SOMMARIO

Anno IV
Numero 1
Gennaio 2012

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ARCHIVIO

 

 

 

 

PENSIERI
di Mattia Bacchetti

A volte i loro sguardi si incrociavano durante i dieci minuti della ricreazione, ma nessuno dei due aveva mai avuto il coraggio di presentarsi davanti all'altro e aprire la bocca.
Quando lo sguardo di lei si posava sulla sua figura appoggiata al muro mentre fumava una sigaretta, lo vedeva solo e pensieroso, alienato da tutto e tutti, come se non fosse realmente li, come se la sua testa fosse completamente altrove.
Lei non capiva perché Gabriel, quel ragazzo, se ne stava sempre in disparte; parlava solo con chi gli andava a rivolgere la parola, e non erano molti.
Lui fra tutte quelle teste che sapevano aprir sempre bocca riusciva a vederne una che gli sembrava diversa dalle altre, ma questo, pensava, era solo un suo pensiero e forse si sbagliava, forse era solo un'illusione.
Quando Nicole, così lei si chiamava, si trovava con le sue compagne di classe, capitava che parlassero di Gabriel, ma le sue compagne si limitavano a dire che secondo loro era un "gran fico", ma che stava sempre zitto e questo per loro non andava bene, meglio parlare di un sacco di cose che non hanno nessun valore, che starsene zitti... Per lei invece in quel ragazzo c'era tutta un mondo da scoprire, c'era qualcosa che la incuriosiva moltissimo e che allo stesso tempo le piaceva.
Anche a Gabriel piaceva Nicole, soprattutto perché quando la vedeva si sentiva meglio, più allegro di quello che solitamente era o dei pensieri che gli affollavano la testa, ma non riusciva a trovare la forza per presentarsi e non aveva la minima idea di che cosa potesse dirle, e questa sua insicurezza lo faceva stare male, molto male.
Gabriel non sapeva se piacesse a Nicole; Gabriel non sapeva se piacesse nemmeno a se stesso: quando si specchiava si vedeva e si sentiva a volte brutto a volte bello, poi bellissimo e poi ancora brutto; non si riconosceva in quell'immagine con quei cosi rossi e neri sparsi per il viso, e spesso non parlava con nessuno anche perché si sentiva diverso, sproporzionato dagl'altri e disarmonico con sé; sapeva di essere in una certa maniera che a lui piaceva e di cui era fiero, ma che però scompariva quando si trovava immerso fra la gente; dava troppa importanza alla bella apparenza estetica, dava troppa importanza alle idee e ai giudizi che secondo lui si facevano le altre persone, su di lui e su tutto il resto… "Ma a cosa pensate? Cosa pensate quando mi guardate? Cosa quando state li in cerchio a sparar parole al vento? E quando siete soli?"
Era quindi l'apparire uomo che lo tormentava: non riusciva proprio ad immaginarsi come uno di loro, per lui era inconcepibile essere un essere umano, se per essere umano s'intendeva quello che vedeva lui ogni giorno.
Sapeva di essere il più vivo, se non l'unico che se ne rendesse conto, fra quelle voci che gli pareva discutessero solamente e continuamente del nulla: pettegolezzi su quello e su quell'altro, dibattiti su programmi televisivi, ambizioni a vestiti costosi e magnifici, e con che enfasi…
"Ma lo sai, ieri hanno buttato fuori Gianmarco!! Che palle! Secondo me era il migliore, era simpatico e pure fico!"
"Hai proprio ragione, anche secondo me è così, però vabbé c'è ancora Valentino!"   
Ma nonostante questo, a volte si sentiva proprio schiacciare, e diventare minuscolo, insignificante.
Anche Nicole non sopportava quello che le toccava vedere e sentire ogni mattina, ma a lei non capitava quello che accadeva al ragazzo, non sentiva quella sopraffazione che entrava dagli occhi e si spandeva per tutto il corpo, lei riusciva ad avere comunque il sorriso acceso sulle labbra e riusciva a far trovare a se stessa o agl'altri (almeno ci provava) un qualcosa per sorridere, per farti sentire bene.
Era ancora inverno e spesso pioveva e così Gabriel, dopo la camminata incominciata da casa sua, arrivava a scuola tutto mezzo e pieno di vita: come il sole e tutta la natura, lui la pioggia l'adorava, quel semplice fenomeno climatico lo faceva sentire estremamente vivo con quella sensazione che si prova quando si cammina a testa alta con la bocca leggermente aperta ad accogliere l'acqua che piomba dal cielo, goccia per goccia, sulla pelle e sulla lingua. In pochi, almeno a scuola sua, pensava, piacerà mai una cosa del genere.
