SOMMARIO

Anno II - numero 2 dicembre 2010

____________ 

ARCHIVIO

 

 

 

 

CHABERTON: IMPRESSIONI DEI SUOI CAVALIERI

Claudio Servetti - Cecilia Mainardi - Gabriele Tangherlini - Saulo Zaneta - Clara Brusetti - Mauro Barbero - Roberto Vaglio - Luca Zignin

 

                                                        

                

______________________________________________________________

 

Claudio Servetti

Aveva percorso lo Chaberton diverse volte, era una classica di ogni anno, sveglia alle tre e mezzo, partenza alle cinque, sei e mezza in sella, dieci e mezza in punta, dopo un' ora scarsa il rientro, alle tre alla macchina e alle quattro a casa. 

Non era facile riuscire a fuggire dalla frenesia di tutti i giorni e salire lo Chaberton era per lui un rituale, un appuntamento fisso per rinnovare un impegno preso molti anni prima, stava invecchiando ma la saggezza era ancora lontana. 

Non era capace di assaporare l'essenza del gesto, non riusciva a carpire le sensazioni , le vibrazioni , la storia , i dolori, le sofferenze e nemmeno la gioia della giovinezza e il cameratismo di chi aveva vissuto quei luoghi prima di lui. 

Qualcosa cambiò, quell'ultima volta era stato diverso, la meta finale era stata solo una parte del viaggio, come un pellegrinaggio dove giorno dopo giorno si scrollava di dosso tutte le negatività e si predisponeva condividendo emozioni e strada con un gruppo speciale di cavalieri . 

Qualche giorno dopo , a casa, gli venne tra le mani una lettera scritta a mano del 2001 ricevuta al rientro di un campo invernale Alpitrek che citava una frase da un opuscolo scout: 

"Il valore del gruppo dipende dal valore individuale di quanti lo compongono, ma più ancora dall'imponderabile forza della coesione". 

Nulla di più vero.

______________________________________________________________

 

Cecilia Mainardi 

trekking dello chaberton 

giorni di sole, di freddo, di vento, di roccia e terra 

il calore del saccoapelo, del sonno e dei sogni, dei sorrisi e delle parole in compagnia

una compagnia..quasi una compagnia dell'anello..con qualche personaggio in piu e senza un vero portatore 

con la meta che è la stessa e la strada insieme. 

fare strada insieme.sulla strada sei ciò che sei.niente fronzoli, niente finzione, non puoi, non vuoi 

la terra e il cammino ti portano quasi a una condizione primordiale, essenziale, scarna e ricca insieme. 

essere. 

essere.

______________________________________________________________

 

Gabriele Tangherlini 

Abbiamo superato Bologna,nessuno parla in macchina ,ognuno al suo posto guarda fuori dal finestrino sapendo che ci attendono diverse altre ore di viaggio.

Guido si accende una sigaretta e come  ispirato da non si sa cosa, inizia a descriverci la sua prima notte passata in un tipì, come si era vestito,cosa pensava mentre si rendeva conto che il suo sacco a pelo era "ridicolo" e immediatamente ci ritroviamo entrambi a raccontare alla nostra amica che fa il viaggio con noi fino a Giaveno tutta una serie di aneddoti tragicomici che pero' rendono bene l'idea di cosa è stato il trek dell'estate precedente.

Ad un certo punto ci supera un gruppo di motociclisti con le moto stracariche di borse.

A me viene spontaneo esclamare: " certo che per viaggiare cosi' bisogna essere veramente appassionati,altrimenti chi te lo fa fare!?! "

Guido ci pensa un attimo e poi con calma risponde: " ah...e noi? ".

La nostra amica ,dai sedili posteriori ,ci guarda stupita con aria interrogativa aspettando una risposta che invece non arriva.

Ci guardiamo sorridendo ma non diciamo niente, non occorre, e ci rimettiamo a guardare dal finestrino.  

----

Sveglia alle sei,ci alziamo ,facciamo colazione in cerchio per iniziare a prepararci : stamattina si sale in punta alla montagna Scintillante!

Ognuno ripone con cura nelle bisacce  vestiario ,viveri e l'attrezzatura per il governo del cavallo. Non abbiamo potuto usufruire del logistico,l'equipaggiamento è piu' essenziale del solito eppure c'è tutto cio di cui abbiamo bisogno.

Stanotte si è riposato bene,apparte l'intrusione di Prisca nel nostro telo tenda.

Grazie all'intuizione di optare per " la terza via del socialismo" abbiamo potuto dormire al riparo di una ex caserma un poco diroccata ma che ci è sembrata subito accogliente e rassicurante sotto la minaccia delle probabili avverse condizioni meteo.

