SOMMARIO

Anno VI
Numero 1
Gennaio 2016

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ARCHIVIO

 

 

Andrea ha chiesto consigli all’ak per le tappe del suo viaggio seguendo le tracce del mitico  Lucio, partirà in maggio, è interessante leggere le risposte di tre guide che in anni diversi hanno percorso sentieri diversi diventati in una certa maniera paralleli.
Ecco le risposte:

ELISA BOZZI
L'unico viaggio lungo (1 mese) che ho fatto a cavallo era un viaggio di piacere, da sola, non avevo programmato niente tranne la partenza e l'arrivo, e forse ho camminato di più di quanto sono stata in sella.
Le cose più importanti che ho imparato durante il viaggio sono:
ascoltare a fondo il mio cavallo e me stessa, gestire le nostre energie, non tirare troppo la corda.
Ho imparato ad alleggerire il più possibile la schiena del cavallo (bisacce laterali e cilindro post) e portare più peso possibile sugli anteriori
Ho imparato che l'equipaggiamento è importante al pari dello spirito e dell'esperienza con i quali lo usi e lo prepari.
Ho imparato che si sta meglio con l'essenziale.
Ho imparato a diffidare delle persone che chiacchierano molto o che si mostrano grandi.
Ho imparato che è meglio osservare che chiedere.
Ho imparato che è fondamentale parlare anche a lungo con la gente del luogo, ma bisogna fare l'occhio alle persone giuste e trovare il modo giusto.
Ho imparato a diffidare delle persone che danno troppi consigli o giudizi, e che vogliono organizzarti le giornate.
Ho imparato a fare poco affidamento, o meglio nessuno, sugli altri e basarmi sulle mie forze e su quelle del cavallo.
Ho imparato che la paura, il caso, la fortuna e la sfortuna, esistono, non si può controllare sempre tutto, ma si può imparare ad affrontare i problemi e a reagire nel modo giusto, o quasi!
Ho imparato che le ippovie sono una bufala.
Ho imparato ad apprezzare la vera compagnia equestre ed umana.
Ho imparato il significato di umiltà.
Diverso è quando viaggio per lavoro: le tappe sono sempre organizzate al dettaglio, così come il percorso, e lascio sempre il minimo possibile al caso. Ho imparato a verificare sempre di persona i percorsi e a non fidarmi mai dei racconti della gente, professionisti o amatori, anche se ispirano fiducia! Ho imparato che la cosa più importante è conoscere, addestrare e potersi fidare dei cavalli. Comunque le cose sopra elencate le porto sempre con me.
Per quanto riguarda i percorsi equitabili: forse posso dirti qualcosa riguardo le province di Parma, Reggio, Modena, Lucca, Pisa, Massa Carrara, se vuoi sai come contattarmi. 
Buon viaggio!
elisa
 

ARIANNA CORRADI
Ciao Andrea,
ti mando qualche osservazione che mi è venuta in mente e pensando ai miei viaggi a cavallo, magari qualcosa ti potrà tornare utile:
- fare dei tratti a piedi aiuta non solo il cavallo, ma anche il cavaliere, a non arrivare troppo stanco a fine tappa, anche se può sembrare il contrario.
- ho sfruttato molte volte la presenza di corsi d’acqua vicini a fine tappa, per un buon pediluvio dopo le tappe più impegnative.
- la stanchezza gioca brutti scherzi, e può far inciampare nei guai. Nelle situazioni difficili da gestire, dove sembrava di non aver tempo per pensare, ho imparato a fermarmi, magari preparare un tè e berlo guardando il mio cavallo tranquillo pascolare, e poi sgrovigliare i guai. C’è sempre tempo per evitare che le cose possano andare peggio.
- è importante partire con equipaggiamento curato e collaudato, e con una buona preparazione su come gestire il cavallo e la strada, ma è altresì importante essere attenti a ciò che la strada, e il proprio cavallo, insegnano, pronti a cambiare programma, adattandolo alle situazioni, senza che gli imprevisti demoralizzino o accechino.
Buon vento e buona strada
arianna
 
