SOMMARIO
Anno V
Numero 1
Aprile 2013
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racconto
di Alberto Broccatelli
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Lontano,
negli spazi d’ombra, ancora esiste quello che la luce non riesce
ad illuminare. Nascosta giace una grande preziosità silenziosa e
priva da vincoli. Lo sguardo del viandante vi si dirige accecato dalla
voglia di perdersi. Lontano da quello che già conosce, dal suo
comodo e dall’oppressione della ragione.
Molte lune fa il giorno serviva alla notte e le persone la
rispettavano. Non avevano ancora pensato il modo di illuminarla se non
con nenie e fuochi sparsi. Era il manifestarsi di quello che non
aveva bisogno di sole, che sapeva strisciare tra i pensieri più
impensabili, per dar vita al contrario. Alcune genti non ne avevano
paura e lo accettavano come un segno dell’equilibrio divino,
ponendosi nei suoi confronti con umiltà e rispetto. Ogni cosa
aveva un senso e non si pensava di dominare questo sistema di cose.
Tutto aveva maggiore potere. Gli animali erano un popolo senza un
destino manifesto e tra le montagne le piante crescevano libere e
lussuriose. Non si poteva dire che esistesse una sola etica e che una
specie dominasse le altre. l’uomo di alcune tribù
che non riuscì a domare il gene della follia iniziò a
pensare di essere abitato da un destino speciale rispetto agli altri:
prima delle piante immobili, poi delle altre specie animali ed infine
addirittura dei suoi simili che non abbracciavano questa devastata
ispirazione.
In molti provarono ad impedire il dilagare di una follia così
pericolosa, ricordando il patto che i primi uomini fecero con gli Dei
della creazione: non si sarebbe mai dovuti uscire dal senso delle cose,
mai si doveva pensare di cambiarlo, mai proporne uno proprio,
perché nella finitezza dell’uomo stava
l’incapacità di pensare come un Dio. Era l’unico
modo per rimanere i santi custodi del disegno divino che ad ogni cosa
aveva dato un senso. altrimenti si sarebbe creato un Mondo privo di
direzione basato sul personale bisogno di affermazione, ingiusto verso
gli altri e destinato all’auto distruzione. La follia
rappresentava questo: nemmeno gli Dei potevano creare qualcosa priva
del contrario, sempre viveva la sua possibilità e si poteva
solamente scegliere di non negarla. Nel corso del tempo vennero inviati
messia, rivelazioni e uomini destinati a sconfiggere la follia che li
abitava, ma non riuscirono nell’intento.
L’uomo aveva ormai il pieno controllo delle terre e degli
animali, uccideva ogni cosa si opponesse alla realizzazione della
celebrazione di se stesso. aveva affinato ingegno e capacità, e
sembrava dirigersi ad ampie falcate nel baratro. Gli animali per natura
dissidenti vennero distrutti e confinati in territori a loro assegnati
così come le tribù che non volevano seguire questo
sentiero. L’uomo reinterpretò i messaggi divini,
donandogli un nuovo senso funzionale ai propri valori, si fece quasi
indistruttibile. Col passare del tempo il controllo si diffuse senza
più bisogno di armi e cadaveri, le resistenze degli animali
erano state del tutto sconfitte e per i popoli venne creata
un’”etica di comportamento” basata sul giudizio degli
altri. un’idea geniale: le anime si fiaccarono, i fuochi si
spensero e le greggi a due zampe iniziarono a consegnarsi in cambio di
protezione e un futuro sicuro. L’appannamento da delirio di
onnipotenza fu l’oblio più profondo: l’uomo
folle passò dal baratto all’economia, regolò
sensazioni e sentimenti attraverso una relazione di convenienza e fece
ben attenzione ad eliminare nelle nuove generazioni pensieri sacri e
cerimoniali. squarciò la terra per costruire strade,
deviò i fiumi e creò parchi per osservare un Mondo che
fu, dove andare solo a consumare servizi.
Ma la coperta rimase sempre troppo corta, come dissero i saggi
all’inizio del deragliamento, ogni cosa fuori
dall’equilibrio avrebbe creato sempre una crescita immonda e
devastante. In ogni generazione a seguire continuavano a nascere anime
forti, con fuochi impertinenti che non si riuscivano a gestire. Nei
luoghi dove la distruzione della comoda follia stentava a giungere, sia
per disinteresse che per la famosa impossibilità di gestire
qualsiasi cosa, le genti contrarie diventarono di nuovo forti di
vibrante libertà. impararono la pazienza e il silenzio, non
urlarono più nessun rancore e decisero di sopravvivere tra le
falle che questa imperfezione lasciava. Si ritirarono tra
le cime nevose o nelle distese desolate, di notte fino all’alba
solamente per re imparare a stare insieme, senza doversi chiedere o
restituire. passarono anni di apparente vuoto, in cui il riarmo
emotivo crebbe tra le riserve delle tribù delle montagne, fino
alle valli più inaccessibili. qualcuno la chiamò
apocalisse, altri gridarono di profezie, tutto era vero, come il fatto
che nelle cime dei monti il cielo è più vicino e la
verità divina sembra comprendersi di più. La fatica e la
miseria avvicinano all’umiltà e al bisogno, ma anche alla
fiducia nell’ incomprensibile senso della vita.
Il tempo sembra giungere ad una conclusione affrettata, che non
è di questo racconto, il quale sta or ora fuggendo in una
lontana faggeta in bocca al lupo che lo trasporta vagabondo, senza
senso in un immane girotondo di forme e colori.
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