Scrivere di lupi
sui quaderni dell’Alpitrek è un esercizio piuttosto naturale: “avventurieri
casalinghi”, che trasformano da 40 anni il grigio quotidiano del vivere post industriale
in un quotidiano alternativo vissuto vicino al volo delle aquile, questi
cavalieri sono all’origine un gruppo dedito a onorare la Vita selvaggia
praticando con rigore accademico e competenza storica l’equitazione della
vecchia Scuola italiana di cavalleria e dei Reparti someggiati dell’esercito,
necessariamente ispirandosi alla cultura (e forse a un poco d’altro) degli
indiani delle grandi pianure. Ragionare di lupi con simili cavalieri non può
significare trasformare il discorso in un’arida cronaca, un mero elenco di dati
- no, parafrasando Agostino, un cavaliere dell’Alpitrek, in virtù del suo
approccio, non ricerca soltanto la “notitia”, ma anche la “mens” insita
nelle cose. E questa ricerca in profondità del perché e del senso è il miglior
modo per capire davvero per quali vie sia riapparso il lupo e cosa significhi
la sua presenza oggi nei nostri territori, e quale posto occupiamo noi nel
mondo naturale, quando ne ascoltiamo gli ululati improvvisi, lontani nella sera
incipiente, o vediamo i resti di un cervo predato nella neve.
Foto di Massimo Campora di Carrosio (AL)
scattata nei valloni dell'Antola in Alta Val Borbera
Ma, precisamente, di chi stiamo parlando? Fino a quattro decenni fa il lupo era
niente più di un simbolo, un’ombra, un trascurabile relitto del tempo. Poi,
all’improvviso, è riapparso, mito antico misteriosamente reincarnatosi nell’era
post moderna, reclamando i territori vuoti dell’Appennino settentrionale, delle
Alpi occidentali, e a seguire di quelle Orientali fino alla Slovenia. Mentre
negli anni ’60 la gente di montagna scendeva a valle per venire inserita, quale
parte dell’ingranaggio, nel meccanismo industriale della società del
“benessere” che demoliva la civiltà rurale, dalla metà degli anni ’70 questo
animale, ormai protetto dalla legge, scattava in una corsa attraverso nuovi
territori, dal centro-sud via via sempre più a nord, mentre anche gli ungulati
selvatici pian piano ripopolavano le foreste. Questa espansione trentennale,
tuttora in corso, è risultata possibile perché la vocazione biologica e
comportamentale del lupo si esplica in una irrefrenabile spinta
all’irradiamento, a percorrere grandi distanze e a fondare nuovi branchi. E
questa capacità impressa nel DNA della specie, che l’orso e la lince non
possiedono, è la chiave per capire il successo del lupo, la sua sopravvivenza
nonostante secoli di persecuzione. Il lupo è spazio: ampi territori,
habitat idoneo e disponibilità di prede: questi i tre ingredienti fondamentali.
La presenza dell’uomo è un parametro che non opprime il suo pensiero, non gli
crea particolari problemi, se non in casi limite. Sa bene come evitarlo,
scegliendo zone poco o niente frequentate e scivolando non visto tra le ombre
dei larici, senza rumore. In certi casi nemmeno si preoccupa mentre trotta nei
prati di fondovalle alla luce del giorno, accanto alle superstrade trafficate.
Dall’Alta Val Borbera alle Alpi Marittime, dal Mercantour alle Cozie alle
Lepontine e alla Svizzera, poi verso le Grigne e il Trentino e ancora oltre, a
est: la firma genetica, quella che scientificamente è la combinazione
caratteristica di varianti alleliche lungo un cromosoma (molecola di DNA),
ovvero “l’aplotipo caratteristico”, è quello del lupo appenninico, Canis
lupus italicus. Le popolazioni isolate hanno inoltre alleli (varianti
ricorrenti) propri, per cui le frequenze sono singolari per quella popolazione.
