SOMMARIO
Anno V
Numero 1
Aprile 2013
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ARCHIVIO
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Attraverso
la visita dei luoghi in cui si svolse !a famosa battaglia e l'esame
accurato di pubblicazioni dell'epoca, ricostruita la sconfitta di
Custer grazie all'uso sapiente della "cavalleria" indiana.
LA VERA STORIA DI LITTLE BIGHORN
di Mauro Ferraris |
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Niente vive a lungo solo il cielo e le montagne. Mi ero reso conto di
dover scrivere qualcosa su Little Bighorn di colpo, in una brutta sera;
costretto a mangiare in mezzo ad "amici" di "amici" che non mi amavano
affatto. Parlavano un'altra lingua, abitavano un altro paese, erano
altra gente. Erano uomini bianchi.
La fantasia come sempre grande alleata aveva cancellato l'infame
realtà e mi aveva portato insieme al mio cavallo nella prateria.
Si è parlato molto dei fatti e degli eventi accaduti il 26
giugno del 1876 cioè centotrentasette anni fa sulle rive di questo
piccolo torrente, chiamato dagli uomini bianchi Little Bighorn
(torrente della capra selvatica), e delle conseguenze che questi fatti
ebbero nella storia dell'Ovest.
Tra tutte queste parole, poche sono state spese per i cavalli, e noi
sappiamo quanta importanza i cavalli abbiano avuto nella storia degli
Indiani delle Grandi Pianure ed è per noi liberi cavalieri
importante conoscere come si svolsero i fatti laggiù.
Per parlare di Little Bighorn dobbiamo conoscere prima di tutto tre
fattori: il territorio, l'esercito dell'Ovest e gli indiani selvaggi.
Vediamo il primo. Il territorio compreso tra le Colline Nere e le
Montagne Rocciose — rispettivamente a Est e a Ovest dal fiume
Yellowstone a Nord e dal ramo settentrionale del Plata a Sud costituiva
praticamente l'ultimo grande rifugio per tutto quello che era
sopravvissuto alla colonizzazione bianca nel Nord-Ovest. Prima che
arrivassero i Lakota questi luoghi appartenevano ai Corvi. Era un
territorio poco frequentato e ancora sconosciuto ai bianchi, sopra il
quale vivevano in armonia bipedi quadrupedi e volatili come racconta
Alce Nero.
Grosso modo i torrenti Bighorn, Little Bighorn, e Powder, tutti
affluenti dello Yellowstone, avevano le loro sorgenti a sud e il loro
corso era più o meno parallelo fino alla foce. Questi affluenti
e i loro piccoli emissari correvano in piccole valli che solcavano le
pianure e rendevano disagevole il procedere ai cavalli soprattutto se i
cavalieri erano poco pratici della zona.
E adesso vediamo il secondo fattore: l'esercito.
L'esercito dell'Ovest era composto per la maggior parte da reggimenti
di cavalleria, con poca artiglieria. Questi reggimenti avevano degli
scout che potevano essere di razza bianca o rossa, prima del 1876 gli
scout indiani erano reclutati presso tribù nemiche di quelle che
si volevano combattere. Questo esercito era operativo e aveva il
compito di controllare la frontiera dell'Ovest: i suoi ufficiali
avevano combattuto tutti nella guerra civile, con il Nord naturalmente.
Questi reparti avevano all'attivo parecchie campagne estive ed
invernali contro gli indiani, per lo più infruttuose, se non
consideriamo "vittorie" quelle avute sul Sand Creek o sul Washita
contro le uniche bande di Cheyennes non ostili ai bianchi, come quella
di Pentola Nera appunto. Il settimo reggimento di cavalleria faceva
parte di questo esercito, tuttavia il suo comandante, il colonnello
Custer lo considerava un po' come suo personale. Interpretava a suo
piacere gli ordini dei superiori, andava a trovare sua moglie quando ne
aveva il desiderio, parlava molto nei salotti di Washington quando vi
si recava, vestiva con stravaganza e fuori ordinanza — per un
colonnello in servizio s'intende — e dai suoi uomini esigeva
disciplina e cieca obbedienza.
Col passare degli anni Custer divenne uno dei comandanti più "chiacchierati" dell'esercito e poco amato dai suoi soldati.
Le conseguenze di questi fatti sono dimostrate fin dalle Campagne del
1867, nelle quali il settimo aveva avuto il più alto numero di
diserzioni di tutto l'esercito dell'Ovest — si parla di 50
diserzioni in media al mese. Il colonnello reagiva con estrema durezza
a questo fenomeno e infieriva a tal punto sui disertori riacchiappati
che fu sottoposto a corte marziale. Lo ritennero colpevole,
sollevandolo dal comando per un anno intero.
