SOMMARIO

Anno XIII
Numero 22
Maggio 2021

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ARCHIVIO

 

 

 

 

Il mito di fratello nero e fratello rosso dei Seneca
di Sylvia Tritsch

Racconto, tra favola e mito, tradizione orale irochese dei Seneca.

Eccone la storia:

C'era una capanna nella foresta, dove poche persone arrivavano. Lì abitavano un giovane e sua sorella. Il ragazzo non era simile alle altre persone, per metà i suoi capelli erano di colore rosso e per l'altra metà erano di colore nero. Quando si assentava per andare a caccia egli aveva l'abitudine di lasciare sua sorella da sola. Un giorno ella lo vide allontanarsi verso la foresta e pensò che, come al solito, egli fosse partito per la caccia. Invece poco dopo lo vide tornare sui suoi passi. Entrato in casa, egli la chiamò e la prese tra le braccia, comportandosi con lei come un amante. La sorella, passata la meraviglia, si ribellò e si arrabbiò ma il giovane non la smetteva. Ella allora lo respinse con forza e lui stavolta se ne andò.
Il giorno dopo tornò alla capanna e trovò la sorella molto arrabbiata:
«Come mai, disse egli, mi tratti in questo modo? Non ti comporti così di solito».
«Dovresti saperlo, visto che hai cercato di abusare di me», rispose ella.
«Ma che dici?», fece lui, «non ho mai fatto una cosa simile! Non ero qui ieri. Forse il mio amico, che è tale quale a me d'aspetto, è stato qui».
Ma la sorella era poco convinta: «È una povera scusa questa che tu mi dici. Spero che d'ora in avanti la smetterai di comportarti male con me».
Qualche tempo dopo il fratello si assentò di nuovo, dicendo che sarebbe stato via tre giorni. Dopo poco che se ne fu andato la giovane vide una figura uguale a quella del fratello muoversi furtivamente nella boscaglia. La sua casacca e i suoi mocassini erano identici a quelli di suo fratello, e così anche i suoi capelli.
Ella allora capì che era tornato per farle del male. Infatti egli entrò nella capanna e la prese tra le braccia. La giovane furiosa, con le lunghe unghie, gli graffiò la guancia ed egli fuggì.
Dopo tre giorni il fratello tornò a casa con un cervo ed ella non gli rivolse la parola: «Sorella», fece lui, «vedo dal tuo comportamento che sei ancora arrabbiata con me. Forse perché il mio amico è stato di nuovo qui?».
La giovane lo guardò a lungo prima di rispondere, poi disse: «Fratello mio, tu hai di nuovo abusato di me e io ti ho graffiato la faccia. Non vedi che sulla tua guancia ci sono ancora i segni delle mie unghie!».
«Ah, la mia faccia», risponde lui, «la mia faccia è stata graffiata dalle spine mentre cacciavo. E poi qualunque cosa succede al mio amico succede anche a me. Per cui se tu hai graffiato il mio amico, era destinato che le spine, nello stesso modo, graffiassero anche me».
Ma non gli credette.
Di nuovo il fratello, dopo qualche tempo, tornò a caccia e di nuovo apparve nella capanna il giovane identico a lui.
Stavolta la ragazza, in un primo momento strappò la sua camicia di daino e poi gli versò addosso una pentola di grasso bollente. Il giovane fuggì dalla capanna in fretta e furia.
Tornato dalla caccia il fratello gettò sul pavimento la selvaggina. La sorella, livida di rabbia, appena egli varcò la soglia, cominciò ad accusarlo, indicando la sua bella camicia macchiata di grasso.
«Ma sorella mia», cercò di spiegare il giovane, «sono molto addolorato che tu ti ostini a non credermi. Il mio amico, te l'ho detto, è identico a me. Adesso andrò in cerca del mio amico e te lo porterò davanti. Se tu mi avessi creduto, niente di male ci sarebbe accaduto ma ora ho paura e sento che dovrò morire».
La sorella non rispose e non credette una parola di ciò che il fratello le disse. Egli allora si addentrò nella foresta senza il suo arco e le sue frecce, e dopo pochi minuti tornò alla capanna a fianco di un altro giovane esattamente simile a lui e i cui vestiti erano strappati e sporchi come i suoi. Varcarono la soglia e andarono accanto al fuoco della capanna. Lì egli cominciò a rimproverarlo aspramente: «Tu hai abusato di mia sorella e maltrattato me», disse, «per questo pagherai con la morte». Detto questo prese una freccia dalla sua faretra e la conficcò nel cuore del suo doppio, uccidendolo. La sorella vide il suo assalitore cadere per terra poi udì suo fratello lanciare il terribile urlo di guerra e cadere morto. Il sangue, che presto bagnò tutto il suolo della capanna, uscì da una ferita nel petto del giovane, proprio sopra il cuore.
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Nota
La lega degli Irochesi o delle cinque nazioni stanziate ai confini meridionali di Canada, a loro si aggiunsero i Tuscarora formidabili e feroci guerrieri, si erano alleati con gli Inglesi.
Non ho mai capito perché i bianchi li chiamavano Seneca, ma questo racconto o mito o favola mi ricorda molto il nostro filosofo, ricorda l’universalità umana.

Ps
Quando gli europei arrivarono nel nuovo mondo replicarono il vecchio, le colonie erano ossessionate dal numero dei “coloni” che erano pochi, erano anche ossessionate dal “profitto” costituito dal commercio delle pelli simile all’odierno petrolio, allora come ora i conflitti furono tremendi e cancellarono intere popolazioni come ben si sa
Ma
Molti europei servi della gleba scapparono nelle foreste e si unirono agli indiani e con loro acquisirono la libertà, fenomeno tale da preoccupare le colonie stesse per ovvi motivi, fenomeno poco conosciuto, essi furono i Coureur des Bois, essi crearono i Metis, gente fiera e Anarchica che conoscendo l’economia bianca scelsero sempre l’elemento indiano.

mit

  “faccia Falsa” ai primi del novecento


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