SOMMARIO
Anno VI
Numero 1
Gennaio 2016
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ARCHIVIO
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Testimone della fine di un'epoca |
Nel
1989-90 venni chiamato a svolgere il mio servizio militare presso
l’esercito italiano, in quella occasione ebbi tre grandi fortune
ed un privilegio.
Potei svolgere il mio mestiere (medico veterinario come sottotenente di
complemento), venni destinato ad un Battaglione Alpino (Btg. Alpini
“ Aosta “) ed ebbi tra i miei incarichi la cura ed il
mantenimento dei quadrupedi in carico al Battaglione : I Muli.
Arrivai nel tardo pomeriggio alla caserma Testafochi, dove mi era stato
già preannunciato un corposo “ Cicchetto “ da parte
del Comandante di Battaglione che mi attendeva nel primo pomeriggio.
Pioveva a dirotto ed entrando dalla porta carraia, con tanto di
sciabola pronta per il doveroso saluto al colonnello comandante ed alla
bandiera, il mio stomaco non smetteva più di formicolare per le
troppe farfalle della fifa. Fortunatamente il Comandante di Battaglione
mi accolse con uno sguardo severo e pieno di interrogativi su questo
neo acquisito tenentino di prima nomina ma si limitò a chiedermi
se avevo già cenato; il Tenente Colonnello Battù,
comandante del Btg “Aosta“ si era già
abbondantemente scaricato i nervi sul Sottotenente Medico che era
arrivato anche lui in ritardo, ma un ora prima di me.
Cenai da solo al bellissimo circolo ufficiali e venni accompagnato al
mio alloggio dal sottotenente veterinario che ero venuto a sostituire.
Il giorno successivo assistei al primo alzabandiera sulla piazza
d’armi della caserma e subito dopo venni presentato al Capitano
comandante la compagnia comando, mio diretto superiore; quindi avvenne
il passaggio delle consegne da parte del mio collega, un veterinario
pugliese che non vedeva l’ora di tornarsene a casa. Ispezionammo
insieme le cucine, i magazzini viveri con le celle frigorifere e
…finalmente mi accompagnò in salmeria a vedere i “
miei Muli “.
Un anziano veterinario, direttore del servizio veterinario del Parco
Gran Paradiso, aveva fatto servizio al Btg. Aosta nei primi anni
sessanta, io non ero ancora nato, in occasione di un nostro
incontro, mi aveva raccontato di questa immensa salmeria fatta a forma
di U rovesciata, posta subito dietro la caserma “ Beltricco
“,allora lui aveva in carico più di cento muli e sei
cavalli di razza Avelignese utilizzati dagli ufficiali. Mi parlava di
marce sulle montagne Valdostane, per sentieri persi in mezzo alle
pinete, di piccole valli con laghi di acqua color smeraldo, della
antica via romana lastricata di pietre e di ponti che a distanza di
duemila anni ancora reggevano il peso dei viandanti; ma soprattutto mi
raccontò dei muli, quadrupedi meravigliosi, instancabili e
indistruttibili. Durante le marce anche se lui aveva a disposizione un
cavallino, preferiva cavalcare il mulo più ombroso di
tutta la salmeria (a pelo) e percorrere avanti ed indietro la colonna.
Con queste premesse entrai nella salmeria come se stessi entrando in un
tempio della storia, quando vidi che tutto quello che rimaneva di quei
tempi erano cinque placidi muli che consumavano la loro colazione
legati all’anello sotto la tettoia rimasi un po’ deluso.
Capii subito che i miei predecessori con la complicità dei
superiori avevano riformato un gran numero di muli senza richiedere la
successiva “rimonta“.
Quando un mulo viene riformato per anzianità o malattia il
Battaglione dovrebbe fare richiesta di un sostituto al Centro
Allevamento ed addestramento quadrupedi di Grosseto, questo non era mai
avvenuto e piano piano la salmeria si era svuotata.
La salmeria del Battaglione Aosta al completo mi aspettava, i miei
alpini, tutti valdostani (Grimod, Pariset ecc. ecc.) avvezzi ai
lavori agricoli e all’allevamento del bestiame, erano in piedi
sugli attenti di fianco ai loro muli : Galla, Beira, Coiba (mordace),
Dondo (infallibile con i calci) e Valerio (foto1).
I miei dodici mesi al Battaglione furono tra i più belli della
mia vita, la monotona routine della salmeria veniva spesso interrotta
da meravigliose marce in alta montagna e da colossali mangiate in
salmeria con gli alpini, che spesso e volentieri portavano da casa i
prodotti alimentari della Valle d’Aosta :” Vino rosso, pane
nero e mele conservate nella paglia, moccetta (quella vera) bouden e
l’immancabile fontina.
