pieni zeppi d'oro, e sta di fatto che anche un «vecchio» tenne il suo sacco da corsa dietro il bar, pronto a incamminarsi.
La signora Eppingwell sapeva fare le cose per bene, e quando lasciò Madeline ad opera compiuta, la sera di San Silvestro, i suoi allenatori n'ebbero quasi paura. Prince le mise sulle spalle una coperta d'Hudson Bay con un inchino molto più serio che faceto, e Bimbo, offrendole il braccio, trovò molto difficile riprendere il suo carattere di mentore. Harrington, con ancora in mente la lista delle merci chieste in cambio dall'indegno parente, fece seguito zitto zitto. Alla porta posteriore dell'Opera House, la coperta di pelli fece un tappeto, sul quale Madeline si levò i mocassini di Prince e si mise le scarpette di seta. La mascherata era completa.  Ella esitò ma i suoi compagni aprirono la porta e la spinsero dentro. Poi, fatto il giro di corsa, entrarono per la porta anteriore.
« Dov'è Freda? » si domandavano i vecchi del paese, mentre i cieciaqui erano ugualmente curiosi di sapere dove fosse Freda. Non s'udiva che quel nome nella sala da ballo; era su tutte le labbra. Canute «paste acide» che lavoravano in miniere altrui a un tanto al giorno, guardavano dall'alto i verdi novellini, mentendo con eloquenza - le «paste acide» erano fatte apposta per scherzare con la verità - e indignandosi rumorosamente di fronte a certe ignoranze. Erano presenti una quarantina di «re» dei paesi Superiore e Inferiore, e ciascuno appoggiava i suoi giudizi con la polvere gialla del suo regno.
Chi era Freda? Ogni tanto qualcuno credeva d'aver scoperto la ballerina greca, provocando un panico nel banco delle scommesse. Bimbo Malemuto, molto interessato a quella caccia, era clamorosamente richiesto da tutti i suoi numerosi conoscenti. Famosi erano i suoi occhi aguzzi e il suo orecchio fino, ma pareva che la ballerina greca dovesse sfuggire anche alla sua penetrazione. Poich'egli mostrava di ravvisarla in una bella creatura che scintillava nel costume dell'«Aurora Boreale», mentre la maggioranza concentrava il verdetto sulla «Principessa Russa», la più graziosa indiscutibilmente.
Durante una quadriglia, scoppiò un clamore. Freda Moloof era scoperta. In balli precedenti aveva sfoggiato un passo inimitabile con variazioni sue proprie. E ora la «Principessa Russa» aveva ripetuto quel passo con le stesse variazioni. Non c'era più dubbio. E la sala vibrava ancora di fragorosi «Non te l'ho detto che era lei?»,   quand'ecco  l'«Aurora Boreale» e lo «Spirito del Polo» esibirsi non meno bene con quello stesso passo e quelle stesse variazioni. E quando le «Stelle Gemelle» e la «Regina del Gelo» mostrarono di saper fare altrettanto, il pesatore, al banco delle scommesse, dovette farsi aiutare.
Nel pieno di quell'eccitamento generale entrò Bettles come un uragano di gelo. Le sue sopracciglia si sciolsero in cateratte  e  i  suoi  baffi brillarono come ingemmati, mentre i suoi mocassini e i suoi calzettoni tedeschi mandavano pezzi di ghiaccio tra i piedi alati delle coppie danzanti. I balli del Nord sono molto alla buona, chè i torrenti e la Via Bianca tolgono all'uomo ogni sorta di fastidiosità; solo nelle alte sfere ufficiali si osservano le convenzioni. Qui tutti erano uguali, milionari e squattrinati, conducenti  di  cani e ufficiali di polizia si davano la  mano  per  girare  attorno  alle  dame.  Primitivi nei loro divertimenti, allegri e rumorosi, non erano però rozzi; anzi, la loro rude cavalleria era genuina quanto la cortesia più raffinata.
Galbraith, cercando la ballerina greca, riuscì a mettersi nella stessa figura della «Principessa Russa », sulla quale era intanto tornato il sospetto della maggioranza. Ma dopo averla guidata attraverso una danza, si sentì di poter scommettere tutti i suoi milioni che quella non era Freda, non solo, ma anche d'averla già cinta altre volte col braccio. Quando e dove non sapeva; era un che d’intimo che lo turbava e lo incitava a scoprirne l’identità.  Bimbo Malemuto  avrebbe potuto aiutarlo, invece di far giri con la «Principessa» e bisbigliarle, all’orecchio. Ma il più assiduo corteggiatore della «Principessa» era Harrington.Trasse in disparte Galbraith, per confidargli certi sospetti molto fantastici. L’uomo non è monogamo di natura, e il re di Circle City dimenticò e Madeline e Freda.
