SOMMARIO

Anno X
Numero 1
Novembre 2018

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ARCHIVIO

 

 

 

 

MARTIN HEIDEGGER, maître à penser
di Carlo Archetto
Quasi concordemente ritenuto il più importante pensatore del secolo scorso, M.Heidegger (1889-1976) ha lasciato un’opera omnia di 102 volumi, dei quali Sein und Zeit (Essere e tempo) è sicuramente il più importante.

“Essere e tempo” è un testo estremamente complesso, in cui le domande superano le risposte, ed è forse questo lo scopo di tutto il lavoro filosofico heideggeriano: la filosofia deve sollevare domande, spingere a pensare e non cercare solo le risposte  (Wege nicht Werke, Sentieri non Opere). E’ l’elaborazione del problema del senso dell’essere. Trovo perfetta la definizione che ne fornisce il suo allievo Gadamer: “la domanda che lo turbava era la più antica e la più importante della metafisica: la domanda su come il Dasein, cioè l’esserci, umano, finito, effimero, sicuro di morire possa comprendersi nel suo essere e cioè come un essere che non è privazione, mancanza, semplice e fuggevole pellegrinaggio compiuto dall’abitante della terra attraverso questa vita per partecipare all’eternità del divino, ma che è esperito come la prerogativa del suo essere uomo”.

Su questo punto confesso di sentirmi in pieno accordo con lui! Ed è proprio intorno a questa ricerca della comprensione che si svolgono le molteplici analisi di Heidegger e che si sviluppa la sua analitica esistenziale. Egli afferma che la ricerca ontologica (cioè riguardante la conoscenza dell’essere) è certamente più originaria della ricerca ontica (cioè che si riferisce all’esistente) delle scienze positive. Ma resta essa stessa ingenua e opaca se le sue indagini intorno all’essere degli enti (le cose intramondane) non prendono in esame il senso dell’essere in generale. 
Provo, con l’aiuto delle lezioni della prof.Di Cesare, ex-vicepresidente della fondazione Martin Heidegger Gesellschaft, del prof.Volpi e, perché no, del suo più acceso denigratore, il prof.Wolin (Distinguished Professor al Graduate Center della CUNY), a sintetizzare.

L’ambito fenomenico dell’analisi esistenziale del Dasein è la quotidianità. Rivoluzione anti-metafisica-occidentale (da Platone a Nietzsche passando per Kant), sfida titanica: comprendere l’essere a partire dal tempo, rivendicarne la temporalità. Dice Heidegger che noi viviamo in un sonno ontico, appagati dagli enti di cui si occupa la scienza, mentre la filosofia si occupa dell’essere, ha il compito di risvegliarci dal sonno onticoe destarci all’esserci. Dasein non è solo “esistenza” è “essere qui” nello spazio e nel tempo. E’ sempre singolare, unico, specifico. E’ la radura dell’essere cioè dove l’essere si disvela. Ogni Dasein (ciascuno di noi) è sempre un POTER ESSERE, EMERGERE, VENIR FUORI, OLTREPASSARSI. Supera Kierkegaard perché per Heidegger ciascuno di noi non è l’esemplare di un genere (l’umano) ma si deve differenziare, deve continuamente affrontare il bivio tra Uneigentlichkeit (inautenticità) e Eigentlichkeit (autenticità). Ciascuno di noi ha un compito, è un progetto, proiettato verso le proprie possibilità. Anche se la condizione ineluttabilmente “finita” in cui ciascuno di noi si trova “geworfen” (gettato senza averlo chiesto) è tragica: niente provenienza o tendenza, né passato né futuro (e qui riconfermo la mia piena sintonia).

I 3 temi più radicali di Heidegger: la dittatura del “si”, l’angoscia, essere per la morte.
-    La dittatura del “si”. Esserci è anche “essere con gli altri” (Mitsein). Ma il rischio di essere con gli altri è il rischio della conformità: “si” dice, “si” fa, “si” ritiene. Tema esistenziale ma molto politico, che va dall’alienazione (Entfremdung) di Marx alla sinistra del ’68 (Marcuse).Siamo immersi nella chiacchiera, nell’opinione. Nel “si” ognuno è altro. Dice Heidegger: “il si è la dittatura della pubblicità. E’ una dittatura tale da farci intendere di vivere una vita ben vissuta. E’ propria di un certo tipo di democrazia”. (mi fa pensare al buon Pericle, che diceva che la democrazia è sicuramente il miglior sistema di governo,peccato sia irrealizzabile…)
-    L’angoscia: è la paura del nulla, “l’impertinenza del nulla”. L’angoscia autentica è rara, ma sopportarla non è negativo, è la possibilità del passaggio all’autenticità. Ci mette davanti alla nostra finitezza
-    Sein zum Tode (essere per la morte): la dittatura del si, l‘inautenticità, ci spingono a tabuizzare la morte. Invece sein zum Tode è progettare la propria esistenza nel raccoglimento, semplicemente accettando la nostra temporalità