PAOLA GIACOMINI
caro Andrea,
mi chiamo paola e sono una viaggiatrice a cavallo. Se ho capito bene l'itinerario che hai in mente, c'è solo un tratto della tua strada che io abbia già percorso: da Bobbio in Val Trebbia a Borgo Val di Taro. Su quel tratto di strada ho trovato una segnaletica eccellente, ti consiglio di non abbandonarla anche se fa qualche giro strano, l'unico punto dubbio è il guado sul Nure che, se ha poca acqua è un fiumiciattolo e se invece piove diventa un vero fiume. Proprio l'approdo dall'altra parte è piuttosto vago ma se prendi la strada asfaltata che sale lì di fronte, ritrovi la via che la attraversa. Non è la via più breve, è quella più selvaggia e al colle verso Bardi ho visto un punto di appoggio dove mi hanno detto che sono molto contenti di ospitare cavalli, c'è un ponte a monte di Crocelobbia, ma se piove segui la variante che passa da Farini e sei tranquillo. Se avrai modo di fermarti nel paese di Bardi, è uno di quei posti dove sembra di prendere la macchina del tempo, sopratttutto lungo la mulattiera che scende a lato del castello.
Acqua e fieno sono facili da trovare.
Per il resto, io sono arrivata lì la prima volta senza sapere nulla della via degli abati, avevo semplicemente guardato sulla carta 1:1000000 come erano disposte le valli di quella regione. E' la geografia che genera il percorso. Dove passavano i cavalli mille anni fa, passano anche adesso. Raggiunto il ponte gobbo a Bobbio, è stato il ponte stesso a dirmi che scegliere di passare di lì era stata una buona idea.
Regole generali:
-costruire una rotta parallela a un corso d'acqua, o in fondovalle o in cresta, permette di evitare il più possibile dislivelli inutili.
-quando la rotta attraversa un grosso corso d'acqua (o autostrada o strada nazionale), prevedere da lontano il ponte o sottopassaggio dove attraversarlo per puntare direttamente lì.
- quando la rotta attraversa delle valli, conviene portarsi alla testata delle stesse e passare da una all'altra senza scendere troppo di quota. 
Le indicazioni particolari che ti ho scritto lasciano il tempo che trovano, è molto più importante considerare una buona dose di improvvisazione.
Le regole generali che utilizzo per scegliere le zone da attraversare sulla carta, le ho testate più volte e spero che ti possano servire.
buona strada
paola
 
MAURO FERRARIS
 Caro Andrea
nelLe tappe di un viaggio che dura mesi ho imparato a:
tenere una media per quanto possibile costante,  tappe giornaliere intorno ai 30km. Con sei sette massimo otto ore di sella partire alle 7 del mattino e chiudere la giornata nelle prime ore del pomeriggio ho sempre seguito itinerari precisi studiati su carte top. Al 50.000 o al 100000 ( mai avuto simpatia per quelle al 25000), viaggiando in apnea occorre tener l’occhio sul pascolo ( tempo e qualità del foraggio) e la possibilità di rifornirsi di viveri, pane per noi pietanza per lui, quindi incrociare paesi o maneggi. Nei maneggi o centri ippici specifico subito che il disturbo arrecato viene retribuito, quindi trovo il luogo più defilato possibile per passare la serata salutando e ringraziando ben sapendo che salperò dal luogo prima del risveglio dei gestori, rifiuto quando accade il box il mio cavallo vive meglio all’aria aperta e riordinarlo la mattina per lasciarlo perfetto fa perdere tempo prezioso

nel tuo caso, il suo viaggio è supportato da un’autovettura d’appoggio. Il che semplifica il viaggio in maniera determinante, la marcia in Russia del 98 è stata di questo tipo, le malizie del campo arrivano ma mano ( posti ventilat, non umidi, lontano dalle zanzare ecc.) i passaggi obbligati: ponti , strade e autostrade, ferrovie devono essere conosciuti
per quanto riguarda le guide ho imparato purtroppo a mie spese ad essere diffidente soprattutto di quelle non professioniste, queste in genere non hanno la dimensione del viaggio  ma solo del loro giorno e per evitare tre km di comoda strada asfaltata ti possono far soffrire dislivelli incredibili triplicando le ore di percorso e giustificandole per giunta da purismi etologici. (ma il mio cavallo deve marciare domani e domani ancora e non voglio sacrifici inutili e gratuiti) come non bastasse molte di loro hanno l’obbligo della dimostrazione ( sono le peggiori)
le informazioni sono indispensabili, s’impara presto a valutare le persone che le danno e far tesoro di quelle giuste.
Ovviamente queste considerazioni sono mie personali ognuno ha la e sue.


Poi per caso sfogliando un vecchio sperone ho trovato un pezzo pubblicato nel lontano 1984, rileggerlo a tanta distanza di tempo è stato divertente oltre che un po’ interessante.

Gli insegnamenti di un trekking
Cosa si può imparare da un’esperienza equestre prolungata come l’Alpitrek 83
Annotazioni utili per progetti futuri

di Mauro Ferraris

pubblicato su 'Lo Sperone' maggio 1984
Domani si parte, ho fatto una treccia sulla criniera del mio cavallo e gli ho infilato una penna di anatra selvatica così quando attraverseremo il magnifico deserto mi ricorderò di questa casa.
L’Alpitrek è finito, sono di nuovo comodamente sdraiato sull’amaca del giardino, mischiando imperdonabilmente come sempre i progetti vecchi con i futuri. I ricordi di questa traversata alpina si susse­guono veloci come nitidi flash e la fanno continuare ancora, nella testa, mentre dondolo tranquillo.
I progetti per le traversate future sono molti, e presto si deciderà dove farle; resta fermo il nostro discorso sulla salvaguardia dell’ambiente, che, a parer mio, è il posto più bello e significativo in cui si possa infilare la nostra “passione", ponendoci così in armonia con le cose vive che ci circondano. Ora si tratta, nelle cose future, di mettere a frutto quel­lo chesi è imparato in quest’ultimo Alpitrek, bagaglio notevole di espe­rienze, semplici e a volte complesse. Direi che la maggior differenza tra l’AK ’83 e le imprese precedenti non è stata tanto nel modo o nei luoghi, quanto nella durata del viag­gio stesso.
Cosa che chiaramente sapevamo ma che non avevamo mai fatto.
Quarantadue giorni di azione vera e propria implicano un tempo ben maggior per quanto riguarda la pre­parazione fisica e logistica dei cavalli per l’impresa.
In relazione a questo, abbiamo im­parato a nostre spese delle cose nuove che qui elenchiamo e che ne faremo tesoro in futuro.