Strigliamo i cavalli piu' silenziosamente del solito prendendo sempre piu' coscienza di dove stiamo per dirigerci.

Comincio ad avvertire una leggera inquietudine che mi sale su dallo stomaco ,faccio finta di niente,dando la colpa all'ennesima scatoletta di tonno che ho buttato giu' per colazione e continuo a pulire gli zoccoli di Delinquente.

Tutti pronti,ci disponiamo in fila e si inizia a marciare,uno sguardo al sentiero e uno piu' in alto, verso al vetta dello Chaberton.

Saliamo quasi senza parlare su per la strada militare farcita di vecchio e scuro filo spinato arrugginito che contrasta con l'azzurro del cielo che stamattina è "terzissimo".

Un azzurro così intenso che sembra quasi partire dalle cime dei monti e che attutisce questo senso di inquietudine.

Delinquente è un cavallo esperto anche se giovane che mi permette di guardare questo spettacolo senza distogliere lo sguardo per lunghi attimi...ne ho bisogno!

Mi ritrovo a procedere nel fresco del mattino, in mezzo agli altri compagni,con quella sensazione che stiamo andando "sicuramente nella giusta direzione". Tutto questo mi rinquora e mi fa stare bene.

Finalmente arriviamo ala vetta, ci copriamo bene, l'aria è frizzante.

Il panorama è eccezionale,Roberto elargisce spiegazioni geografiche e storiche.

Sistemiamo i cavalli, un pranzo frugale e poi ci godiamo la tanta agoniata meta!

Mentre qualcuno si sdraia al sole ascoltando i racconti del capo, Guido, Mauro, Luca ed io ci addentriamo in quello che resta delle torrette dei cannoni.

Scivoliamo sghignazzando sul ghiaccio formatosi sul pavimento,ci arrampikiamo su fino ai tetti  e ci scattiamo a vicenda foto ricordo come a voler essere sicuri di esserci veramente stati.

Poi ad un certo punto ci guardiamo e decidiamo di comune accordo che è giunta l'ora di ripartire.

Ci riuniamo e mentre ci disponiamo in fila per una foto di tutto il gruppo una coppia di aquile viene a salutarci volando poco piu' in alto delle nostre teste, imprimendo con i loro nobili volteggi un sigillo su questa stupenda giornata!.....

______________________________________________________________

 

Saulo Zaneta 

Quel giorno fu la prudenza a prevalere. Dopo una manciata di minuti a discutere sulla possibilità di bivaccare a 2700 con tempo incerto si decide di proseguire in orizzontale verso Rocca Nera. Meglio così. L’attacco alla cima rinviato al giorno dopo.

Rocca Nera. Il nome lugubre  non corrisponde al luogo. Uno spiazzo con rovine di ricoveri militari al limitare del bosco di larici. Per arrivarci però superiamo due tratti difficili, canaloni di sfasciume senza appoggio sicuro per lo zoccolo. La tensione si fa sentire, attenzione massima, silenzio.   Mauro fa supervisione, Fiorenzo se la vede brutta. Si passa indenni. Quel senso di avventura ..  intatto.

Preparato il campo, bevuto e mangiato, i cavalieri attorno al fuoco di Guido e Gabriele, per smaltire passiamo in dolce piano fino al terrazzo che domina la valle e ci affacciamo sull’altro versante del monte che ci ospita. Sorpresa! Un camoscio ci guarda per un istante e poi si getta a rotta di collo in fondo al piano. “L’uomo è predatore!, non scordarlo.. Scappa!”. Che spettacolo di agilità e padronanza. Rimane impresso, è un dono per tutti, affaticati.

Dormo tutta la notte con la radice del larice sotto la schiena. Mi sveglio, da uno stato gassoso, inconsistente,  a uno stato solido, di veglia. Mi soffio il naso ed inizia a sgorgare sangue a ricordarmi che sono anche liquido. Passaggi di stato. Continua e mi ficco un pezzo di fazzoletto nel naso. Clara non trova le briglie. Recupero il cibo legato al ramo per evitare banchetti alle volpi e si fa colazione. Marco dice che Clara ha fatto bene a tirarmi un pugno: qualche cosa avrò pur fatto! Lui intanto ha allucinato su non so quale cavallo che ci veniva a trovare di notte  e poi era il suo che si era liberato!

La stanchezza e l’altitudine fanno brutti scherzi, ce ne stiamo accorgendo.

