SOMMARIO

Anno XIV
Numero 23
Febbraio 2022

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ARCHIVIO

 

 

 

 

Randonnèe del vento
di Martina Giorgetti

Arriviamo al campo base con il sole. Quella notte nella 6x6 il vento scuote la tenda, come a farci capire che non si farà da parte facilmente. Fa cadere persino uno dei pali all’interno, per tenerci sull’attenti.

L’itinerario è stabilito, ma le previsioni meteo non promettono nulla di buono, soprattutto perché rischiamo di trovarci in balìa di un temporale, su una cresta esposta oltre i 2000 m e con i cavalli ben ferrati. Si decide quindi di invertire il percorso, sperando così di poter arrivare al forte Jafferau con condizioni migliori.

Siamo pronti a partire. I cavalli scalpitano, ma si marcia ordinati fino al forte Bramafam. Il primo giorno si sale per interminabili tornanti fino al passo della Mulattiera, ma arrivati in alto lo sguardo si apre sulle valli sottostanti. Scendiamo per una via ripida e veloce, di quelle che ti spaccano un po’ le ginocchia, poi ci accampiamo in un paesino disabitato che sembra appartenere ad un altro mondo. Ci siamo noi e i cavalli. Dare pietanza al cavallo, scegliere il posto migliore dove piantare il telo, allestire il proprio posto per la notte e impacchettare tutto di nuovo la mattina successiva piano piano diventano un rituale.

Dopo una notte tranquilla con qualche goccia di pioggia a fare da sottofondo sonoro, attraversiamo un bosco di pini e ci dirigiamo verso Oulx. Un breve passaggio in città e iniziamo a salire rapidi, prima in sella, poi cavalli alla mano nei tratti più difficili, allontanandoci dal mondo civile per risalire verso il forte Pramand. Le nuvole ci circondano. Il tempo è clemente, scende solo qualche goccia di pioggia. I cavalli sono sudati per la salita, ma tranquilli. Per la notte ci accampiamo di fronte al forte; si alza il vento, che questa volta apre squarci azzurri nel cielo e spazza via le nuvole più basse. Qualche raggio di sole si srotola in nastri di luce sulle montagne. Siamo circondati dalla bellezza e ci godiamo quello spettacolo.

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La mattina ci dirigiamo verso lo Jafferau. Attraversiamo la galleria dei Saraceni, un tunnel di circa un km completamente buio, con l’acqua che filtra dall’alto tra le rocce e scorre ai nostri piedi. Si marcia fino in cima su strada militare, a quasi 2800 m di altezza, con una vista intorno a 360 gradi. Mi ritengo fortunata ad essere lì. Iniziamo a scendere in Valfredda con il sole che ci scalda, un altro posto meraviglioso. Ci accampiamo nei prati vicini ad un gruppo di case. Anche se fa caldo, di notte eccolo comparire di nuovo: il vento soffia forte, lo si sente arrivare da lontano, in mezzo agli alberi. Il telo sbatte e ogni tanto mi prende a schiaffi, salta qualche picchetto, ma nel sacco a pelo si sta bene e c’è chi decide di dormire senza niente sopra la testa; del resto il cielo sopra di noi è traboccante di stelle.

È l’ultimo giorno di viaggio e stiamo per tornare al campo base. Ci fermiamo al limite di un bosco a goderci il panorama sui Re Magi e sulla città, che guardiamo da lontano. Risaliamo in silenzio verso Valle Stretta, è l’ultima salita.

Questo è solo il racconto stringato di 5 giorni a cavallo su e giù per le montagne. Ma c’è tutto quello che amo in questo viaggio: il sole, il vento, l’acqua, la roccia, le foreste, le stelle. Ci sono persone che marciano, con cui parlare o godersi la strada in silenzio. Non importa da quanto tempo veniamo qui; passiamo attraverso le montagne con i cavalli e questo basta per riconoscerci. E infatti si sta bene. Ci sono i cavalli, che si comportano come si deve. C’è la mia cavalla, instancabile. Quello che c’è intorno a noi fa il resto.

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