Prima di tutto, che anche avendo cavalli fisicamente preparati seguiti nell’alimentazione e ben allenati, nei primi dieci giorni di Viaggio è bene fare tappe brevi lasciando ampio tempo “libero da impegni” per i cavalli al fine di consentire un buon adattamento fi­sico e psicologico con l’azione che hanno cominciato.
Altra cosa che non deve ossessiona­re è quella di evitare a tutti i costi le strade asfaltate. Ad esempio nella tappa delle Valli Valdesi, dopo otto ore di sentieri e mulattiere, scesi sul villaggio di Prali in Val Germanasca, per tagliar fuori i quattro km che ci separavano dal paese di Rodoretto dove la giornata sarebbe finita, ab­biamo fatto l’errore di seguire un sentiero terribilmente malagevole, con un dislivello supplementare di 800 m impiegando quasi tre ore là dove sarebbero bastati venti minuti, giungendo sfiniti la sera per niente. Quindi non sprecare forze ed ener­gie, soprattutto verso la fine della tappa; quando i cavalli avvertono che sta per finire la giornata e sono rilassati, stressarli con lavoro sup­plementare è da evitare in maniera assoluta.
Con queste due malizie, una buona lettura topografica delle montagne e con le molteplici informazioni rac­colte, possiamo evitare praticamente ogni stress superfluo, e di conseguen­za concentrare l’attenzione là dove l’ostacolo, sempre superabile effettivamente, esiste.
L’unico consiglio, spassionato, che mi sento di suggerire al lettore, è di stare attento ai consigli.
Come ben sapete nell’ambiente dei cavalli, parecchie persone pensano di sapere parecchie cose, natural­mente sempre sui cavalli e vi diran­no, nel progredire del viaggio, cosa “dovete" dare da mangiare al vostro amico, come dovete intervenire su quella escoriazione, metterli all’om­bra o spostarli al sole e cosi di segui­to.
 
E sempre con cortesia e fermezza avrei fermato chiunque avesse cer­cato, in buona fede naturalmente, di mettere le mani addosso a Gregorio. Una volta partiti dalla spiaggia di Ventimiglia non abbiamo avuto nes­sun punto d’appoggio itinerante, cioè dipendevamo come foraggiamento da quello che si sarebbe trovato lungo la via, questo vuol dire grava­re sull’ospitalità dei montanari, sia per i ricoveri notturni sia per la prebenda. Naturalmente nelle bergerie in quota i problemi sono mino­ri ma al posto del fieno c’è pascolo e non sempre si trova l’avena, per cui il numero ideale nel Trek senza appoggio esterno è di due cavalli, tre vanno bene ancora, di più diventa per lo meno poco cortese a meno che non ci sia qualcuno che vi porti la roba ad ogni tappa la sera.

Chiaramente nell’arco di tutti questi anni passati a cavallo sulle monta­gne, quelle occidentali, di persone ne abbiamo conosciute, molte delle quali sono diventate amiche. Mai abbiamo perso nell’Alpitrek l’oc­casione di passare a trovarle, per fare festa con loro una sera prima del sonno e della tappa successsiva - tra queste i soldati e gli ufficiali del IV Corpo d’Armata alpino e di “Savoia Cavalleria”.
Martedì due agosto, trentasettesimo giorno di viaggio, alle quattro del pomeriggio, a pochi chilometri da Farra d’Alpago, c’è arrivata addosso una tromba d’aria con rispettivo nubifragio; improvvisamente è ve­nuto il buio, con raffiche di vento molto  forti, una mano sul cappello, una tenendo le briglie, abbiamo cer­cato rifugio, non c’era anima viva in giro, e ci siamo ficcati sotto una tettoia per conigli, sottovento natu­ralmente; i cavalli sono stati tranquil­li, hanno fatto finta di niente o di poco, i conigli però hanno dovuto mangiare un po’ meno erba, in quan­to nella pausa i cavalli un po’ l’hanno mangiata.
La stessa tromba ha divelto case e sradicato parecchi alberi, a noi, per fortuna, niente!
L’amaca continua ad oscillare, ma non è la tromba d’aria, solo brezza leggera, oltre il Sangone vedo i Pire­nei da passare a cavallo o le pianure della Mongolia, chissà dove mi por­terà Gregorio nei prossimi anni. Mah! Chissà?
Comunque chiudo gli occhi tranquil­lo, perché, solo io so che in qualun­que posto mi porterà, sarà sempre un gran bel posto, per me.