Lasciamo il campo ai due maremmani che curano il gregge alloggiato lì vicino. La sera prima son venuti ad annusarci, a debita distanza, poi han capito. No pericolo.

La compagnia prosegue. 14 cavalli, 14 cavalieri, a mano il primo pezzo, superiamo un’altra volta i due punti complicati. La seconda va meglio. Dimenticavo: giornata splendida, sole. Ci fermiamo all’incrocio con la strada militare che sale allo Chaberton e abbandoniamo  il superfluo sul ciglio, alleggeriti, riempiamo le borracce, forse non troveremo altra acqua. Inizia l’ascesa, saremo sui 2000m all’attacco.

Si sale dolcemente, rocca tagliata, pian dei morti, e poi il colle dove avremmo dovuto bivaccare. Tira aria, freddo cane. Non ci fermiamo. Dal colle alla cima sono tornanti. Inizio a sentire un po’ di inquietudine, non so. Guardo gli altri e mi chiedo se è anche la loro. Penso al freddo, e poi da quanto tempo non salgo a 3000 e Nebbia..? Sicuro non c’è mai andato. E’ paura di non farcela. Mi copro più che posso e cerco di non consumare ulteriore energia. Guardo Clara. Dopo un po’ va meglio. Pestiamo la neve, i cavalli assetati la mangiano. Il gelato dello Chaberton!

La montagna è così, alimenta i tuoi più lugubri pensieri ed un attimo dopo cala il sole a scaldarti il cuore.

Arriviamo in cima e sembra un campo da calcio, scendiamo sotto le torrette e ci sediamo sulla scarpata a guardare in basso. Pace, luce, calore, parole che sono adatte, anche il tono. Si può entrare nelle torrette sotto i cannoni. Non mi va. Fa freddo lì dentro e poi un pensiero mi accompagna da quando le ho viste. Lo allontano ma poi torna come un insetto fastidioso. Sono morti in otto qua sopra, bombardati. Non ho energia per pensare a questa follia, non voglio vedere fantasmi, né i loro né i miei. Non riesco a pensare la morte. Non lo sapevano e se lo sapevano..? “Scappa.. che l’uomo è predatore!” .

E poi il ghiaccio. Cosa è successo di loro.. del loro sangue. Passaggi di stato. Questo siamo. Nulla più.

Si torna giù. Intanto sopra si è riempito, mi spiace, mi dà un senso di poco rispetto ma cosa ne so io delle preghiere degli altri! Due aquile ci salutano. Scambi di parole surreali, ci consigliano un maneggio!? Bho? Sarà il poco ossigeno..

Scendiamo veloci, incontriamo ancora gente che sale, a piedi. Qualcuno corre. Sono stanco. A Topo scende sangue dal naso, un piccolo filamento rosso rubino. Anche a lui lo sbalzo di pressione a fatto scherzi. Passaggi di stato. Il silenzio ci avvolge. Ognuno si chiude nel profondo per risparmiare energie. La strada è ancora lunga. Ora fa più caldo e la priorità è trovare acqua per i cavalli. Non bevono da ieri.

Arriviamo al bivio e raccogliamo ciò che avevamo abbandonato. Sistemiamo il carico e Roberta  ci segue con il pick up. Sono proprio stanco, tutti lo siamo ed il ginocchio di Claudio fa le bizze. Troviamo l’acqua per i cavalli, due tavoli e le panche. Decidiamo il da farsi  mangiando crostata di mirtilli e bevande zuccherate. A questo punto, o forse solo dopo ripensandoci, in quel momento, ecco l’istante sereno. Il momento nel quale il desiderio si addormenta, perché esaudito, e il dovere si volta dall’altra parte, o forse, solo, ti sembra di averlo assolto..

 e tu hai pace. Ma unicamente, nel mio caso, dopo aver faticato.

Un giorno ho sognato che mia madre mi chiedeva di portare ancora legna. Non ho mai smesso. Questa è la mia storia, diversa da tanti ma simile a molti. Alcuni in quel momento sono con me e questo rende ancora più dolce quella  crostata!

Ancora una considerazione. Passaggi di stato è una filosofia, una religione senza dio. I pensieri sono scintille, anche le pietre le fanno. Fango o polvere. Ma questo non toglie poesia a ciò che facciamo, il nostro passare lieve sulle cose. Per tutto questo “.. è un peccato morir..”  

