SOMMARIO

Anno III  numero 1
aprile 2011

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ARCHIVIO

 

 

 

 

PELORITANI A CAVALLO

Nicola Amico

Il trekking delle acque
Un percorso a cavallo di più giorni, sullo spartiacque dei monti Peloritani che dividono due mari, tra panorami mozzafiato, rifugi di pastori, fiumare ricche d’acque e fresche sorgenti minerali.


Il sole tardava a sorgere, ma il primo pensiero è stato quello di vedere e capire quali condizioni meteorologiche avrebbero accompagnato i nostri tre giorni a cavallo.
Per l’intera settimana, l’ansia ci aveva tenuti con il fiato sospeso, poiché il bel tempo, sarebbe stato importante, per il nostro trekking sui Peloritani e soprattutto il nostro appuntamento con la luna piena che, da calendario, cadeva proprio in quei giorni, essenziale e magica, per le nostre notti montane.
Poi finalmente, l’arrivo della serena aria primaverile e il cielo terso, furono motivo di reciproca gioia e soddisfazione, quando, ci si è incontrati nella piazza principale della cittadina di Santa Lucia del Mela per le ultime verifiche, prima della partenza.
Il nostro gruppo è composto da sei uomini con altrettanti cavalli, di cui, tre sanfratellani, un maremmano e due indigeni siciliani: l’equipaggiamento è ridotto all’essenziale; solo il necessario per stare fuori tre giorni in autosufficienza, con due pernottamenti.
Ognuno si porta appresso viveri per sé e per il cavallo (otto chili, tra avena e schiacciati più energetici, suddivisi in quattro pasti), sacco a pelo, vestiario per la pioggia: non serve né il telo e neanche la tenda poiché si pernotta in un rifugio di pastori e in un primitivo pagliaio, quest’ultimo ristrutturato dalla Forestale.
L’odore del caffè ci pervade, mentre attraversiamo le viuzze dell’antico borgo medievale della cittadina di Santa Lucia che si risveglia e il sole è già sorto dietro i monti della Calabria che si affacciano sullo stretto di Messina, quando lasciamo alle nostre spalle, il superbo castello arabo normanno di Federico II, per intraprendere la trazzera che va su per i monti. 


E’ solo di quattro ore la marcia che ci separa dal rifugio del pastore presso il quale arriviamo in tempo, per gustare la ricotta calda, preparata in ciotole di legno di radica, con dentro spezzettato del pane appena raffermo, che si gonfia sotto le abbondanti mestolate del candido alimento.
Sistemiamo le cavalcature dentro alcuni stazzi, liberi dalle pecore ormai al pascolo e ci si organizza per la cena e la notte, dando un ultimo sguardo alla cartina, relativa alla strada che avremmo intrapreso il giorno dopo. 
Si raccoglie legna per accendere il fuoco, si dà ai cavalli la loro porzione di avena, si stendono teli e sacchi a pelo sotto una tettoia adiacente alla casa del pastore: qualcuno aiuta a preparare la brace sopra la quale, sarà cucinata la carne d’agnello che sin dal mattino era stato preparato per la nostra venuta.
A oriente sorge la luna, che qualcuno intravvede offuscata, non certo perché foriera di un alone di pioggia, ma per i fumi del vino, con il quale aveva annaffiato l’ottimo agnello, cotto su brace di ginestra: un ultimo sguardo ai cavalli e Morfeo s’impadronisce delle nostre inebriate menti, una volta sprofondati nei nostri sacchi letto.
E’ ancora buio quando, il più sobrio della sera prima, mette la musetta ai cavalli, per la loro razione di cibo: si riordina la roba della notte, qualcuno mette sul fuoco ravvivato, la caffettiera per un corroborante caffè, si tosta del pane sulla brace rimasta, che ancora caldo, accoglierà, abbondanti cucchiate di marmellata di mandarini, (portata nelle bisacce da un’anima nobile del gruppo). 


Il levarsi del sole, ci sorprende già sullo spartiacque peloritano, un’antica via in quota, simile per alcuni versi ai percorsi andini dal quale, con un panorama mozzafiato, si ammira con meraviglia, il versante del mar Ionio e quello del Tirreno, con le sottostanti valli e paesi degradanti verso la costa.


Osserviamo ancora le tante fiumare colme d’acqua, in questo fine stagione ricco di piogge, che dagli anfratti dei costoni sovrastanti la via che percorriamo, hanno le loro scaturigini: un percorso in quota, circondati dalle acque dei due mari e da quelle dolci delle fiumare che, come a lisca di pesce, discendono lungo i versanti montani per scorrere placidi verso i rispettivi mari. 


Il sole alto, anche se primaverile, ci riscalda e una fresca sorgente a Pizzo Acino, rifocilla noi e i cavalli: si decide una deviazione di qualche ora per andare a visitare il sito di un’antica e rara felce termofila, risalente al Terziario, la Woodwardia Radicans, che sopravvive in isolati anfratti di questo territorio: è emozionante considerare che tale specie, ora estinta su quasi tutto il pianeta, sia convissuta con i dinosauri.


