Attribuita a un monaco tedesco del Trecento, in
realtà la polvere pirica era già nota duemila anni avanti Cristo ai cinesi e
agli indiani. Furono tuttavia i greci che per primi l’usarono a scopo
offensivo, ottenendo un miscuglio incendiario chiamato «fuoco greco». Con
bombarde e archibugi comparve sui campi di battaglia nel XIV secolo
soppiantando le
armi bianche e rivoluzionando l’arte della guerra.
Una tradizione diffusa ma non esatta, attribuisce
l'invenzione della polvere da sparo a Berthold Schwartz, un monaco francescano
nato a Friburgo intorno al 1310 e vissuto per qualche tempo in un monastero della
Selva Nera, dove si interessò più dei misteri dell'alchimia che di quelli
della fede.
In realtà la polvere era già nota fin da epoche
remote, sebbene i popoli che ne conoscevano il segreto la usassero
principalmente per scopi incendiari e non per esplosioni. Sembra che già
duemila anni prima di Cristo i cinesi e gli indiani adoperassero una miscela
finemente polverizzata di torba (carbón fossile
di origine vegetale) e di salnitro (nitrato di potassio, un sale bianco che si
accumula in efflorescenze sui muri umidi) per preparare fuochi d'artifìcio o
per incendiare materiali di difficile innesco.
Quasi sicuramente furono i Permiani di Ciro (VI sec.
a. C.) a portare la miscela in Asia Minore. Gli arabi se ne impadronirono
quasi subito e la usarono largamente. Forse è merito dei loro alchimisti se la
miscela base di carbone e di salnitro venne arricchita con lo zolfo, che
divenne un ingrediente fondamentale della polvere pirica. I greci, da parte
loro, aggiunsero colofonia e altre sostanze combustibili alla polvere,
ottenendo quel micidiale miscuglio ricordato dalle antiche cronache come
«fuoco greco». Questa miscela, appiccicaticcia, veniva incendiata prima di
essere scagliata sui nemici: non era spenta dall'acqua e poteva essere
neutralizzata solo parzialmente con la sabbia.
La prima formula scritta della polvere pirica,
conosciuta anche come “polvere nera” per l’aspetto che le conferiva il carbone,
appare nel Liber ignium a Marco Graeco,
un trattato sulla preparazione delle miscele incendiarie e sui mezzi per
scagliarle sui nemici dal mare e da terra. Di Marcus Graecus, l’autore, non
possediamo alcun’altra indicazione al di fuori dell’origine, rivelata quasi
sicuramente dal cognome. Il libro, scritto in latino fra il 1185 e il 1225
d.C., fu tradotto in italiano all’inizio del 1400. Fra le varie ricette di
miscele, ecco quella della polvere pirica: «Recipe libbre una di zolfo vivo,
due di carbone di tiglio ovvero di ciliegio, libbre sei di sale petroso, trita
tutto minutamente in pietra di marmo, quindi riponi polvere a beneplacito
nella canna da volare o da far tuono ».
Il «sale petroso», che figura come uno dei componenti
più voluminosi, è il salnitro. La «canna da volare» è la progenitrice del missile
moderno, cioè un razzo rudimentale composto da un grande tubo di bambù
imbottito di polvere, parte della quale si bruciava per generare i gas
necessari a spingere la canna volante verso l'obiettivo e l’altra parte per
incendiarlo. La «canna da far tuono» è
invece molto verosimilmente un antenato del cannone.
Nel 1242 il filosofo inglese Ruggero Bacone descrisse
in un suo trattato gli effetti incendiari dellapolvere pirica. Ciò bastò perché
nei secoli successivi i suoi compatrioti gli attribuissero il merito dell’invenzione.
In realtà fino all’inizio del secolo XIV la polvere pirica venne usata quasi
esclusivamente per incendiare in maniera rapida e violenta. In quell’epoca
qualcuno ebbe l'idea di utilizzare l’enorme spinta dei gas prodotti
dall'incendio della polvere nera in un tubo chiuso ad un’estremità per spingere
lontano un proiettile di pietra o di metallo. Ma anche quest’intuizione - cioè
proprio quella che trasformò la polvere pirica in polvere da sparo - non ha un
padre unico e conosciuto.
Secondo alcune cronache del '400, bombarde e mortai
sarebbero stati già impiegati dalle truppe tedesche nell'assedio di Cividale
(1331), in quello di Cambrai (1339), di Quesnoy e di Terni (1340), nelle battaglie
di Caors e di Tournai (1345), di Crécy (1346) e in altri eventi bellici
successivi. I risultati distruttivi delle nuove armi erano però modesti e gli
effetti delle canne tonami più psicologici che pratici.
Le bombarde erano grossolane, con canna corta e
irregolare; i proiettili - di pietra - avevano una sfericità approssimativa che
non poteva garantire una buona tenuta fra canna e proiettile per sfruttare al
massimo la spinta propulsiva della polvere. Il miscuglio esplosivo era il più
delle volte ottenuto a caso, con un rendimento irregolare e molto inferiore a
quello che la polvere avrebbe fornito in futuro. I colpi che andavano a segno
erano rarissimi e la precisione di tiro era determinata dal capriccio del caso
più che dall'abilità degli artiglieri.