______________________________________________________________

 

Clara Brusetti

Il sogno 
Salita allo Chaberton 2010

In tipeé la notte era umida e silenziosa, aspettava insieme a noi la partenza del giorno dopo… nel sacco a pelo ognuno di noi contava le gocce che cadevano, ritmiche. I sogni erano inquieti e speranzosi. La mattina seguente la pioggia era troppo indiscreta per farsi sentire dall’interno, ma c’era, si infiltrava e scoraggiava…

Il primo bivacco sembrava che le montagne si fossero tirate da parte per noi, felici di ospitarci. Era un angolo verde riparato e tranquillo, i teli erano vicini al fuoco uno accanto all’altro, noi come pecorelle, ci scaldavamo a vicenda. Eravamo partiti! Ora la meta, innevata, era il nostro unico pensiero ed il sole alla mattina lo ha accolto con entusiasmo.

Nella seconda notte tutti avevamo perso un pezzo: persone, oggetti, terra, strada… soli ci siamo lasciati avvolgere dalle stelle, aspettando l’arrivo…

Per passare la terza notte abbiamo dovuto superare ostacoli, pericolosi, il gruppo ed i pensieri si sono scontrati, rimescolati eravamo inquieti come le nuvole sopra di noi. Lo Chaberton era lì scrutava, padre della montagna, chissà cosa pensava di noi? Rocca Nera è stata un’ isola, un rifugio protetto, quello che serviva. Mi sono attaccata ad un larice enorme in grado di proteggermi la notte, il telo era sorretto da una sua mano, toccare la corteccia dilatata infondeva pace e coraggio, ha vegliato su di noi tutta la notte, insieme alla calda camomilla di Arianna, al camoscio maestro e al grande Chaberton, risolutore di imprese.

Non c’erano sogni la notte, tutto era lì fuori ad attenderci.

L’ultima notte è stata un inferno. Lontani dai sogni e dalle montagne tutto ora scivolava verso la fine… un lento precipitare, eravamo troppo pensanti di esperienze e di bellezza per riuscire a riposare. I cavalli invece, appagati dal cammino, dormivano.

______________________________________________________________

 

Mauro Barbero

....Ricordo di una sorta di disagio iniziale, il non sapere cosa sarebbe accaduto, il non sapere come ci si muove "tecnicamente"  per gestire il cavallo...5 giorni erano tanti...
Avevo però un pensiero fisso che mi regalava emozione ed energia: l'idea di arrivare lassù in cima allo Chaberton, con la sensazione che sarebbe stato qualcosa di magico e mai vissuto...che mi avrebbe riportato indietro nel tempo, ai tempi in cui quelle torri furono "vive"... 
E così, tutti i giorni, il mio pensiero, quando mi coricavo sotto il cielo di stelle, era rivolto a quando saremmo arrivati lassù...
Ricordo il mio disappunto(e qui trovai  identica reazione nella giovane e fortissima Vicky...)quando ci fu il dubbiose salire o no alla cima, perchè vi erano dubbi sul tempo..
Erano le parole di Roberto Baglio che, per sua esperienza, sconsigliava quell'ascesa e infatti, il pomeriggio, ci fermammo qualche centinaio di metri sotto i fortini, sfidando un percorso laterale per poterci accampare, decisamente impegnativo per il terreno franato..
Alla sera, con ancora le ultime luci del giorno, sdraiato nel mio sacco a pelo, osservavo a destra, sopra di me: c'erano i fortini lassù a guardarmi, circondati, purtroppo, da nuvole grigie...tutto ciò avrebbe potuto far saltare la nostra ascesa il giorno successivo..
Più volte di notte aprii gli occhi a scrutare il cielo, sperando di veder scomparire quelle nubi e i fortini erano sempre lassù ad osservarmi..
"...non possiamo non andarci...anche se il tempo non è bello, ci copriamo bene e saliamo ugualmente.." da inesperto, forse non ero cosciente dei rischi di salir lassù con tempo non idoneo, ma questi erano i miei pensieri...volevo a tutti i costi salire su quel colle...
Ho vissuto quella notte con l'ansia e l'agitazione del bambino che è atteso il giorno successivo da un'esperienza che più di ogni altra desidera..
E poi, il giorno dopo, arrivammo lassù....il percorso terribilmente affascinante, sembrava di salire in cielo...eppure i fortini sembravano non avvicinarsi mai...sempre a dominare da lassù, continuavano a guardarmi...
Negli ultimi tratti, il filo di ferro e le strutture delle pietre, facevano pensare che ai fortini avremmo trovato i soldati, che tutto fosse "vivo"...
Ho iniziato a provare sempre più emozione, con le palpitazioni per ciò che da lì a poco avrei visto...
Il piazzale che domina il cielo di Francia e Italia:una vera cartina geografica reale di tutti i monti dei due paesi..
Lì non senti più nulla e vivi solo emozioni e sensazioni intense che dentro di te si agitano all'impazzata: vuoi fare mille cose, ma non sai da dove iniziare...non vuoi perdere un minuto...
Poi sono entrato nei fortini: praticamente tutto intatto, in quei corridoi affogati nel ghiaccio...in alcuni punti le scale a chiocciola, pur arruginite, sembravano intatte..
Io ho proprio "visto" i militari muoversi lì dentro, sentivo le loro voci e avvertivo il loro disperato dolore, quando, inaspettatamente, furono annientati..
Anch'io, lassù, vedendo la maestosità e la potenza di quei fortini, non mi sono capacitato di come abbiano potuto essere distrutti così velocemente...
Ho respirato aria di storia e di gesta epiche e, ancora adesso, provo i brividi a pensare a quel luogo..
Ricordo lo stupore di Vicky, di Ceci, di Gabriele e Guido, che con me si erano avventurati a visitare la pancia di quelle torri...
Non avrei voluto venir via, ma, quando iniziarono ad arrivare turisti e amanti di camminate, la magìa e il senso di mistero di quel posto, iniziarono a svanire e venir via fu esigenza assolutamente sentita..