Ripresa la dorsale, in un paesaggio a volte lunare, privo di alberi per i disboscamenti selvaggi a causa dell’uomo (i boschi di querce furono recisi, per ricavarne traversine per binari della ferrovia sulla costa), si èleva all’orizzonte, quel che resta di un complesso fortificato, d’importanza strategica lungo lo stenà (valico) dei due mari, al tempo della battaglia di Milazzo, tra Cesare Ottaviano e Sesto Pompeo, nel 36 a. C. 


Il percorso ad otto volante, ci costringe ad alternare il nostro procedere, spesso a piedi, a volte in sella, fino a giungere, a pomeriggio inoltrato, al rifugio forestale di Posto Leoni, caratteristico, a quota 1200 m., per un laghetto artificiale, dentro il quale, attingono gli elicotteri, in caso di malaugurati incendi boschivi.
Il primo pensiero è per i cavalli, ai quali tolte le selle e i pesi, concediamo un abbondante pascolo d’erba, non prima di averli asciugati dal sudore e abbeverati: questo luogo è davvero un’oasi, ricco di acqua e di alberi, protetto dai venti e con un panorama emozionante sulla sottostante Valle del Mela, sulla Piana di Milazzo e sulle acque del Tirreno, dentro il quale sono incastonate le Isole Eolie.

Mentre il sole scompare a ponente del promontorio di Tindari, si prepara il grande fuoco che rischiarerà la nostra magica notte, assieme all’incantevole luna piena, rilucente del suo bianco splendore.
Passeremo la notte all’interno di un pagliaio, tipica abitazione primitiva dei montanari del Mela, un’arcaica struttura a forma di cono capovolto, la cui base ricorda i nuraghi sardi, sovrastata da una copertura piramidale di felce intrecciata e spessa, per il percolamento dell’acqua, su uno scheletro di assi di castagno, che lo rende così impermeabile: un focolare al centro riscalda l’interno, in assenza di fumo, assolvendo la conicità del tetto, alla funzione di canna fumaria. 

 

 


Consumata una frugale cena, con del pecorino riscaldato sulla brace e del pane, fichi secchi e noci, si da l’avena ai cavalli e ci si prepara per la notte: nell’attesa di terminare il pasto, qualcuno frantuma il silenzio con le note stonate della propria armonica a bocca, qualche altro fuma tabacco, qualche altro ancora tenta (invano) di trovare un contatto telefonico con il mondo che si è lasciato dietro.
Gli uccelli della sera, intonano le loro musiche, le volpi sembra che emettano dei latrati, il gatto selvatico, inizia la caccia notturna: anche le rane innalzano il loro canto e laggiù nelle fiumare, i granchi d’acqua dolce, escono da sotto le pietre alla ricerca di prede. 
La quiete della notte, regna sovrana, su uomini e animali e il silenzio è garbatamente interrotto solo dallo scoppiettio del fuoco, dal mormorio dell’acqua giù nella valle o dal rimuginare di qualcuno dei cavalli, al quale il sonno, tarda a sopraggiungere. 
Dentro il sacco a pelo, al bagliore tenue del focolare posto al centro del pagliaio, ciascuno gode della serenità che gli è concessa, eterea condizione, spesso in stridente contrasto con le ansie, le angosce e gli affanni del proprio quotidiano: ma un provvidenziale sonno, ci conduce per le strade dei sogni, fugando cosi ogni malinconia.
L’alba è già sorta da un pezzo e il sole già oltre la linea dell’orizzonte, si filtra tra le assi della vecchia porta di castagno che chiude il pagliaio: la solita anima buona, ha ravvivato il fuoco e messo a sobbollire la caffettiera e, separata la brace, ha posto sulla griglia il pane appena affettato. 


I cavalli, scalpitanti ormai da tempo, reclamano la priorità del loro pasto mattutino; anche noi, godremo del tiepido sole primaverile, traendo beneficio anche da un’acqua minerale salutare che in questo luogo ha origine: una breve escursione a piedi ci condurrà alla sorgente principale del fiume Mela, la cui foce, confluisce nel Tirreno, adiacente alla città di Milazzo.
Raccolte le nostre cose e sellati i cavalli, s’intraprende la via del ritorno, attraverso un altro percorso, che da quota 1200 m, sarà tutta in discesa; avremo anche modo di vedere una colonia di daini liberi che la Forestale ha reintrodotto su questo territorio, prima di immetterci, a valle, nel greto del Mela.


Attraversati i guadi d’acqua più impegnativi, ci concederemo qualche galoppo liberatorio per cavalli e cavalieri, ora che ci si è alleggeriti, del carico dell’andata.
Sarà la luna a rischiarare l’ultimo tratto di strada, prima di immetterci in paese, dove siamo attesi da amici che ci accolgono nella piazza per offrirci dell’ottima Malvasia e i famosi torroncini locali.
Ci rattrista l’idea di separarci, ma il quotidiano incalza: domani è un altro giorno e come dice il buon Leopardi “ …al travaglio usato, ciascuno in suo pensier, farà ritorno”.