SOMMARIO

Anno II - numero 2 dicembre 2010

____________ 

ARCHIVIO

 

 

 

 

INTO THE WIND

Andrea Mischianti

foto di Natalia Estrada

C’è chi non li ama proprio, i muri, i tetti, le porte, i letti comodi, i bagni con le piastrelle, le stanze, i cassetti.

Tutte queste cose abitano case, scuole, prigioni, alberghi e ospedali.

Esiste una minoranza di esseri  umani che fugge da tutto questo. Che ha paura di rimanere incastrato nella comodita’. Questa gente scappa via.

E “via” e’ sempre un posto lontano, aperto, disabitato, selvaggio.

Li muove l’inesorabile bisogno di spazio. Li trascina via il medesimo istinto dei lupi, dei bisonti, dei cavalli.

Silenzio. Vento. Rocce. Praterie. Foreste. Fiumi. Cielo.

    

Spesso sono costretti a rispondere ad una domanda che non conosce soluzione…”perche’ andare dove non vi è nulla, lontano nella scomoda incertezza e nel disagio, lontano dalle comodita’? “

Non si puo’ riuscire a spiegare l’utilita’ dell’andare via.

Non esiste risposta.

Forse Rheinold Messner è colui che vi si è avvicinato di piu’.

“…Ho inseguito per tutta la vita, l’inutile che mi è stato necessario…”

Quindi questi pochi continuano ad andare. A cavallo, con i cavalli. Per raggiungere un confine che non esiste. Cacciatori di orizzonti, consapevoli della magia. L’orizzonte infatti non si raggiunge mai, continua a spostarsi davanti a te, è immortale, selvaggio, bellissimo.

Ma nell’andare, nel piantare la tenda ogni notte al bivacco, si impara un pezzetto di verita’, si coltivano contemplazione, umilta’, coraggio e consapevolezza.

Il termine Trekking è spesso usato a sproposito.

Non bastano poche ore dietro la scuderia in sella ad un vecchio castrone per proclamare l’avventura.

Si deve conoscere il bosco nel buio della notte, mentre il tuo cavallo pesta piano il fango del sentiero e freme nelle nari quando l’usta dell’orso arriva piccante e fulva a svegliare i suoi istinti. Si deve aver vissuto la pioggia gelata di una sera disperata, quando soltanto la bussola, il buon senso o la fede possono permetterti di ritornare al campo mentre i fulmini prendono a sberle le montagne e senti nella criniera piccole scosse elettriche come dita di folletti bianchi che pizzicano le tue dita. E la gioia di un sorso d’acqua fresca di sorgente quando giu’ a valle il caldo soffoca le citta’ e voi siete li, tu e il tuo cavallo e vi sentite eterni, forti, spacconi e a prova di pallottola. E poi il sapore del pane e del formaggio che un pastore generoso ti ha offerto in cambio di quattro, preziose chiacchere e il volo del falco nel cielo e l’impronta del cervo laggiu’, accanto al torrente. E poi la notte davanti ad un fuoco piccolo di legna giusta. Il profumo della notte silenziosa, le fiamme che illuminano a tratti i cavalli. Le stelle, quante e che belle…lassu’ dove il mistero si fa immenso e tu hai la sensazione di essere meno di un filo’ d’erba storta dalla brina.

                             

I cavalli al mattino. Salire a pelo sul tuo, e condurre gli altri bradi, come uno zingaro, un indiano o un brigante verso il torrente. Ascoltare i loro sorsi sonori e perfetti nelle parole che l’acqua mormora con le rocce e tu alzi la testa e le foglie dei pioppi si muovono come tante manine di fate verdi e sibilano antiche canzoni nel primo vento del giorno.

E tornare. Dove la civilta’ attende inesorabile e tentatrice. Dove il mondo è fatto di asfalto e cemento e luci e cinema e centri commerciali. Tornare, questo è difficile per quella gente li’.

Sempre piu’ difficile.

Perche’ rifiutarsi di vivere domati e domestici è la loro maledizione, il loro destino e l’unica religione.

La natura selvaggia. I cavalli. Non serve altro, poiche’ questo racchiude tutto. Poesia, bellezza, eleganza, nobilta’, misticismo.

Sellare e andare. Andare via, lontano.

Lo hanno fatto poeti e pazzi, monaci e fuorilegge, esploratori ed esuli, emigranti e pellegrini, pastori e cercatori d’oro, uomini disperati, donne coraggiose. Anime randagie, bisognose di altrove, affamate di avventura.

E’ questo il sentimento che ti fa salire in arcione all’alba, il tuo baio lucido di pascolo e biada, il tuo coltello affilato, la tua borraccia piena. Nessuno ti premiera’ con coccarde e coppe. Non sarai nella computer list dei campioni, non ci saranno fotografi, applausi, grooms pronti a scattare.

Ma il premio ti aspetta lassu’ al campo base.

Il premio è l’andare. E’provare quel brivido li’.Che lo sai quando sei libero. Senza guinzagli. Senza giurie. Senza punteggi, penalita’, soprattutto senza tempo limite. Sei nel naturale esistere del mondo, in sella al tuo cavallo preferito. Sai che nessuno ti crederebbe mai, ma quando raggiungi la vetta, col fiume turchese e lucido a valle, il cielo blu come l’anima di un’angelo e la foresta che respira accanto a te…lo sai che non cambieresti questo per le Olimpiadi.

Ed il gusto di trattenere in te questo segreto, l’aristocratico privilegio di poterlo condividere con il tuo cavallo ed il lusso di non conoscere la fretta fanno di te un cavaliere, ti distinguono dall’atleta servo della medaglia, ti innalzano dalla plebea moltitudine di cavalcanti accecati dalla competizione, ti proclamano Vincitore del Campionato Mondiale della Liberta’ .