SOMMARIO

Anno XII
Numero 21
Febbraio 2020

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Viaggio in Kirghizistan
di Martina Giorgetti

Da un paio d’anni a questa parte sognavo un viaggio in un paese dell’Asia centrale in particolare: il Kirghizistan. Le poche foto che avevo visto mi parlavano di cavalli, montagne, uno stile di vita votato all’essenzialità e legato indissolubilmente a tradizioni millenarie. Tanto mi era bastato per farmelo piacere fin da subito.

Il Kirghizistan è confinato in mezzo a Cina, Kazakistan, Uzbekistan e Tagikistan; è un luogo di passaggio sulle antiche rotte del commercio che facevano parte della Via della Seta. È una terra di nomadi e viandanti, con una varietà incredibile di etnie, contaminazioni culturali e paesaggi diversi.

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Più del 90% del paese è territorio montuoso che supera i 1000 m di altitudine. È una nazione molto ricca di acqua; fiumi e laghi sono ovunque, difficile non incrociarne almeno uno o percorrere una strada senza costeggiarne.
Il clima di questa terra è diverso dai territori circostanti, grazie alla presenza di montagne così alte che di certo regalano sollievo al clima invece ben più caldo e afoso delle altitudini più basse dei paesi circostanti.

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La capitale Biškek è il classico esempio di città costruita e sviluppatasi sotto l’Unione Sovietica: palazzi squadrati, monumenti ad ogni angolo. Ma basta allontanarsi di poco dal traffico della capitale per capire la vera natura del paese: si vedono animali liberi al pascolo o legati ai lati delle strade, gente che chiacchiera tranquillamente in sella al proprio cavallo e bambini che spostano il bestiame. Nelle città più piccole, le abitazioni hanno giardini rigogliosi: roseti e alberi da frutto la fanno da padrone. Non manca mai un pollaio e qualche animale per la sussistenza. La mattina presto, sulle strade meno trafficate nei villaggi più sperduti, si vedono galline lasciate libere di razzolare in mezzo alle strade e altri animali che brucano ai bordi della strada, rigorosamente legati o impastoiati.

La parte nord del Kirghizistan è quella più affollata, con vere e proprie città in espansione che comprendono resort turistici e ristoranti. La costa del lago Issyk Kul, che più che un lago ricorda un mare, è una destinazione molto popolare tra i turisti russi e kazaki. La parte sud al contrario è molto meno artefatta, più selvaggia e composta per la maggior parte da piccoli villaggi, pascoli, vallate e montagne che superano i 7000 m.

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La varietà e la bellezza del paesaggio lasciano senza fiato. Il colore delle rocce, il verde dei prati e degli alberi da frutto, le montagne di sfondo, i fiumi e i laghi creano ad ogni angolo uno spettacolo diverso.

Il periodo passato sotto l’Unione Sovietica ha imposto una regolamentazione all’economia del paese, soprattutto per quanto riguarda agricoltura e allevamento, che ancora oggi sono la forza trainante del sistema economico kirghiso; ma nonostante questo, la cultura nomade è così forte e da non essere stata sradicata ed ancora oggi moltissime persone conducono questo stile di vita in mezzo alle montagne.

I nomadi vivono in tende chiamate yurta, in tutto e per tutto simili alle tende mongole. La pratica nomade ha permesso di sviluppare nel tempo queste piccole abitazioni, decorate con tappeti e strisce di feltro fatti a mano, prendendo il meglio dall'esperienza di molti secoli. Le tribù kirghise, occupate con l'allevamento di bestiame in montagna, elaborarono il miglior tipo di abitazione trasportabile che si smonta, si sposta su animali da soma e viene nuovamente sistemata, il tutto nel modo più facile possibile. Le yurta tradizionali venivano coperte di grasso per essere impermeabilizzate, oggi si usano teli di plastica.

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La maggior parte dei pastori sono giovanissimi: sono infatti poco più che bambini a spostare cavalli e vitelli dai pascoli alle stalle. Verso sera se ne vedono molti: alcuni non arrivano a mettere i piedi nelle staffe. Si divertono a mettersi in mostra mentre si passa loro vicino: si alzano in piedi sulla sella, scendono facendo capriole.

