SOMMARIO

Anno VI
Numero 1
Gennaio 2016

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ARCHIVIO

 

 

 

 

Petronio ed Eunice
di Carlo Archetto
Ho letto Quo Vadis a 13 anni. Più di Marco e Licia mi ha affascinato Petronio detto “arbiter elegantiarum”, che mi piace tradurre con “maestro di stile”. Insieme a Seneca fu l’aio artistico di Nerone. Fu autore del Satyricon, era innamorato della bellezza, o meglio della valenza etica della bellezza. Uno spirito libero, uno dei pochi in un’epoca di servilismo e adulazione che già nutriva in sé i germi della futura dissoluzione dell’Impero Romano d’Occidente (ahimè così simile ad oggi…).
Diceva: “il piacere della passione è accessibile anche a un plebeo, e persino a un animale, ma un vero uomo differisce da essi appunto nel saper trasformare questo piacere in una nobile arte, estasiandosi davanti ad esso e avendo coscienza in cuor suo di tutto il divino valore di quel godimento. Così rimangono sazi il corpo e l’anima”.
In una lettera a Marco Vinicio diceva: “è vero, se Cesare fosse cristiano tutti sarebbero più sicuri della loro vita. Ma il tuo profeta di Tarso, applicando a me le sue sentenze, non pensò che per me proprio questa incertezza costituisce l’allettamento della vita. Colui che non gioca ai dadi non perderà di sicuro al gioco i suoi beni, e nondimeno gli uomini giocano ai dadi. C’è in questo un godimento e un’ebbrezza speciale. Conosco figli di patrizi e senatori che hanno fatto spontaneamente i gladiatori. Tu dici che io sto giocando la mia vita, ed è realmente così; ma questo mi diverte, mentre le vostre virtù cristiane mi annoierebbero dopo un solo giorno come le sentenze di Seneca. Ecco la ragione per cui l’eloquenza di Paolo fu vana per me. Egli deve capire che uomini come me non accetteranno mai la sua dottrina. Io riconosco le sue ragioni sbadigliando. Siamo pazzi, corriamo verso l’abisso; benissimo! Ma sapremo morire, e intanto non ci attira il pensiero di cambiar vita e di servir la morte, prima ch’essa venga a prenderci. La vita esiste per se stessa e non per la morte”.
Infatti, quando vide quali miseri risultati avevano prodotto i suoi sforzi sull’animo marcio e dissoluto dell’incendiario pazzo, il suo senso estetico gli impedì di continuare. Segretamente rese libera la sua bellissima schiava greca Eunice, follemente innamorata di lui, e le lasciò tutta la sua enorme fortuna. Durante l’ultimo banchetto con gli amici più cari le disse: “Eunice, sai che da tempo non sei più schiava?” Ed ella rispose: “lo sono sempre, signore”. Poi chiese al suo medico personale di aprirgli le vene, il sangue sprizzò sul capezzale e bagnò Eunice, la quale, sollevando la testa di Petronio, gli si chinò sopra e disse: “signore, come potevi pensare che ti lasciassi partire solo? Se gli dei mi avessero donato l’immortalità e Cesare il potere del mondo, ti avrei seguito lo stesso”. Petronio sorrise, si sollevò alquanto, strinse le sue labbra a quelle della fanciulla e rispose: “mi hai veramente amato, mia divina…”.
La testa di Eunice riposava già sul suo petto come un bianco fiore; Petronio, impallidendo sempre più, si volse ancora verso i convitati, dicendo: “amici, convenite che con noi muore…”. Non poté finire; abbracciò Eunice e la sua testa ricadde sul capezzale…Era morto. Tuttavia i convitati, guardando quei due corpi bianchi, simili a bellissime statue, capirono bene che con loro era morta l’unica cosa che si trovava ancora nel loro mondo: la poesia e la bellezza.
Lasciò scritto: “Non prendete troppo a cuore la mia morte. Nessun dio mi ha promesso l’immortalità; quindi non mi accade nulla di imprevisto. Ti sbagli Vinicio, credendo che solo il vostro dio insegni a morire con calma. No. Il mondo sapeva anche prima di voi che, quando l’ultima coppa è vuotata, è tempo di ritrarsi, di andare a riposare, e, a quanto pare, sappiamo farlo con tutta tranquillità. Platone dice che la virtù è una musica e la vita di un savio un’armonia. Se è così, morrò come ho vissuto, cioè, virtuosamente”.