SOMMARIO

Anno XII
Numero 21
Febbraio 2020

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ARCHIVIO

 

 

 

 

Il lupo e il cavaliere
di Gabriele Panizza

Scrivere di lupi sui quaderni dell’Alpitrek è un esercizio piuttosto naturale: “avventurieri casalinghi”, che trasformano da 40 anni il grigio quotidiano del vivere post industriale in un quotidiano alternativo vissuto vicino al volo delle aquile, questi cavalieri sono all’origine un gruppo dedito a onorare la Vita selvaggia praticando con rigore accademico e competenza storica l’equitazione della vecchia Scuola italiana di cavalleria e dei Reparti someggiati dell’esercito, necessariamente ispirandosi alla cultura (e forse a un poco d’altro) degli indiani delle grandi pianure. Ragionare di lupi con simili cavalieri non può significare trasformare il discorso in un’arida cronaca, un mero elenco di dati - no, parafrasando Agostino, un cavaliere dell’Alpitrek, in virtù del suo approccio, non ricerca soltanto la “notitia”, ma anche la “mens” insita nelle cose. E questa ricerca in profondità del perché e del senso è il miglior modo per capire davvero per quali vie sia riapparso il lupo e cosa significhi la sua presenza oggi nei nostri territori, e quale posto occupiamo noi nel mondo naturale, quando ne ascoltiamo gli ululati improvvisi, lontani nella sera incipiente, o vediamo i resti di un cervo predato nella neve.

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Foto di Massimo Campora di Carrosio (AL)
scattata nei valloni dell'Antola in Alta Val Borbera


