SOMMARIO

Anno III  numero 1
aprile 2011

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ARCHIVIO

 

 

 

 

CAVALLI SELVAGGI

Andrea Mischianti

fotografie, Natalia Estrada

Stiamo attraversando un territorio estremo, aperto, libero, selvaggio.

C’è soltanto una strada che tira diritta a nordovest, qualche coyote morto sulla mezzeria, salvia selvatica dai riflessi d’argento che scintilla al sole e si perde all’ orizzonte che confina con l’infinito.

Ci fermiamo e loro sono li’. Puri , veri, selvatici, fieri e indifferenti.

Cavalli. Selvaggi. Qualcuno li chiama mustangs.

Io li conosco quei tipi, ne ho montati diversi. Sono proprio quello che sembrano, ne piu’ né meno.

Un po’ ribelli, ironici, tosti, originali.

Siamo in mezzo al nulla. Milioni di ettari di terra senza recinti, strade, case o gente intorno a noi.

Si può trovare questa cosa  orribile oppure irresistibile, noi, ovviamente la troviamo irresistibile.

Credo anche loro, laggiù, la pensino come noi.

E’ bello osservare come il vento muove le loro criniere.

Non è soltanto bello, è assolutamente bello.

Non stanno galoppando. Nessuno sta girando un commercial.

Sono un piccolo branco di sette, otto individui. Probabilmente femmine con un paio i giovani stalloni dietro le loro code, che fanno a botte tutto il giorno. Pascolano, le schiene larghe al vento, alzano i loro musi di velluto e ci guardano.

Quando uno di quei cavalli ti guarda ti fa sentire un po’ scemo.

Non ha importanza se, sulla schiena di un loro lontano parente, hai vinto un Gran Premio. Comunque, loro, liberi e veri, ti fanno sentire così.

Dubito che la maggior parte dei cavalieri da Gran Premio abbiano mai incontrato un Mustang.

Altrimenti, credetemi, laggiù, avrebbero provato, umilmente, deferenza verso questi monumenti viventi dello spirito, dell’anima, dell’idea stessa del Cavallo, che noi tutti custodiamo nel cuore.

Siamo ancora qui e penso a queste cose.

Ho un’immagine di un gruppo di cavalieri con pantaloni elasticizzati bianchi, stivali lucidi, giacche aderenti e cap griffati. Mi piacerebbe averne qualcuno qui con me, adesso.

Oh… quanto mi piacerebbe…

So che non è posto per loro… ma imparerebbero molto, semplicemente osservando questi ragazzi a quattro zoccoli, muoversi nel bel mezzo del niente, agili, veloci, indistruttibili. Senza fasce, integratori, strane stinchiere, medicine varie ed eserciti di grooms al seguito.

Io, ogni volta che ne ho avuto la possibilità mi sono fermato e sono stato a guardarli. Un po’ per la poesia della cosa, un po’ per capire davvero come si muove un cavallo.

Ed un cavallo lo sa sempre cosa deve fare. Sempre.

Come diceva Ray Hunt, “ … i cavalli non mentono mai, non dicono mai bugie…”

Chiunque abbia smesso di contare soldi, coccarde, indicazioni scritte in inglese sui flaconi dei medicinali strani, falcate, ricette veterinarie, aggeggi diabolici chiamati “redini di ritorno” o peggio, chiunque dicevo si sia fermato un’ istante ad “ASCOLTARE” il proprio cavallo, avrà certamente e meglio di me, avuto la possibilità di comprendere che dovremmo smetterla di essere arroganti e sciocchi a tal punto di chiamare questi meravigliosi e magici esseri… atleti.

Un cavallo è un cavallo e non sceglierà mai di essere un’atleta. Noi vogliamo trasformarlo, ma il cavallo, ogni cavallo, in tutto il mondo, ha un solo sogno, lo stesso che hanno adesso, qui in Nevada questi mustangs… un pascolo, un po’ di spazio e nessuno che gli rompa le scatole.

In fondo, se ci penso, è quello che sogno anche io. Non ho bisogno di un podio e uno sponsor. Ho bisogno di spazio, di verità e di libertà.

Ed ora guardo l’orizzonte che si mescola con le groppe di quel mucchietto di bai laggiu’. E mi sento un re, con una birra in mano al posto di un flute smilzo pieno di stupido champagne, con i miei jeans usati bene, i miei vecchi stivali ed un cappello che mi assomiglia.

Si respira libertà quassu’. Un altopiano immenso e poderoso dove ancora, un uomo a piedi è un povero disgraziato ed un cavaliere, un eroe.

Dove puoi portare la tua donna e farle guardare il mondo e dirle questo è il mio mondo ed è ancora un posto grande e grosso e pulito.

E ci aspetta ancora strada davanti. Lunga, diritta, sicura, sterrata. Vorrei essere come questa strada.

Ed eccoci di nuovo in viaggio, fino al ranch di un mio vecchi amico.

L’asfalto è finito da un pezzo ed il nostro fuoristrada alza una coda di polvere alta quanto quella di una carovana.

Ci vuole coraggio e fibra per viaggiare qui, in questo strano angolo di mondo dimenticato.

Un posto fatto per noi e per i cavalli.

Adesso so che scriverò qualcosa su questo viaggio, su quei cavalli liberi, senza nome, senza padrone, senza microchip, certificato della asl e passaporto FISE.

Chiedeteglielo al vostro cavallo se preferirebbe vivere un giorno cosi’, oppure cento, chiuso in un box.

Provateci, datemi retta, provateci.

Voi pensate che sia poesia questa, romanticismo, retorica, stupidaggini.

Invece si chiama VITA.

Ed i  cavalli, a differenza di molti cavalieri, lo sanno bene.

Verrà un giorno, lontano purtroppo, ma inevitabilmente verrà. Quel giorno i cavalli avranno diritto alla loro dignità.

La dignità di essere rispettati ed amati per ciò che sono e non per quello che noi vorremo farli diventare.

Spero di vedere quel giorno, ma temo che ci vorranno secoli.

E purtroppo i pochi fortunati saranno coloro che continueranno a permettersi il lusso sfacciato di galoppare liberi e fieri nelle praterie immense.

Ad un cavallo non interessa avere le fasce di cachemire, la coperta con le iniziali od i ferri fatti su misura. Loro sono i giusti, i veri, i formidabili e, secondo me, ridono spesso di noi.

Ora ho un volante tra le mani. Sto tornando a casa… e casa per me è un posto difficilmente immaginabile per molti.

In realtà non c’è nessuna casa, tranne una vecchia baita disabitata.

Ed io, come quei cavalli selvaggi, sono consapevole della aristocratica opportunità che ho, di vivere ancora un pezzetto della mia vita quassu’ , in questo immenso palcoscenico naturale senza padroni.

Agli altri lascio Montecarlo, un aereoplanino privato ed una cena bordo piscina.

Qui la storia è diversa.

Stringerò la mano della mia ragazza ed andremo, domani nella vecchia scuderia di legno, dove per lei sellerò un mustang pezzato, con gli occhi azzurri ed andremo, insieme, la’ fuori a conoscere quegli orizzonti che nessuno ha mai vissuto. E so che sarà il dono più prezioso che potrò farle. Perché queste cose non si possono comprare in una boutique del centro.

Non hanno prezzo.

Non conoscono carte di credito.

Queste cose hanno un solo nome, come i cavalli che abbiamo osservato insieme, al lato della strada pochi minuti fa.

Cose che assomigliano ad un sogno, chiamato Libertà.