Presto si diffuse la voce che la «Principessa Russa» non fosse Freda Moloof. E l’interesse si avvivò. Ecco un nuovo enigma. Tutti conoscevano Freda, pur non riuscendo a trovarla, e ora trovavano una che nessuno. Neppure le donne sapevano dire chi fosse; eppure si conoscevano tutte,  e tanto meglio conoscevano quelle che sapevano ballar bene. Molti sospettarono in lei una signora della sfera ufficiale, venuta a dare uno strappo all'etichetta. E non pochi prevedevano che sarebbe  scomparsa  senza  smascherarsi. Altri erano convinti ch'ella fosse la corrispondente speciale della Stella di Kansas City, venuta a cucinare un articoletto a novanta dollari la colonna. E intanto, al banco delle scommesse, i pesatori avevano un gran da fare.
All'una, tutte le coppie si raccolsero sul parquet, e tra le risate e l'allegria rumorosa dei bambinoni spensierati cominciò lo smascheramento. Ogni maschera levata faceva scoppiar cori d' «ah!» e  «oh! ». La fulgida « Aurora Boreale» rivelò le fattezze ridenti e molto note d'una negra che si guadagnava cinquecento dollari al mese lavando i panni della comunità. Le «Stelle Gemelle » mostrarono i baffi e i tratti molto maschi di due fratelli, che sfruttavano insieme uno dei migliori giacimenti dell'Eldorado. La quadriglia più prominente e più lenta a smascherarsi era formata da Galbraith con lo «Spirito del Polo» e da Harrington con la «Principessa Russa ». Le altre s'erano già scoperte, e la ballerina greca era ancora da scoprire. Tutti gli occhi s' appuntavano sulla quadriglia. Galbraith, esortato da molte grida, levò la maschera alla sua dama. Ed ecco comparire il bel viso e gli occhioni magnifici di Freda. Scoppiò un tumulto, bruscamente soffocato dal mistero della «Principessa Russa». Aveva ancora la maschera e Harrington lottava per levargliela. Le altre coppie danzavano sul posto, aspettando.  Infine, in una stretta che sgualcì un pochino il bel costume, la maschera cadde e tutti scoppiarono in pazze risate. Erano stati burlati: avevano ballato tutta notte con un tabu, una donna indigena.
Ma quelli che la riconobbero, ed erano parecchi, zittirono gli altri. E in un silenzio drammatico, Galbraith si fece avanti e apostrofò sua moglie nell’idioma dei Cinuk. Madeline non si scompose: indifferente dei molti occhi che la fissavano, rispose pacata in ottimo inglese.
Non mostrava né paura né sdegno, e Bimbo se la godette: non poteva sperare un risultato migliore. Si sentì sconcertato, sconfitto; la sua volgare moglie sivascia lo metteva a posto come una gran signora.
- Vieni, - disse infine. - Andiamo a casa
- Scusate, ho promesso di cenare col signor Harrington, e mi sono impegnata per molte danze.
Harrington le diede il braccio e se la portò via, benché non ci tenesse affatto a presentar le spalle al marito. Il quale rimase sbalordito. Due volte si portò la mano alla cintola, e due volte Bimbo, che gli stava vicino, si preparò a saltare. Ma la coppia giunse sana e salva alla sala da pranzo, dove le ostriche erano apparecchiate a cinque dollari il piatto. La folla tirò un sospiro di sollievo, si sciolse in coppie e seguì. Freda entrò nella sala da pranzo con Galbraith; ma aveva buon cuore e una lingua sicura. Quel che gli disse, non importa; fatto sta che lui si fece alternamente molto rosso e molto pallido, e snocciolò molti moccoli.
Il pandemonio della cena cessò bruscamente quando Galbraith si alzò e andò al tavolino della moglie. Molti avevano già scommesso quantità rilevanti d'oro sull'esito di quella faccenda. Gli occhi azzurri d'Harrington guardavano sereni, ma sotto la tovaglia una pistola Smith & Wesson si teneva pronta tra le sue ginocchia. Madeline guardò su, casualmente, come le si fosse avvicinato un cameriere.
- Posso...  posso ballar la prossima con te? -  balbettò il re.
La moglie del re guardò il suo cartoncino e accennò di sì con una piccola mossa del capo.