Sulle Alpi ad esempio è presente un sottocampione di alleli della popolazione
di lupi dell’Appennino settentrionale. Tutto ciò per evidenziare come la
presenza del lupo sia frutto di una ricolonizzazione naturale, avvenuta nel
tempo attraverso il corridoio appenninico, favorita dalla protezione legale e
dallo spopolamento dei territori montani, oltre che dall’espansione degli
ungulati, incentivata, questa si, dal mondo venatorio: i supposti “lanci” di
lupi, dicerie diffuse spesso per contrastare il lavoro delle Aree protette,
sono voli di fantasia, poiché questo fatto è smentito sia dal buon senso che
dalla evidenza scientifica. Ma chi e come studia i lupi? Sarebbe
troppo lungo parlarne qui estesamente; si può dire che la conoscenza dei
branchi e delle dinamiche viene dai monitoraggi, effettuati dal Network Lupo
Piemonte con il coordinamento del Centro di Referenza regionale Grandi
Carnivori (CGC) con sede a Entracque presso le Aree Protette delle Alpi
Marittime (http://www.centrograndicarnivori.it). La principale e indispensabile
fonte di dati sono gli escrementi, che contengono cellule dell’intestino
dell’individuo che le ha prodotte, quindi il DNA. Raccogliere l’escremento (scat
in inglese) di un lupo equivale quindi a catturarlo, letteralmente. Abbiamo
l’impronta genetica di quell’individuo, e possiamo seguirlo ovunque nei suoi
spostamenti ricampionandolo sui transetti standard che ogni anno vengono
percorsi da operatori formati, su tutto l’Appennino e le Alpi e negli ultimi
anni anche in aree di collina e pianura. Come è il caso di CN-M100, giovane
maschio campionato nel 2006 in Val Casotto, e che in fase di dispersione è
morto investito circa tre mesi dopo da un’auto in Germania nei pressi di
Monaco, a 500 km. di distanza (vedi Marucco F. Et al., Regione Piemonte,
Progetto Lupo, Rapporto 1999-2010 http://www.centrograndicarnivori.it/media/2ae69a86.pdf
). Tutte le notizie circa le tecniche di monitoraggio, con tutto il
bagaglio di conoscenze riferibili al riconoscimento di predazioni, piste e
tracce in generale, comportamento e dinamica di branco sono reperibili sul web,
oppure anche recandosi a visitare il Centro “Uomini e Lupi” in località
Casermette di Entracque (http://
www.areeprotettealpimarittime.it/centro-uomini-e-lupi) o parlando con i Guardiaparco
e partecipando agli incontri al pubblico organizzati dal CGC sia sulle Alpi che
sull’Appennino. Il nuovo progetto europeo Life WolfAlps EU, con capofila l’Ente
Aree Protette Alpi Marittime e Partners di progetto che vanno dalla Francia
all’Austria alla Slovenia, coinvolgerà tutte le categorie sociali interessate
alla presenza del lupo in Europa, cercando e sperimentando forme di convivenza
e conoscenza per potere, in futuro, rendere maggiormente ricco e vivo il nostro
rapporto con il mondo naturale (http://www.lifewolfalps.eu).
Oltre a muovere il campo della ricerca scientifica, riconsegnando il fascino
del predatore ai luoghi selvaggi che abbiamo intorno, il ritorno del lupo ha
impresso un cambiamento, talora drastico, alle modalità di monticazione del
bestiame in montagna, entrando in conflitto con alcune categorie sociali, come
gli allevatori, spesso già in difficoltà, i quali svolgono un’attività
economica fondamentale per il mantenimento dell’ambiente montano. L’ecologia ci
insegna che non ci sono buoni o cattivi, ci sono solo specie differenti che
vivono secondo la loro natura; in questo contesto l’uomo deve decidere come
provvedere il suo inserimento nel contesto naturale, se come avversario o con
la ricerca di un equilibrio responsabile. Certo è che la monticazione “brada”,
ovvero con bestiame incustodito, ora non è più possibile. Senza voler entrare
nel dettaglio di una problematica che da anni si sviluppa ampiamente, pur se
con qualche difficoltà, nel segno della collaborazione e del supporto agli
allevatori da parte di tecnici e istituzioni preposte, il lupo, pur
rivolgendosi principalmente a prede selvatiche, ha costretto la pratica della
pastorizia a ritornare all’antica triade pastore/margaro - cane da guardiania -
gregge, il quale viene sempre tenuto all’interno di recinti mobili o ricoverato
al chiuso durante la notte, sempre sotto sorveglianza. Sul sito istituzionale
del Centro Grandi Carnivori potrete approfondire i molti argomenti riguardanti
la problematica del rapporto tra pastorizia-allevamento e presenza del lupo.