Per non parlare di quei piccoli brividi di freddo che ti invadono per un istante il corpo e le viscere! Wuuuh, che sensazione!
E indovinate un po', anche a Nicole piaceva la pioggia, così tanto che quando pioveva scendeva dall'autobus una, due, o anche tre fermante prima per farsi una rinfrescante camminata.
Avevano molte cose in comune, ma ancora non lo sapevano.
La pensavano similmente anche sulla scuola: a entrambi piaceva andarci perché sapevano di poter imparare cose nuove, capire dei fatti, riflettere su idee e anche conoscere se stessi e gl'altri; però d'altra parte, guardando in faccia la realtà, si vedevano circondati da cervelli morti, molluschi parlanti, per i quali la scuola non era che un obbligo da odiare, un ritrovo per blaterare o più semplicemente un posto dove dover passare la mattina, con gl'occhi puntati sul cellulare, sfogliando il portatore di notizie, o magari prendendo appunti, o meglio, scrivendo parole su parole senza nemmeno pensare a quello che sta dicendo la tua penna, come se quelle nozioni andassero bene per principio, tanto alla fine dei conti quello che conta è saperle, quelle nozioni, alle interrogazioni e ai compiti, per prendere un 6 o magari un 8. E questo era anche quello che a loro due non piaceva, il fatto di dover essere giudicati con un voto, un numero, senza nemmeno sapere quello che tu veramente sei. Lo vedevano il buon uso della scuola, ma solo nei loro pensieri.
Una mattina piovosa, molto piovosa e grigia, quasi nera, di quelle quando il cielo sembra emanare un energia nascosta, imperscrutabile ma fortissima, quasi da metter paura, Gabriel stava appena uscendo dal sottopassaggio che gli faceva accorciare la strada quando, guardando avanti a sé, scorse scendere dall'autobus fermo a due fermate prima della scuola, Nicole.
Rimase fermo, finché lei non fu avanti sul marciapiede.
Decise di seguirla e spiarla, ma no, non era spiarla, era guardarla, solo guardarla.
Mentre la osservava, un sorrisino gli si apriva sulle labbra: gli piaceva, come camminava, come si muoveva, spensierata e immersa in chi sa quali pensieri allo stesso tempo, come guardava o come si soffermava ad osservare certe cose che la stupivano.
Gabriel rimase molto colpito da quello che aveva visto, anche se un po' se lo immaginava.
Giunsero fino a scuola senza che lei si accorgesse di niente e così, tutti e due belli bagnati, entrarono nelle loro classi.
Nell'aula di Nicole entrò la professoressa di geografia: "Buongiorno prof" intonarono i ragazzi quasi in coro, alzandosi in piedi; "Buongiorno ragazzi" rispose la professoressa.
Geografia, la materia che studia il mondo intorno a te, piaceva moltissimo a Nicole ed era anche contenta di come la studiava, insieme a quella professoressa che non si era arresa di fronte alla svogliataggine di alcuni ragazzi e che era riuscita a far tirare fuori ad ogni singolo alunno qualcosa di proprio; non era una lezione quella di geografia, era una scoperta di sé, degl'altri, e di tutto il mondo circostante.
Nicole era molto contenta di avere almeno un professore che facesse aprire le menti ai ragazzi, ragionando su vasti argomenti, anche non scolastici, chiedendo loro le proprie idee, dimostrando che si deve anche saper stare in silenzio, ascoltando, scoprendo quanto è semplice e benefico.
Nella classe al piano di sopra, quella di Gabriel che se ne stava nell'angolino accanto alla finestra a leggere, c'erano voci dappertutto, quasi non si riuscisse a tener la bocca chiusa; e che discorsi "Quel bastardo di matematica mi ha messo un rapporto! Ma io rispondo come mi pare e piace!" "Madonna ma hai visto com'è grassa quella in terza C, e poi si mette pure le minigonne!" "No, non ho studiato niente per italiano…pensa te se mi metto a leggere quella roba!".
Entrò il prof. d'italiano mentre le voci ancora squillavano "Buongiorno" disse, e solo qualche voce più giovane rispose "Buongiorno prof." e la lezione cominciò.
Il prof. spiegava, ma le sue parole rimbalzavano sugli scudi invisibili che gli alunni avevano sulle orecchie, ed entravano, nelle teste dei ragazzi studiosi, come nozioni da saper ripetere trasformandosi in appunti.