Lungo le strade le persone che incontro sono aperte e cordiali, forse poco abituate a vedere persone provenienti da un paese diverso. Nei villaggi i bambini più piccoli salutano sorridenti, mentre gli uomini si avvicinano per stringere la mano; è una stretta vigorosa che trasmette tutto il lavoro e la fatica che sopportano quelle mani. Gli adulti sorridono meno dei bambini, ma nessuno manca di fare un cenno.

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La cultura kirghisa ruota intorno al cavallo. Il cavallo è considerato ancora un mezzo fondamentale, usato per gli spostamenti, per il lavoro, per la carne e per il latte e quindi una creatura preziosa.
La maggior parte dei cavalli presenti sono asiatici e autoctoni: piccoli e piuttosto magri, ma resistenti e abituati al clima mutevole del Kirghizistan. Man mano che ci si sposta verso sud, specialmente nei pascoli più alti si trovano cavalli diversi: molti sono cavalli grigi o paint, che nell’aspetto hanno poco a che fare con il cavallo kirghiso.
L’utilizzo del cavallo è legato indissolubilmente a molte delle tradizioni del Kirghizistan, basti pensare che la bevanda nazionale, il kumys, è latte di giumenta fermentato. Nelle vallate e sui pascoli non è raro incrociare le cavalle legate insieme ai propri puledri mentre vengono munte dalle donne dei villaggi. Anche i denti da latte dei puledri vengono usati per decorare i tappeti di feltro appesi all’interno delle yurta e delle abitazioni.
Perfino i balli tradizionali prendono ispirazioni dal modo di andare a cavallo: la danza tipica kirghisa è il Kara Jorgo, che si traduce con “cavallo nero” e mima i movimenti di un cavaliere intento a spronare a correre il proprio cavallo.

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Una delle tradizioni di cui i kirghisi vanno più fieri è la caccia con le aquile, un metodo che si tramanda di generazione in generazione da molto tempo. I cacciatori con le aquile sono considerati custodi di una tradizione antica e quindi vengono stimati e rispettati dal resto della popolazione. Questi cacciatori rischiano la propria vita per andare a catturare le aquile già adulte sulle montagne o portare via i pulcini dal nido. Gli esemplari adulti vengono preferiti perché hanno già imparato a cacciare naturalmente. Vengono poi addomesticate ed allenate per cacciare in modo controllato, vale a dire senza mangiare la preda e senza aggredire i cani da caccia che aiutano nell’operazione di recupero. L’aquila serve più che altro ad attaccare e uccidere la preda, che può essere una volpe, uno sciacallo, una lince o persino un lupo. Finita la loro carriera vengono rimesse in libertà.

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Lungo i pascoli e le rive dei laghi si vedono gareggiare cavalli testa a testa, o è ancora più facile vedere qua e là i pozzi di argilla che vengono usati come “canestri” per il Kok-boru, una sorta di polo a cavallo che consiste nel rubare all’avversario la carcassa di una pecora e fare punto proprio dentro uno dei canestri. Questi sono solo alcuni dei modi che usano i pastori più giovani per passare la giornata sui pascoli quando non sono impegnati a radunare gli animali.

Il Kirghizistan è un paese ricchissimo di tradizioni antiche, provenienti da culture diverse, essendo un paese centrale e territorio di passaggio. Questo ha influenzato non solo la cultura e la lingua, ma anche la cucina. I piatti tipici sono esattamente quello che mi aspetto da un paese che è stato crocevia di tradizioni e popolazioni diverse: si trovano spaghetti molto simili a quelli cinesi, piatti molto speziati, riso e zuppe. Ma c’è un ingrediente che non manca mai: la carne. La carne può essere di pecora, manzo o cavallo, questo anche a seconda di quanto si ritiene importante e gradita la persona a cui si serve il piatto. Il tè caldo è un altro elemento immancabile: tradizione vuole che la tazza non venga mai riempita fino all’orlo, perché l’ospite ne chieda ancora e venga servito più volte durante la sua permanenza.

Quello che mi porto a casa da questo viaggio, oltre all’incredibile bellezza e varietà del territorio, è una riflessione importante sullo stile di vita che conduce questo popolo. Così diverso dal mio, eppure così dignitoso e votato all’essenzialità, in cui tutto si incastra perfettamente. Conserverò il ricordo di una cultura antica, di un popolo e di una terra che sono duri, veri, ma pieni di dignità e orgoglio, di paesaggi incontaminati ed autentici, come la gente che li abita. Almeno fino ad ora.

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