Il cavaliere in luoghi selvaggi che rapporto può avere con il lupo? La specie
certo porta con sé una consapevolezza nuova, quella della condivisione
dell’ambiente montano con un animale che ha da sempre accompagnato l’immaginario
e il quotidiano dei popoli cacciatori raccoglitori, la cui indole è tanto
simile a quella delle genti selvagge così come è diversa da quella dei
cittadini sedentari auto - addomesticati dell’epoca moderna. Una mente, quella
del lupo, che pervade l’animo delle prede, crea una particolare attenzione nel
cavallo e stimola in noi esaltazione, fascino e, a volte, una punta di
preoccupazione. Però lo sapeva bene Jedediah Smith, che per il Coureur des
bois i predatori da temere davvero nelle vastità dell’Ovest americano erano
prima di tutto l’orso nero e il Grizzly, non certo il lupo. Il cavaliere
dell’Alpitrek non dovrà quindi cambiare le sue abitudini: il campo alla sera,
il bivacco vicino ai cavalli, i puledri custoditi vicino alle madri, la pelle
di cervo su cui riposare, la pipa e il lusso delle pesche sciroppate: perché il
lupo saprà certo della nostra presenza, diventando così un compagno di
pensiero, di correspondances nell’attimo di vita libera della foresta,
ma non si farà vedere, preferendo seguire il sentore del cinghiale o il respiro
urgente del cervo in amore. Non lo vedremo mai, se non in casi fortunati,
magari esplorando con il binocolo gli altopiani del Colle Roussa in Alta Val
Sangone o le praterie di Fenestrelle. La paura che avremo sarà soltanto quella
che conosciamo, la voce che ascoltiamo sulla montagna autunnale, che ci
accarezza e ci porta via.
La pòur es pouesio,
que te piho, te caresso,
te porto vio.
Li pòur es pouesio que te piho,
te embrasso sus la vio.
Escouto ben sa vous
sus la mountanho d'outourn
dran que pareisse lou journ.
Percorrendo dritti la propria pista sui declivi impervi, passando come
ombre veloci, inspirando l’afrore delle artemisie e il soffio gelido dei passi
ventosi, i lupi vedranno il gruppo dei cavalieri risalire l’ampio crinale tra
cime maestose e diranno: “Sgombrate il cammino, arriva l’uomo”.
***
Gabriele Panizza
Appassionato di
musica, cavalli e vita selvaggia.
Si sente
accomunato all’Alpitrek per pensiero, attitudini, immaginario e profonda
avversione agli stereotipi della “civiltà”. E’ Funzionario tecnico per la
gestione ambientale, conservazione, agro silvo pastorale presso le Aree
Protette dell’Appennino piemontese, dopo essere stato Guardiaparco per 13
anni. Ha iniziato il percorso dei Parchi regionali grazie a un articolo di Mauro
apparso su un numero dello “Sperone" del 1986.
Quando può
viaggia in luoghi remoti per incontrare il volto profondo del Pianeta vivente,
amando anche la cultura delle terre di confine come l’Armenia, che ospita tra
l'altro i pastori Yazidi di origine e lingua curda che ancora resistono.
Ha scritto
questo articolo a esclusivo titolo personale.
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