______________________________________________________________ 

 

Roberto Vaglio

Anni, tanti e altrettanti ricordi, al penultimo posto della lunga fila che si snoda per i sentieri della valle del Ripa. I prati verdi costellati di narcisi lungo il Thuras, la polvere del lungo, noioso sentiero che da Pra Claud sale verso lo Chaberton, il dolce peso sulle spalle di un figlio di tre anni che beatamente dorme, innocentemente indifferente alla fatica ed ai paesaggi nitidi nel mattino settembrino. La consapevolezza che queste sono le ultime occasioni di vivere il ricordo, la condivisione di questa dolce malinconia con l'amico complice, fingere che si è certi dell'eternità. Questo è il mio Chaberton.

______________________________________________________________

 

Luca Zignin

Non è facile raccontare lo Chaberton.

A vederlo dal basso, mentre ti avvicini silenzioso (per quanto possa essere silenziosa una compagnia di quattordici cavalieri), incute quasi timore. Poi ripensi alla sua storia, alle centinaia di soldati che sono passati di lì, al fatto che sia bastata una giornata per rendere nullo ciò che era stato costruito in decenni, e il timore si tramuta in stupore. E più ti avvicini, più lo stupore si tramuta a sua volta in senso di protezione.

Dormire a 2000 metri, all’ombra del forte, su un balcone da cui vedi Fenils e ancora più in basso Oulx basta a giustificare tutto e la fatica scompare travolta da quelle che il capo chiamerebbe “buone vibra” e a cui io non so dare altro nome se non quello.

Prima di partire, parlando con amici dei programmi delle vacanze, mi han chiesto che cosa mi spingesse nell’unica settimana di ferie ad alzarmi alle 6 e camminare otto ore per cinque giorni di fila. Non sapevo bene cosa rispondere. Tornato posso dire che 6, 8 e 5 sono solo dei numeri, potevano essere altri al posto di questi. Non sono quei numeri che hanno reso più o meno stancante e più o meno gratificante la “vacanza”.

Ma la sensazione di arrivare a 3130 metri, con il tuo cavallo, una banda di amici insieme a te e vedere il mondo che si muove là sotto è impagabile.

Ecco, il cavallo. Quello stesso cavallo che è insieme a te da gennaio e che fino a un paio di mesi prima di partire ti sembrava non essere quello giusto, o forse tu non eri quello giusto per lui. Poi qualcosa è cambiato, senza quasi dover far nulla. Qualcosa cambia continuamente da quando il 16 agosto 2010  le hai messo la sella sulla schiena per partire.

Siamo tornati diversi da quando siamo partiti, più insieme, non ancora insieme  (per questo ci vorrà del tempo).

E infine, ma non per questo meno importante, la compagnia.

Il capo dice e scrive: “miracolosamente è andato tutto bene”. Credo che sia un miracolo fino a un certo punto. Se le persone fossero state diverse magari sarebbe andata bene lo stesso, ma il clima che c’è stato per tutto il giro ha scaldato anche la notte umida a Chalet des Âcles.

Grazie a tutti Ari, Ceci, Viky, Clod, MauFisio, Clara, Saulo, GabrielUgo, GuidoUghetto, Fiorenzo, Mauro, Roberto, Cor, Roberta e Mauro.

 

     Serafina sulla cima dello Chaberton