SOMMARIO

Anno IV
Numero 3
Maggio 2012

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ARCHIVIO

 

 

 

 

LA GUERRA
di Mauro Ferraris

Il desiderio totale di uccidere è la guerra.

 

La sospensione del tabù dell’omicidio scatena l’esuberanza aggressiva, e conduce il gioco della vita nel mito attraverso l’eccesso della festa, orgia di combinazioni che diventano atto sacro.

L’economia di mercato basata sul profitto, esclude, apparentemente, la violenza per convenienza economica, ma la violenza umana e animale non è  affatto un calcolo ma conseguenza di sentimenti quali collera, desiderio, amore, paura, quindi i divieti imposti dalla società intellettuale e civile comprendono e implicano la loro trasgressione.

L’istinto animale dell’uomo non può essere ridotto del tutto in funzione della convenienza, anche se la legge del mercato tende a farli diventare cose funzionanti a spese dell’esuberanza.

La civiltà dell’uomo bianco organizza l’efficacia dell’Esercito, togliendo ai soldati la gioia di superare i limiti del lecito.

Il guerriero al contrario, cercava quella gioia.

Il meccanismo dell’uomo bianco diventa sempre più estraneo alla tragica bellezza dei sentimenti primitivi.

Nei tempi passati, quando uomini e animali non erano separati intellettualmente, l’uccisione era sacra.

Il guerriero o il cacciatore, con la loro azione, rompevano l’equilibrio cosmico e ne erano consapevoli.

Per ristabilirlo dovevano pregare e purificare lo spirito, potevano così riemergere nella società; creando un magnifico rituale dove l’uomo e l’animale si confondono in uno Spirito superiore nel quale la morte diventa giovinezza del mondo, assicurandone il rinnovamento.

Il prezzo è alto, è in gioco la vita, ma l’indiano non ha la mentalità della produzione a basso costo.

L’indiano selvaggio, nella sua mentalità primitiva, sa anche che l’eccesso si oppone alla serenità, sa che l’eccesso non sempre è forza vitale e soprattutto sa che distrugge il piacere.

L’indiano selvaggio con il coraggio, con il sacrificio e l’autosacrificio, forse anche praticando l’eccesso, non perde mai di vista l’equilibrio tra guerra e pace, tra vita e morte.

cartolina

“Wambli galeshka wana nihe o who e “ 

Non è facile capire l’indiano cavallo, la sua vita è disciplinata da valori diversi.
Difficile è capire l’importanza che la penna d’aquila aveva per lui e più difficile ancora capire il motivo che ha spinto alcuni di loro a combattere in Vietnam.
Giudicare in un senso o nell’altro è sempre troppo semplice.

Questo quadro lo ha dipinto T.C.Cannor, ha dipinto due camerati della sua compagnia davanti a un bicchiere di birra, lo sguardo e le penne d’aquila.

Yellowtail racconta che un giovane Crow in Vietnam, andò i linea con la sua penna d’aquila tra i capelli, proprio come usavano i guerrieri nei tempi passati. Nel combattimento venne colpito da un proiettile che rimbalzò  sul suo petto dopo aver forato l’uniforme.

Era a Kee San e la penna d’aquila lo aveva protetto.

Yellowtail è uno sciamano Crow.
vietnam

T.C. Cannon è nato il 27 settembre del 1946 a Lawton Oklahoma, sua madre era Caddo suo padre Kiowa. Frequenta l’istituto di arte indiana di Santa Fè, fu allievo di Allan Houser e Fritz Scholder e con loro collaborò a ridefinire l’Arte Indiana.

Nel 1966 si arruola volontario nella 101ma Divisione Cavalleria dell’Aria, élite paracadutista dell’Esercito degli Stati Uniti, partecipa nei corpi speciali alla guerra del Vietnam continuando la mitica tradizione  dei guerrieri delle pianure.

La contraddizione della guerra in estremo oriente sviluppa la sua vena poetica e quando torna nella prateria dell’Oklahoma vi si dedica completamente.

Nel 1973 ha l’onore di presentare le sue opere allo Smithsonian’s National Museum dof American Art, fu in questa occasione che gli venne riconosciuta l’estrema attenzione che usava mettere nel suo lavoro.

Cannon aveva presente il valore dell’immagine, sapeva che essa è per gli Indiani “forma spirituale” e quindi cercava di annullare la distanza che poteva avere dalla sostanza. Cannon non si confuse mai nel mercato dell’arte, restò intimamente guerriero indiano e scelse di non spedire le sue opere nelle gallerie di Santa Fè. Le poche sue opere che si possono vedere sono state fatte conoscere dalla buona fede dei suoi collaboratori.

La morte, predetta, arriva l’8 maggio 1979 in un incidente d’auto.

Cannon