Ma, precisamente, di chi stiamo parlando? Fino a quattro decenni fa il lupo era niente più di un simbolo, un’ombra, un trascurabile relitto del tempo. Poi, all’improvviso, è riapparso, mito antico misteriosamente reincarnatosi nell’era post moderna, reclamando i territori vuoti dell’Appennino settentrionale, delle Alpi occidentali, e a seguire di quelle Orientali fino alla Slovenia. Mentre negli anni ’60 la gente di montagna scendeva a valle per venire inserita, quale parte dell’ingranaggio, nel meccanismo industriale della società del “benessere” che demoliva la civiltà rurale, dalla metà degli anni ’70 questo animale, ormai protetto dalla legge, scattava in una corsa attraverso nuovi territori, dal centro-sud via via sempre più a nord, mentre anche gli ungulati selvatici pian piano ripopolavano le foreste. Questa espansione trentennale, tuttora in corso, è risultata possibile perché la vocazione biologica e comportamentale del lupo si esplica in una irrefrenabile spinta all’irradiamento, a percorrere grandi distanze e a fondare nuovi branchi. E questa capacità impressa nel DNA della specie, che l’orso e la lince non possiedono, è la chiave per capire il successo del lupo, la sua sopravvivenza nonostante secoli di persecuzione. Il lupo è spazio: ampi territori, habitat idoneo e disponibilità di prede: questi i tre ingredienti fondamentali. La presenza dell’uomo è un parametro che non opprime il suo pensiero, non gli crea particolari problemi, se non in casi limite. Sa bene come evitarlo, scegliendo zone poco o niente frequentate e scivolando non visto tra le ombre dei larici, senza rumore. In certi casi nemmeno si preoccupa mentre trotta nei prati di fondovalle alla luce del giorno, accanto alle superstrade trafficate. Dall’Alta Val Borbera alle Alpi Marittime, dal Mercantour alle Cozie alle Lepontine e alla Svizzera, poi verso le Grigne e il Trentino e ancora oltre, a est: la firma genetica, quella che scientificamente è la combinazione caratteristica di varianti alleliche lungo un cromosoma (molecola di DNA), ovvero “l’aplotipo caratteristico”, è quello del lupo appenninico, Canis lupus italicus. Le popolazioni isolate hanno inoltre alleli (varianti ricorrenti) propri, per cui le frequenze sono singolari per quella popolazione. Sulle Alpi ad esempio è presente un sottocampione di alleli della popolazione di lupi dell’Appennino settentrionale. Tutto ciò per evidenziare come la presenza del lupo sia frutto di una ricolonizzazione naturale, avvenuta nel tempo attraverso il corridoio appenninico, favorita dalla protezione legale e dallo spopolamento dei territori montani, oltre che dall’espansione degli ungulati, incentivata, questa si, dal mondo venatorio: i supposti “lanci” di lupi, dicerie diffuse spesso per contrastare il lavoro delle Aree protette, sono voli di fantasia, poiché questo fatto è smentito sia dal buon senso che dalla evidenza scientifica. Ma chi e come studia i lupi? Sarebbe troppo lungo parlarne qui estesamente; si può dire che la conoscenza dei branchi e delle dinamiche viene dai monitoraggi, effettuati dal Network Lupo Piemonte con il coordinamento del Centro di Referenza regionale Grandi Carnivori (CGC) con sede a Entracque presso le Aree Protette delle Alpi Marittime (http://www.centrograndicarnivori.it). La principale e indispensabile fonte di dati sono gli escrementi, che contengono cellule dell’intestino dell’individuo che le ha prodotte, quindi il DNA. Raccogliere l’escremento (scat in inglese) di un lupo equivale quindi a catturarlo, letteralmente. Abbiamo l’impronta genetica di quell’individuo, e possiamo seguirlo ovunque nei suoi spostamenti ricampionandolo sui transetti standard che ogni anno vengono percorsi da operatori formati, su tutto l’Appennino e le Alpi e negli ultimi anni anche in aree di collina e pianura. Come è il caso di CN-M100, giovane maschio campionato nel 2006 in Val Casotto, e che in fase di dispersione è morto investito circa tre mesi dopo da un’auto in Germania nei pressi di Monaco, a 500 km. di distanza (vedi Marucco F. Et al., Regione Piemonte, Progetto Lupo, Rapporto 1999-2010 http://www.centrograndicarnivori.it/media/2ae69a86.pdf ). Tutte le notizie circa le tecniche di monitoraggio, con tutto il bagaglio di conoscenze riferibili al riconoscimento di predazioni, piste e tracce in generale, comportamento e dinamica di branco sono reperibili sul web, oppure anche recandosi a visitare il Centro “Uomini e Lupi” in località Casermette di Entracque (http:// www.areeprotettealpimarittime.it/centro-uomini-e-lupi) o parlando con i Guardiaparco e partecipando agli incontri al pubblico organizzati dal CGC sia sulle Alpi che sull’Appennino. Il nuovo progetto europeo Life WolfAlps EU, con capofila l’Ente Aree Protette Alpi Marittime e Partners di progetto che vanno dalla Francia all’Austria alla Slovenia, coinvolgerà tutte le categorie sociali interessate alla presenza del lupo in Europa, cercando e sperimentando forme di convivenza e conoscenza per potere, in futuro, rendere maggiormente ricco e vivo il nostro rapporto con il mondo naturale (http://www.lifewolfalps.eu).

