Racconto, tra favola e mito, tradizione orale irochese dei Seneca.
Eccone la
storia:
C'era una capanna nella foresta, dove poche persone arrivavano. Lì abitavano un
giovane e sua sorella. Il ragazzo non era simile alle altre persone, per metà i
suoi capelli erano di colore rosso e per l'altra metà erano di colore nero.
Quando si assentava per
andare a caccia egli aveva l'abitudine di lasciare sua sorella da sola. Un giorno
ella lo vide allontanarsi verso la foresta e pensò che, come al solito, egli
fosse partito per la caccia. Invece poco dopo lo vide tornare sui suoi passi.
Entrato in casa, egli la chiamò e la prese tra le braccia, comportandosi con
lei come un amante. La sorella, passata la meraviglia, si ribellò e si arrabbiò
ma il giovane non la smetteva. Ella allora lo respinse con forza e lui stavolta
se ne andò.
Il
giorno dopo tornò alla capanna e trovò la sorella molto arrabbiata:
«Come
mai, disse egli, mi tratti in questo modo? Non ti comporti così di solito».
«Dovresti
saperlo, visto che hai cercato di abusare di me», rispose ella.
«Ma che
dici?», fece lui, «non ho mai fatto una cosa simile! Non ero qui ieri. Forse il
mio amico, che è tale quale a me d'aspetto, è stato qui».
Ma la
sorella era poco convinta: «È una povera scusa questa che tu mi dici. Spero che
d'ora in avanti la smetterai di comportarti male con me».
Qualche
tempo dopo il fratello si assentò di nuovo, dicendo che sarebbe stato via tre
giorni. Dopo poco che se ne fu andato la giovane vide una figura uguale a
quella del fratello muoversi furtivamente nella boscaglia. La sua casacca e i
suoi mocassini erano identici a quelli di suo fratello, e così anche i suoi
capelli.
Ella
allora capì che era tornato per farle del male. Infatti egli entrò nella
capanna e la prese tra le braccia. La giovane furiosa, con le lunghe unghie,
gli graffiò la guancia ed egli fuggì.
Dopo
tre giorni il fratello tornò a casa con un cervo ed ella non gli rivolse la
parola: «Sorella», fece lui, «vedo dal tuo comportamento che sei ancora
arrabbiata con me. Forse perché il mio amico è stato di nuovo qui?».
La
giovane lo guardò a lungo prima di rispondere, poi disse: «Fratello mio, tu hai
di nuovo abusato di me e io ti ho graffiato la faccia. Non vedi che sulla tua
guancia ci sono ancora i segni delle mie unghie!».
«Ah, la
mia faccia», risponde lui, «la mia faccia è stata graffiata dalle spine mentre
cacciavo. E poi qualunque cosa succede al mio amico succede anche a me. Per cui
se tu hai graffiato il mio amico, era destinato che le spine, nello stesso
modo, graffiassero anche me».
Ma non
gli credette.
Di
nuovo il fratello, dopo qualche tempo, tornò a caccia e di nuovo apparve nella
capanna il giovane identico a lui.
Stavolta
la ragazza, in un primo momento strappò la sua camicia di daino e poi gli versò
addosso una pentola di grasso bollente. Il giovane fuggì dalla capanna in
fretta e furia.
Tornato
dalla caccia il fratello gettò sul pavimento la selvaggina. La sorella, livida
di rabbia, appena egli varcò la soglia, cominciò ad accusarlo, indicando la sua
bella camicia macchiata di grasso.
«Ma
sorella mia», cercò di spiegare il giovane, «sono molto addolorato che tu ti
ostini a non credermi. Il mio amico, te l'ho detto, è identico a me. Adesso
andrò in cerca del mio amico e te lo porterò davanti. Se tu mi avessi creduto,
niente di male ci sarebbe accaduto ma ora ho paura e sento che dovrò morire».
La
sorella non rispose e non credette una parola di ciò che il fratello le disse.
Egli allora si addentrò nella foresta senza il suo arco e le sue frecce, e dopo
pochi minuti tornò alla capanna a fianco di un altro giovane esattamente simile
a lui e i cui vestiti erano strappati e sporchi come i suoi. Varcarono la
soglia e andarono accanto al fuoco della capanna. Lì egli cominciò a
rimproverarlo aspramente: «Tu hai abusato di mia sorella e maltrattato me»,
disse, «per questo pagherai con la morte». Detto questo prese una freccia dalla
sua faretra e la conficcò nel cuore del suo doppio, uccidendolo. La sorella
vide il suo assalitore cadere per terra poi udì suo fratello lanciare il
terribile urlo di guerra e cadere morto. Il sangue, che presto bagnò tutto il
suolo della capanna, uscì da una ferita nel petto del giovane, proprio sopra il
cuore.
*
Nota
La lega
degli Irochesi o delle cinque nazioni stanziate ai confini meridionali di
Canada, a loro si aggiunsero i Tuscarora formidabili e feroci guerrieri, si
erano alleati con gli Inglesi.
Non ho
mai capito perché i bianchi li chiamavano Seneca, ma questo racconto o mito o
favola mi ricorda molto il nostro filosofo, ricorda l’universalità umana.
Ps
Quando
gli europei arrivarono nel nuovo mondo replicarono il vecchio, le colonie erano
ossessionate dal numero dei “coloni” che erano pochi, erano anche ossessionate
dal “profitto” costituito dal commercio delle pelli simile all’odierno
petrolio, allora come ora i conflitti furono tremendi e cancellarono intere
popolazioni come ben si sa
Ma
Molti
europei servi della gleba scapparono nelle foreste e si unirono agli indiani e
con loro acquisirono la libertà, fenomeno tale da preoccupare le colonie stesse
per ovvi motivi, fenomeno poco conosciuto, essi furono i Coureur des Bois, essi
crearono i Metis, gente fiera e Anarchica che conoscendo l’economia bianca
scelsero sempre l’elemento indiano.
“faccia Falsa” ai primi del novecento
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