Gabriel aveva ascoltato e riflettuto e se n'era stato zitto, mentre altri avevano preso appunti e altri se n'erano stati là, come se nessuno stesse parlando di cose un po' più profonde a cui pensare, alcune ragazze a truccarsi o su internet col telefonino, oppure a fare i cruciverba, mentre i ragazzi discutevano su chi aveva vinto la scorsa partita di campionato. Era stata la solita lagna, ma quel giorno non poteva starsene senza far niente, così, suonata la campanella, era quello il momento che stava aspettando, Gabriel si precipitò dal professore…"Scusi prof…vorrei parlarle" disse. "Ah, Dimmi Gabriel" "Ok, ma preferirei in disparte" "Come vuoi, Andiamo in biblioteca" suggerì il professore.
"Senta prof, non voglio che lei si offenda per quello che sto per dirle, anzi, vorrei che lo prendesse come un consiglio" esitò un poco "secondo me lei è stanco…stanco di spiegare la sua materia ad un pubblico di automi" silenzio; continuò "le sue lezioni a me interessano perché mi fanno riflettere, ma potrebbero piacermi anche di più e magari essere più attive, più…più vive…se lei fosse…fosse più sicuro di sé e non si lasciasse sconfiggere da quel branco di imbecilli che ho in classe" "Io, lasciarmi sconfiggere?" "Sì prof, io la vedo così: nessuno la segue, e questo non è colpa sua, lo so, ma potrebbe dimostrargli la loro…" "La loro?" "Ecco, indifferenza".
Rimasero in silenzio per qualche secondo: Gabriel fissava gl'occhi del prof. che sembravano sia sconvolti sia pensosi, e con qualcosa di nuovo dentro; poi il prof. parlò: "Credo d'aver capito: tu vuoi che loro si rendano conto, che si accorgano, che non riescono a pensare ad altro al di fuori del loro piccolo finto normale mondo…giusto?" "Si prof., vorrei che si svegliassero, che uscissero da quella nube di stupidità che li avvolge" "E' impossibile Gabriel" "Maledizione, non dica così; lo so che sarà difficile, ma almeno ci provi" "Ci ho provato già per troppo tempo con molti ragazzi, ma i risultati ce li hai davanti agl'occhi; io posso anche provarci, ma non ti aspettare che sia io a farli cambiare, devono essere loro stessi a capire" "Ok, grazie prof." "Oh, di niente, a domani" "A domani".
Quel discorso aveva rincuorato un po' tutti e due, uno perché finalmente aveva detto quello che pensava, l'altro perché si era finalmente sentito dire qualcosa di vero.
Il tempo faceva il suo corso e i fiori erano già sbocciati dalle gemme, gl'alberi pieni di verde, rigogliosi splendevano già dal primo mattino nel cielo celeste e  l'odore d'aria fresca della mattina aveva un sapore inebriante sul viso di quei due ragazzi che avevano entrambi deciso, essendo passato l'inverno, di andare a scuola in bicicletta.
Durante le pause capitava che si scambiassero sempre più sguardi fuggitivi, come se entrambi volessero trasmettersi qualcosa e in effetti qualcosa c'era: si vedevano fuggire e andare per quel mondo che sentivano intorno a loro, di cui conoscevano l'esistenza, ma che ancora non potevano vivere come volevano, dovendo abitare con la propria famiglia e dovendo andare a scuola ancora per un anno.
Non vedevano l'ora di levarsi dalla loro città e di uscire, fuori, ovunque, a visitare il proprio pianeta.
Mentre la fine della scuola si avvicinava, con l'arrivo dell'estate e il peso dell'ultimo tanto atteso anno di scuola che si faceva sempre più incombente, Gabriel si accorse di non essere il solo a venire in bicicletta perché sempre, durante le ricreazioni, ne vedeva due parcheggiate oltre a quelle dei professori, la sua ed un'altra; pure Nicole se n'era accorta ma non riusciva a scoprire di chi era quella bici verde che tanto le piaceva.
Un giorno, quando l'ultima campanella suonò e la massa di ragazzi uscì, Gabriel si diresse verso la sua bicicletta infilandosi le cuffie nelle orecchie; dopo averla slegata, alzò lo sguardo e si accorse che accanto a sé stava una ragazza girata di spalle che imprecava al lucchetto "Mmmmh! Maledetto! Ti vuoi aprire!".
Così Gabriel si tolse le cuffie e le chiese "Hey, vuoi una mano?" "Ah no, non importa grazie" lei rispose rimanendo girata.
Ma vedendo che il lucchetto rimaneva chiuso Gabriel continuò: "Sei sicura?" "Eh…" sospirò lei "non proprio…" e voltandosi lentamente scorse il telaio verde di una bici con appoggiata la stessa figura che tanto la incuriosiva tutti i giorni.
Gl'occhi ghiaccio di lei si fermarono su quelli scuri di quella faccia che si trovava davanti: l'insicurezza del ragazzo svanì di colpo come per magia e allungata la mano verso quella di lei che stringeva il lucchetto, lo prese e con forza girò e STAC, si aprì.
Si aprì anche il sorriso, sulle labbra e nel cuore di quei due strani ragazzi.
Avevano moltissime cose in comune, e ora le avrebbero scoperte una ad una.