SOMMARIO

Anno XV
Numero 24
Aprile 2023

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ARCHIVIO

 

 

 

 

La via del Fiume
di Andrea Rigante

La corrente diminuita, il livello sceso a quaranta centimetri, ottimo per un guado sicuro in acque cristalline. Quel canale, che violento e spumoso prometteva sciagure al solo pensiero di avventurarsi, si era placato come ad ogni primavera, tornando ad essere la casa di germani, aironi, folaghe e cormorani.

Con la nuova stagione, passavo di lì ogni giorno, affamato di acqua e di quell’isola che solo attraversando il canale era raggiungibile. Ero ansioso di far tornare i cavalli a quella confidenza, a far pace con l’acqua.

Per caso mi cadde lo sguardo tra le pietre ricoperte di verde, tra i gusci di vongole d’acqua dolce.

Delle chiavi! Le mie chiavi!

Perse in quelle acque da almeno un anno, ricomparivano senza una ragione. Avevano camminato fin lì da chissà dove, oramai ricoperte di ruggine. A suo tempo, per settimane avevo freneticamente ribattuto il percorso, fino alle piene invernali del canale, ma nulla. Ed ora, proprio in quel momento, proprio in quel luogo mi stavano aspettando. In sella, in quel mondo stava la mia quiete, la quiete che avevo perduto.

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Il fiume mi stava parlando, mi ricordava il perché fossi li, e che le cose perdute potevano essere ritrovate.

Il mio più lontano ricordo di un cavallo risale a quando avevo sette o otto anni. Dalle ringhiere dell’ippodromo di San Siro, li vedevo numerati e pronti a scattare, in quelle gabbie compressi come polvere da sparo in una canna di fucile.

In adolescenza mi perdevo nei poemi cavallereschi: Parsifal, Ivanoe, L’Orlando Furioso. Poesia e cavalleria fuse assieme in un’unica vibrazione, avevano dentro di me il medesimo suono, il suono del coraggio, dell’avventura e della libertà.

Non son nato in mezzo ai cavalli, né son cresciuto a suon di lezioni in centri ippici, dovetti aspettare il primo lavoro fisso per potermi permettere delle lezioni, a 24 anni suonati. Passo il tempo e il caso mi portò sempre più vicino al Ticino, le lezioni in recinto persero presto interesse ed il richiamo del bosco divenne sempre più intenso. Non perdevo occasione per inoltrarmi in sentieri remoti ed esili, per estendere il reticolato dei percorsi conosciuti e spingermi sempre più in là, negli angoli più nascosti di uno dei parchi fluviali più grandi d’Europa, il Parco lombardo della valle del Ticino. Molti dei sentieri non più segnati sulle mappe recenti, si trovano invece in quelle oramai desuete dell’archivio IGM. Ogni volta era come ritrovare un tesoro, una via abbandonata adatta solo a carovane di cinghiali ora tornava equitabile, non senza un gran lavoro di braccia, machete e segaccio.

Nel 2012, con pochissima esperienza partii per un breve viaggio a cavallo, da Somma Lombardo a Bereguardo, partii per assaporare la sensazione della scoperta, della solitudine. Quattro giorni sull’ E1, una via antica e complessa, che mostrava tutte le fragilità di un’area pressata dall’urbanizzazione, una delle roccaforti della natura lombarda, nascosta oltre lo scempio post-industriale della regione. Una natura per molti inesistente, oramai perduta, per me divenne una missione, una casa da difendere.

Quel viaggio mi insegnò la quiete e la lentezza, l’esigenza di vivere nel presente.

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La meta era la gioia che dava lo stesso vagare, dello stupore per un angolo nascosto riscoperto, per uno scorcio paludoso, per un’ansa mozzafiato, per l’incontro con il cinghiale, il capriolo e la volpe.

Piuttosto che una destinazione, fatta di uno sterile chilometraggio alla fine della frase, era la bellezza la vera meta da ritrovare ad ogni passo.

Da quel giorno, per quanto possibile, mi presi cura del luogo che mi rendeva felice. Mantenendo vivi i suoi sentieri, accompagnando in sella chi volesse vedere da una prospettiva dimenticata quei boschi, quelle lanche e quelle terre in bilico tra acqua, terra e cielo.

L’equitazione fluviale, se così posso chiamarla, ha delle regole decise dal fiume, dal suo respiro, dalla sua legge. L’alveo è inviolabile, inaffidabile, se ne accettano i capricci e ciò che è lecito fare lo determina l’avvicendarsi delle piene, delle stagioni.

Guadare un fiume come il Ticino non è cosa da fare tutti i giorni, il lasciapassare viene concesso dal fiume stesso, non più di un paio di volte l’anno. E’ necessario osservare con cura, poiché ogni anno sarà altrove.

Il fiume insegna che è indispensabile adattarsi. Ogni anno, ogni mese, ogni giorno il sentiero può trasformarsi da sicuro ad insidioso. Una guida esperta dovrà, a colpo d’occhio, sapere se la strada sarà la medesima o se il livello del fiume avrà reso i guadi invalicabili. Un lento reflusso di piena manterrà i sentieri allagati per giorni, la sua risacca potrà rendere il fondo instabile, quegli stessi sassi franeranno rimescolati dalla corrente sotto il peso degli zoccoli. Un guado può trasformarsi in una trappola di fango e in pochi passi strapperà i ferri meno solidi.

Una lanca in piena avrà bisogno di tutta l’esperienza della guida. Tra le acque scure dell’inverno dovrà saper ribattere il sentiero ingoiato dalle acque.

Un temporale potrà aver spezzato o sradicato alberi ed indurre a tornare indietro o a dover creare un nuovo passaggio. Un tronco di pioppo o altri cento potranno crollare sul sentiero, prostrati dal vento, proprio il giorno prima della partenza.

Un anno franarono nel fiume trecento metri di costa, che rimodellarono l’aspetto di quell’ansa, un’isola si formò nel bel mezzo del fiume, come può fare un’eruzione. Quasi 20.000 metri cubi di terra, pietre e alberi collassarono sotto l’effetto dell’erosione. A valle per chilometri tutto cambiò, delle spiagge vennero cancellate per lasciare posto a scomode pietraie, mura di ghiaia si elevarono modellate dalla corrente, il sentiero dovette arretrare di trenta metri.

In queste terre, prigionieri dei rovi, puoi incontrare gli acciottolati delle vie del sale, larghi ormai pochi centimetri, come gli esili ponti sulle chiuse di vecchi navigli abbandonati. Ogni deviazione, ogni ramo morto può contare però su un sentiero che lo affianchi, è così che si torna a casa, seguendo l’acqua.

Da dieci anni vago in questo mondo, tra l’ordine umano della campagna ed il caos meraviglioso del fiume, duecento chilometri di riflessi, un dedalo di strade che cacciatori, boscaioli, pescatori e cercatori d’oro tracciarono a suo tempo, ma non basta, la ricerca non è ancora finita.

La sua voce non cessa mai di rinnovarsi e così le sue opportunità. È ora di ripartire di riprendere la via, osservarla da nuove prospettive, vedere se il fiume dall’altro lato è tutta un’altra cosa. È tempo di ritrovare quella chiave perduta nella corrente.

Settembre si approssima, è tempo di ingrassare la sella, di provare un nuovo affardellamento, rinfrancare la fiducia tra uomo e cavallo e ricominciare a perdersi.

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