Si può quindi guardare ad “Essere e tempo” come ad un romanzo di formazione, o meglio di autoformazione. Questa forma di lettura, interpretativa e complessa, è possibile in quanto l’ente (il soggetto) di cui il testo parla non è altro che colui che legge, l’essere-uomo, in tutte le sue dimensioni e particolarità. Tematica di Dostoevskji, no?

L’atteggiamento del Maestro: (Leer)Gelassenheit
Traduco con “Abbandono dell'uomo all'esistenza” ma anche “rilascio dell'esistenza a se stessa”.
Quasi un ossimoro: “angosciosa serenità”!
Heidegger intendeva con la “Gelassenheit” richiamare l'uomo a un atteggiamento speculativo di fronte alla realtà, a un raccoglimento che lascia-essere le cose così come sono, senza intervenire. Avvicinandosicosì  sempre più a un atteggiamento mistico, sintetizzabile nell’ironico-disperato titolo della sua intervista a Der Spiegel del 1966 «Nur noch ein Gott kann uns retten, Ormai solo un dio ci può salvare».Egli intendeva lanciare una sorta di allarme nei confronti della tecnica, con cui l'uomo mette a repentaglio sé stesso nell'obiettivo di conseguire l'egemonia sull’ente.Che Heidegger ritenesse inevitabile l'avvento dell'era tecnocratica potrebbe quasi sembrare una apologia della tecnica stessa, invece era forse più una debole speranza che, se pure il destino del mondo sfugge alle decisioni dei singoli, un cambiamento epocale (quel che Michel Houllebecq in “Le Particelle Elementari” chiama “mutation méthaphisique”) possa un giorno verificarsi…
Questo nel 1966; che direbbe oggi il Maestro, ad esempio a proposito di Internet, in particolare deicosiddetti social media? Sarebbe d’accordo con Umberto Eco, che fu linciato in vita quando osò dire che avevano dato diritto di parola agli imbecilli? Credo proprio di sì...
La “Gelassenheit” non esclude poi neanche il silenzio per cercare di superare le forme concettuali della metafisica, il che non significa affatto rinunciare ad indagare i «massimi problemi». Occorre piuttosto trovare un altro mezzo che possa farci riaccostare all'Essere senza i limiti del linguaggio. E Heidegger afferma che la poesia può servire a questo! Essa infatti è la prima forma di linguaggio che, per la sua giovinezza, mantiene ancora intatta la vivacità dell'Essere.
Poesia è la lacrima di gioia, il brivido di piacere, la vertigine dell’abisso… let us set the night on fire…ossimori infiniti… E’ vibrare all’unisono col proprio cavallo quando, raggiunto il Col du Chardonnet, ci si affaccia al cielo.

L’uomo Heidegger

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Il 21 aprile 1933 Heidegger viene eletto rettore alla Albert-Ludwigs-Universität di Friburgo.
Il 1º maggio dello stesso anno, in quanto condizione prevista per assumere ufficialmente l'incarico, si iscrive al Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei e viene considerato “filosofo del partito”, ma il filosofo nazista Ernst Krieck (1882-1947), già nominato dai nazisti rettore della Johann Wolfgang Goethe-Universität di Francoforte, il quale mirava alla medesima posizione di filosofo del partito, esce allo scoperto e, sulla "prestigiosa" rivista di pedagogia nazista, da lui curata, Volk im Werden, scrive:
«Il tono fondamentale della visione del mondo sottesa alla lezione di Heidegger si caratterizza con i concetti di cura e di angoscia, i quali si riferiscono entrambi al nulla. La cifra di questa filosofia è un aperto ateismo e un nichilismo metafisico, equivalente a quello sostenuto in modo particolare da vari autori Ebrei: essa è perciò un motivo di disgregazione e fiaccamento del popolo tedesco. In Essere e tempo Heidegger filosofeggia esplicitamente e volutamente a proposito della “quotidianità”; ma non vi è neanche un accenno in merito al popolo e allo Stato, alla razza, e al blocco valoriale della nostra immagine nazionalsocialista del mondo. »