Oltre a muovere il campo della ricerca scientifica, riconsegnando il fascino del predatore ai luoghi selvaggi che abbiamo intorno, il ritorno del lupo ha impresso un cambiamento, talora drastico, alle modalità di monticazione del bestiame in montagna, entrando in conflitto con alcune categorie sociali, come gli allevatori, spesso già in difficoltà, i quali svolgono un’attività economica fondamentale per il mantenimento dell’ambiente montano. L’ecologia ci insegna che non ci sono buoni o cattivi, ci sono solo specie differenti che vivono secondo la loro natura; in questo contesto l’uomo deve decidere come provvedere il suo inserimento nel contesto naturale, se come avversario o con la ricerca di un equilibrio responsabile. Certo è che la monticazione “brada”, ovvero con bestiame incustodito, ora non è più possibile. Senza voler entrare nel dettaglio di una problematica che da anni si sviluppa ampiamente, pur se con qualche difficoltà, nel segno della collaborazione e del supporto agli allevatori da parte di tecnici e istituzioni preposte, il lupo, pur rivolgendosi principalmente a prede selvatiche, ha costretto la pratica della pastorizia a ritornare all’antica triade pastore/margaro - cane da guardiania - gregge, il quale viene sempre tenuto all’interno di recinti mobili o ricoverato al chiuso durante la notte, sempre sotto sorveglianza. Sul sito istituzionale del Centro Grandi Carnivori potrete approfondire i molti argomenti riguardanti la problematica del rapporto tra pastorizia-allevamento e presenza del lupo.

Il cavaliere in luoghi selvaggi che rapporto può avere con il lupo? La specie certo porta con sé una consapevolezza nuova, quella della condivisione dell’ambiente montano con un animale che ha da sempre accompagnato l’immaginario e il quotidiano dei popoli cacciatori raccoglitori, la cui indole è tanto simile a quella delle genti selvagge così come è diversa da quella dei cittadini sedentari auto - addomesticati dell’epoca moderna. Una mente, quella del lupo, che pervade l’animo delle prede, crea una particolare attenzione nel cavallo e stimola in noi esaltazione, fascino e, a volte, una punta di preoccupazione. Però lo sapeva bene Jedediah Smith, che per il Coureur des bois i predatori da temere davvero nelle vastità dell’Ovest americano erano prima di tutto l’orso nero e il Grizzly, non certo il lupo. Il cavaliere dell’Alpitrek non dovrà quindi cambiare le sue abitudini: il campo alla sera, il bivacco vicino ai cavalli, i puledri custoditi vicino alle madri, la pelle di cervo su cui riposare, la pipa e il lusso delle pesche sciroppate: perché il lupo saprà certo della nostra presenza, diventando così un compagno di pensiero, di correspondances nell’attimo di vita libera della foresta, ma non si farà vedere, preferendo seguire il sentore del cinghiale o il respiro urgente del cervo in amore. Non lo vedremo mai, se non in casi fortunati, magari esplorando con il binocolo gli altopiani del Colle Roussa in Alta Val Sangone o le praterie di Fenestrelle. La paura che avremo sarà soltanto quella che conosciamo, la voce che ascoltiamo sulla montagna autunnale, che ci accarezza e ci porta via.

La pòur es pouesio,
que te piho, te caresso,
te porto vio.
Li pòur es pouesio que te piho,
te embrasso sus la vio.

Escouto ben sa vous
sus la mountanho d'outourn
dran que pareisse lou journ.

Percorrendo dritti la propria pista sui declivi impervi, passando come ombre veloci, inspirando l’afrore delle artemisie e il soffio gelido dei passi ventosi, i lupi vedranno il gruppo dei cavalieri risalire l’ampio crinale tra cime maestose e diranno: “Sgombrate il cammino, arriva l’uomo”.

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Gabriele Panizza

Appassionato di musica, cavalli e vita selvaggia. 
Si sente accomunato all’Alpitrek per pensiero, attitudini, immaginario e profonda avversione agli stereotipi della “civiltà”. E’ Funzionario tecnico per la gestione ambientale, conservazione, agro silvo pastorale presso le Aree Protette dell’Appennino piemontese,  dopo essere stato Guardiaparco per 13 anni. Ha iniziato il percorso dei Parchi regionali grazie a un articolo di Mauro apparso su un numero dello “Sperone" del 1986. 

Quando può viaggia in luoghi remoti per incontrare il volto profondo del Pianeta vivente, amando anche la cultura delle terre di confine come l’Armenia, che ospita tra l'altro i pastori Yazidi di origine e lingua curda che ancora resistono.

Ha scritto questo articolo a esclusivo titolo personale.