Verso il 1370 comparve alla ribalta Berthold
Schwartz. Al monaco tedesco spetta il merito di aver scoperto le proporzioni
migliori per i tre ingredienti fondamentali della polvere pirica (10% di zolfo,
15% di carbone e 75% di salnitro) e di aver messo a punto i procedimenti
tecnici più adatti per fornire bocche da fuoco lunghe e regolari, precise nel
tiro e di lunga gittata. Nel 1373 Berthold Schwartz abbandonò il convento della
Selva Nera e andò a offrire i suoi servigi alla Repubblica Veneta, a
quell’epoca una delle più battagliere d’Europa. A Venezia Schwartz trovò
abbondanza di mezzi per realizzare i suoi progetti: nel 1377 la fonderia da
lui diretta sfornava i primi affusti e i primi proiettili di metallo, mentre
la fabbrica di polvere da lui approntata produceva l’esplosivo più potente
dell’epoca. Due anni dopo i nuovi cannoni veneziani, ai quali erano stati
assegnati nomi fantasiosi come basilisco,
falcone, passavolante, girifalco, furono impiegati con successo nell’assedio
di Chioggia. L'esplosione della polvere veniva provocata innescando col fuoco
la stessa polvere nera che fuoriusciva dal fondo della canna attraverso uno
stretto camino verticale. Di qui la primitiva denominazione di «armi da fuoco»,
che è rimasta inalterata anche quando l’innesco a fuoco è stato sostituito da
quello a scintilla e infine da quello a capsula.
In breve tempo Schwartz accumulò ricchezze, onori e
invidia. Così nel 1388 fu accusato - forse ingiustamente - di esosità e di
altri misfatti che la Serenissima puniva con la morte. Anziché sul palco delle
decapitazioni, come i condannati comuni, l’ex monaco ebbe tuttavia il
privilegio di esplodere legato ad un barile di polvere su una chiatta al centro
della laguna.
fucile Kentucky a percussione, con
tabacchiera fucile di canna lunga usato anche dai trapper
nella foto si notano anche una serie di coltelli
indiani con foderi da cerimonia
Le armi da fuoco si diffusero comunque piuttosto
lentamente. L’imperfezione tecnica con cui erano costruite e l’imperizia con
cui erano maneggiate impediva loro di rappresentare una vantaggiosa alternativa
alle tradizionali armi bianche. Inoltre la loro pericolosità obbligava gli
artificieri a precauzioni che ne limitavano
l’impiego. La situazione non mutò neppure quando, attorno al 1440,
apparvero le prime armi da fuoco individuali: l'archibugio, lo scoppietto e la
pistola.
Esse risultavano pesanti, lunghe da caricare e assai
meno efficaci di una freccia o di una spada. Inoltre il mondo cavalleresco, che
faceva del coraggio individuale e della forza fisica 0 fulcro dei valori in
battaglia, considerò le prime armi da fuoco con ostilità perché sovvertivano la
tradizione variando artificiosamente i risultati delle battaglie.
Quando però la tecnica cominciò a produrre armi
migliori, e la chimica nascente riuscì ad accrescere il potere esplosivo della
polvere anche i difensori della tradizione si arresero. Una svolta importante
fu la scoperta della granitura (1450 circa), cioè del procedimento che permetteva
di produrre l’esplosivo in granuli grossi e distinti. E infatti l’onda
esplosiva si propaga più rapidamente e più completamente fra i grani,
facendoli deflagrare con maggiore potenza. I vantaggi della granitura furono
subito evidenti, tant’è vero che nel 1500 il prezzo della polvere da sparo
cresceva con le dimensioni dei grani.
Nei secoli successivi i metodi per produrre la polvere
e per migliorarne le caratteristiche si svilupparono parallelamente al
progresso della scienza e della tecnica. Tuttavia la composizione tradizionale
continuò a rimanere quella di Berthold Schwartz: carbone, salnitro e zolfo.
Potenze esplosive superiori vennero raggiunte solo quando la chimica incominciò
a scoprire le vere leggi della combustione rapida e dell'esplosione. Il primo
risultato positivo lo si ebbe nel 1785, quando il chimico francese Louis
Berthollet sostituì il salnitro con il clorato di potassio, ottenendo un
esplosivo assai più potente della polvere da sparo. Iniziava così l'era degli
esplosivi chimici «diversi», che ebbe le sue tappe più importanti nel fulminato
di mercurio, nella nitroglicerina, nella dinamite e via via fino all'atomo.
Oggi la polvere pirica viene impiegata solo per i
colpi a salve e per taluni usi civili. Sul campo di battaglia, dove la sua
apparizione determinò in passato una profonda rivoluzione, è stata ormai
sostituita da esplosivi che con essa non hanno più nulla in comune. È stato un
tragico scambio di consegne, un imponderabile impulso che sta spingendo
l’umanità verso un destino oscuro e gravido di paure.
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