Il 14 aprile 1934 Heidegger rassegna le dimissioni da rettore della Albert-Ludwigs-Universität di Friburgo.
 Le dimissioni di Heidegger dal rettorato sono connesse con la sua lotta per la purezza del movimento rivoluzionario, così come lo intendeva lui, cioè come rinnovamento dello spirito occidentale dopo la "morte di Dio".
In sintesi Heidegger aderì con entusiasmo alla rivoluzione nazionalsocialista, interpretata da lui come storica possibilità per la risorgenza dell'essere, e con altrettanto entusiasmo si adoperò, durante il suo rettorato, per la nazificazione della sua università. Diede le dimissioni quando ebbe contezza che il nazismo stava rinunciando alle sue premesse "rivoluzionarie" per mediare con gli interessi "borghesi" (prego notare le mie virgolette…).
Fatta salva quindi l'evidente adesione di Heidegger al nazismo, certamente secondo una visione del tutto personale dello stesso, adesione che egli non ritratterà mai, diversi studiosi si sono interrogati se la sua filosofia potesse contenere anche delle posizioni antisemite.
La prof. Di Cesare rileva come il rifiuto nel considerare Heidegger un "antisemita" sia stata condivisa da molti allievi ebrei di Heidegger quali Karl Löwith, Hans Jonas, Hannah Arendt e Herbert Marcuse che pure non gli fecero mancare critiche.
Nel 1949 Heidegger venne “denazificato”, anche con l’aiuto della Arendt.
Nel 2014, tuttavia, la casa editrice tedesca Vittorio Klostermann di Francoforte, casa editrice che cura la Gesamtausgabe (Opera omnia) di Heidegger in 102 volumi, ha dato alle stampe i primi Schwarze Hefte ("Quaderni Neri", taccuini in cui il filosofo raccoglieva, rivedendoli, i suoi pensieri, di fatto una vera e propria opera filosofica) titolati come Überlegungen (Riflessioni) che coprono il periodo compreso tra il 1931 e il 1941. Questi testi, fino a quel momento sconosciuti in quanto mai pubblicati, contengono, per la maggioranza degli studiosi, delle affermazioni chiaramente antisemite. Così nei 1.694 passaggi numerati nelle Überlegungen Heidegger cita per quattordici volte temi inerenti agli ebrei e all'ebraismo, sette di questi quattordici passaggi risulterebbero evidentemente antisemiti.
Da questo momento è iniziata una invereconda manfrina di nani e ballerine. Schiere di pennivendoli (nostrani e non) si sono lanciati sul Nostro, chi proponendo di espungerlo tout court dal novero dei filosofi (!), chi deificandolo.
Il suo allievo Gadamer in tempi non sospetti scrisse “chi dice di essere contro o a favore di Heidegger si copre di ridicolo”.
Il prof.F.Volpi scrisse “Martin Heidegger ha portato il peso dei suoi errori con dignitoso silenzio ed operoso lavoro”.
Personalmente non mi schiero – non ne possiedo le conoscenze sufficienti – ma, conoscendo la debolezza della natura umana, sono tentato di immaginare l’intimo conflitto (ed i conseguenti, colpevoli compromessi dell’uomo Heidegger) tra il desiderio di affermazione (personale e professionale) e il bisogno di autonomia intellettuale (di Nietzsche scrisse “il nichilismo si avvicina. Guai a colui che fa prosperare questo deserto”).
Penso comunque che il sangue dei vinti sia rosso e caldo come quello dei vincitori.

Hannah

han

La scrittrice ebrea Hannah Arendt (1906-1975) è stata allieva, amante, musa, amica, critica severa, protettrice del suo maestro Martin Heidegger.
Si era innamorata di lui a 18 anni, seguendo le sue lezioni. Heidegger, trentacinquenne, sposato, con due figli, non ha voluto/potuto lasciare la famiglia. Hannah si è sposata a 23 anni, ha lasciato la Germania per Parigi, ha divorziato, poi è fuggita a New York nel ‘41, si è risposata ed è diventata un’apprezzata intellettuale. Ha scritto De vita activa (The human condition), La banalità del male – Eichmann a Gerusalemme, Religione e Politica. Il suo motto era: Denken ohne Geländer (pensare senza ringhiera).
Quando pubblicò De vita activa gli scrisse:
“Come faccio a dedicarlo a te,
l’intimo amico,
cui sono e non sono
rimasta fedele,
sempre per amore”

Hannah morì nel dicembre ’75. Martin la seguì 5 mesi dopo.