La salmeria era un mondo a parte in caserma, i muli di notte stavano
all’interno su una lettiera fatta ad opera d’arte
secondo le direttive dell’Esercito, strigliati e bruscati avevano
il mantello lucido e pulito e gli zoccoli ben ingrassati sembravano
scarpe di vernice, la selleria odorava di cuoio e di legno ed i basti e
i finimenti erano tutti ben sistemati sui loro supporti in attesa di
decine e decine di muli che mai più sarebbero arrivati;
l’officina di mascalcia era sempre pronta per una nuova
ferratura, gli alpini avevano un corpo di guardia ampio e pulito con
tanto di docce ed acqua calda; il mio posto medicazione quadrupedi
sembrava un piccolo Chalet e di inverno gli alpini mi facevano trovare
la stufetta a carbone già accesa e con un bricco d’acqua a
borbottare su fuoco.
Da tanti anni la Mula Beira era affetta da una grossa neoformazione
cutanea all’altezza del gomito sinistro, ottenni i necessari
permessi e la portai all’infermeria quadrupedi presidiaria di
Pinerolo dove il Maggiore Bertone, mio valido istruttore durante il
corso di tre mesi a Pinerolo, la operò con pieno successo.
Cambiò il comandante di Battaglione, il colonnello Abbiati venne
a sostituire il colonnello Battù e con lui cambiò anche
l’atteggiamento nei confronti dei muli.
Il colonnello Abbiati mi diede subito il permesso di costruire un
paddock nel cortile della salmeria, i muli così potevano
sgambettare liberamente e al sicuro, a differenza di come vivevano
prima perennemente legati con una catena al muro. Il colonnello mi
anticipò per primo la futura dismissione dall’esercito di
tutti i quadrupedi in carico ai Battaglioni Alpini, in parole povere la
fine del mulo nell’esercito, ma con un grosso sorriso mi mise al
corrente dei suoi progetti, cioè quello di richiedere una grossa
quota di muli per formare una salmeria completa alla Scuola Militare
Alpina.
Inutile dire che il suo progetto a me piaceva moltissimo e non vedevo
l’ora di riempire le scuderie di muli, evitandogli così la
dismissione e la scomparsa.
Purtroppo alle nostre buone intenzioni non seguirono i fatti e
nell’inverno del 1990 ricevetti l’ordine di trasferire i
miei muli nella caserma del 3° Alpini di Borgo San Dalmazzo, che
era diventato il centro di raccolta di tutti i muli della regione
militare Nord-Ovest, da cui sarebbero poi stati dismessi
dall’esercito con vendita all’asta.
Una mattina all’alba io e gli alpini della salmeria caricammo i
cinque muli su uno scassatissimo Camion Biga e scortati da un altro
autocarro Acm prendemmo la direzione di Borgo San Dalmazzo.
Tornati in caserma ci rendemmo presto conto che un’epoca era
finita e noi avevamo avuto il privilegio e la tristezza di assistere
alla fine dei muli nell’esercito italiano, un momento storico.
I conducenti persero completamente la loro routine giornaliera venendo
destinati ad altri incarichi presso la compagnia comando, io mi
limitavo ai compiti di ispettore delle derrate alimentari di origine
animali ed ogni tanto mi toccava fare l’ASA (assistente di
sanità) presso l’infermeria presidiaria della Caserma
Cesare Battisti. L’unico botta di vita in tre mesi fu il giorno
che dovetti cucire il cuoio capelluto ad un sergente maggiore che era
da ore che girava per la caserma con una garza in testa senza che
nessuno gli suturasse la ferita, non so se per disperazione o per
fiducia mi fece medicare e suturare il suo taglio andandosene
finalmente sereno e ….ricucito!
Di tanto in tanto andavo nella mia infermeria quadrupedi diventata
assolutamente inutile, quei mobiletti, le casse medicazione, le balze
ed i medicinali mi sembravano ormai appartenenti ad un epoca lontana e
perduta per sempre ed il mio piccolo ambulatorio un piccolo e triste
museo.
Con i miei conducenti un giorno costruimmo un mulo di legno, imbastato
e con tutti i finimenti, non per gioco, ma perché ci era stato
richiesto per il museo della Scuola Militare Alpina al Castello.
Nell’aprile del 1990 il mio servizio attivo terminò ed
iniziò la vera Naja, la vita con annessi e connessi ma non
dimenticherò mai quegli infaticabili, meravigliosi e
robustissimi Muli degli Alpini (foto 2).
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