SOMMARIO

Anno IX
Numero 2
Giugno 2017

____________ 

ARCHIVIO

 

 

 

 

POSTA

caro Lupo Grigio
spulciando vecchi album
Merano luglio 1983
l'Apitrek ospite in "Savoia" durante l'epica cavalcata delle Alpi da Ventimiglia a Venezia
quarantadue giorni idi marcia ininterrotti, un colle ogni mattina.
non è stato possibile risalire all'autore della foto, in primo piano quasi di spalle il Colonnello Comandante di "Savoia Cavalleria" Rutilio Rutoli e sulla destra Mauro Ferraris in tenuta da campagna.
in quella occasione l'Alpitrek, visitando il museo del Reggimento vide per la prima volta Albino e cominciò a covare l'idea di tornare in sua "memoria" sulle rive del Don, marcia che riuscì a realizzare miracolosamente nel 1998 grazie all'appoggio dell'Ing. Chierici allora responsabile dell'IVECO vecchio scout e amico di Luciano e dell'amico Medagisto della MADA che misero a disposizione i mezzi necessari. Essenziale la ferratura dell'equipe del Maresciallo Blasio
mischiare indissolubilmente idea sogno realtà e fantasia è sempre stata la caratteristica principale dell'Alpitrek.
caratteristica essenziale per rimanere all'infuori del mondo organizzato dall'economia.
spero non averti annoiato con questi vecchi ricordi
barbarahofman

memoria

***********************

LA BOMBA CHE NON C'E'
di Ferdinando di Blasio

Capita, tornando a casa a tarda sera, dopo aver cercato parcheggio per venti
minuti e averlo miracolosamente trovato, di incappare in una fiumana di
gente che corre nei pressi di casa tua, con addosso i colori di una delle
squadre cittadine. Quella che è arrivata in finale di Champions, per
l'esattezza.
Quando chiedi cosa sia successo, capita che ti rispondano in modo confuso
cose come «arrivano» o «sparano» o ancora «non andare di là». Ma siccome tu
"di là" ci abiti, cammini tranquillo controcorrente, svolti nella via di
casa e fai per mettere la chiave nella toppa.
«Abiti là?» dice una voce «Ci fai entrare?»
Ed ecco che mentre una seconda ondata di umanità terrorizzata scuote le
strade, tu ti ritrovi a far passare dallo stretto ma pesante e tutto sommato
rassicurante portone di casa tua una bella trentina di persone.
Dentro, mentre altre bussano per entrare, con l'aiuto di alcuni vicini che
sono scesi a dare soccorso cerchi di capire cosa sia successo.
Non uno che sappia.
E anche gli altri, quelli che arrivano dopo e premono per entrare facendosi
quasi male a vicenda, nessuno sa nulla.
«E allora cosa spingi?» chiedi, indicando una ragazza lacrimante incastrata
tra lo stipite e il destinatario della domanda.
Si riesce a portare acqua, bende, disinfettante e un po' di calma:
«Hai visto qualcuno sparare?»
No.
«Hai visto qualcosa esplodere?»
No.
Si danno indicazioni per raggiungere la stazione o altri punti di interesse
più o meno turistico senza passare per il carnaio, e poi si esce a cercare
di capirci qualcosa.
E più ti avvicini alla piazza del maxischermo - Piazza San Carlo, il salotto
di Torino - più lo scenario si fa surreale. Gente travolta, perlopiù scalza,
gente sanguinante, gente impaurita, gente sovreccitata. Gente, ovunque.
Ambulanze, lampeggianti, un tizio di Bari che piange, un carabiniere al
cellulare.
La folla terrorizzata ha calpestato se stessa, in un frullato di cocci di
bottiglia, epitelio e indumenti perduti.
Ma niente. Nessuno sa cosa sia successo.

E quando torni indietro, ti assicuri che anche i più scossi abbiano trovato
la strada di casa o almeno un amico che l'aiuti a trovarla, e con un mucchio
di giornali aiuti il tuo vicino a pulire le macchie di sangue che sono
ovunque nell'androne e sulle scale, ti fai una domanda.
Siamo già arrivati a questo punto?
Il terrorismo ha funzionato, perché non ha più bisogno di fare nulla per
incutere terrore.
E forza Juve.