Questo Custer era insomma un uomo ambizioso e capriccioso, voleva fare
sempre di testa sua e chiedeva ai suoi soldati anche quello che non era
disposto a dare. Era coraggioso, molto coraggioso e come soldato
fisicamente preparato, ma aveva un'alta considerazione di sé
mentre disprezzava l’avversario che pensava sarebbe sempre
scappato davanti a lui come la lepre scappa davanti al lupo.
E siamo arrivati al terzo punto: gli indiani selvaggi. I Lakota che
abitavano la regione in questione, cioè le pianure dei
Nord-Ovest, erano impropriamente chiamati dai nemici Sioux. Tra questi
si distinguevano maggiormente tre bande: gli "Hunkpapa, i Minneconjou e
quella parte di Oglala che aveva seguito Cavallo Pazzo anziché
Nuvola Rossa quando quest'ultimo era andato a finire nella riserva".
Questa gente, cavalieri nomadi che cacciavano con l'arco e le frecce,
avevano sempre evitato i contatti con gli uomini bianchi, si erano
ritirati nei più remoti territori per poter continuare a vivere
nella maniera tradizionale, non avvicinandosi mai alle agenzie. Questi
indiani selvaggi avevano visto dei coraggiosi guerrieri come Nuvola
Rossa e Coda Chiazzata andare nei paesi dei bianchi e tornare avviliti
senza aver più voglia di lottare per la propria libertà,
perché si erano accorti di essere troppo deboli per poter
continuare a difenderla.
Noi capiamo che un uomo grande come Coda Chiazzata, che poteva vivere
nel mezzo di elementi grandiosi a volte terribilmente avversi, come
quelli delle pianure, potesse sconvolgersi vedendo la ferrovia, la
città di Washington e l'esercito dell'Unione: migliaia di
soldati che potevano diventare dieci volte tanti nel giro di un mese,
mentre ci volevano vent’anni per fare un solo guerriero Sioux. Ma
capiamo bene anche Cavallo Pazzo che aveva paura di vedere tutto
questo, che aveva paura di perdere il suo popolo e se stesso e che non
voleva neppure usare gli utensili dell'uomo bianco anche se erano
migliori, e potevano tornare utili e che sapeva che le "comodità
civili" avrebbero fatto dei fieri autonomi indiani degli schiavi
dipendenti dai Whasichu.
Pensava che l'uomo bianco fosse come l'eroina dei giorni nostri, che
per un attimo di effimera gioia gli chiede in cambio vita e
libertà, e per avere un altro bicchiere di "acqua di fuoco" devi
entrare nel suo mercato e diventare suo.
Questi cavalieri selvaggi avevano capito tutto questo e volevano stare
lontani da tutto questo ed erano pronti a difendersi da tutto questo.
Le agenzie erano posti nei dintorni dei quali gli indiani "amici"
dovevano risiedere tutto l'anno, dove potevano ritirare le razioni del
governo, e venivano controllati.
Nel periodo di cui si parla, cioè negli anni a cavallo del
1866-67 molti indiani delle pianure vivevano già nelle riserve e
avevano adottato utensili e vestiti dei bianchi, Questi indiani
chiamavano i loro cugini che vestivano di pelle, si dipingevano ancora
la faccia, mettevano strisce di panno rosso nelle trecce e penne
d'aquila nei capelli, "settentrionali". L'esercito li chiamava invece
"ostili" per aver rifiutato di fatto il sistema delle riserve; la gente
bianca comune li definiva "selvaggi" e basta. Non dimentichiamo che la
società sioux era basata sulla sua potenza militare e che i
giovani potevano conquistare prestigio solo combattendo, anche quelli
delle agenzie, ed è per questo motivo che spesso questi
scappavano e si univano alle bande selvagge dove potevano partecipare
alle spedizioni di guerra contro i Corvi Shoshoni e Piedi Neri per
conquistare scalpi, punti e onore. Comunque i Sioux non erano soli: con
loro c'erano i Cheyenne del Nord e molti Arapaho.
Oggi è un bel giorno per morire. Ed eccoci alla battaglia: 17
Maggio 1876. La colonna del Dakota lasciava Fort Lincoln per
raggiungere la confluenza del Powder con lo Yellowstone dando inizio
alla campagna contro i Sioux studiata dal generale Sheridan.
Contemporaneamente partivano la colonna del Wyoming comandata da Crook
e quella del Montana di Gibbon. Queste colonne dovevano convergere
partendo da tre diverse regioni sui monti dei fiumi Bighorn dove si
pensava fossero da qualche parte accampati gli indiani ostili.
II 7° cavalleria da solo costituiva praticamente la colonna del
Dakota. Il generale Terry che comandava questa colonna aspettava il
7° alla foce del Powder sul piroscafo Far West. Qui ordinò a
Custer di risalire col suo reggimento il corso del Rosebud, tagliare
poi a destra per passare poi nella valle del Bighorn, discenderlo
quindi per trovare l'obiettivo che non doveva attaccare prima di
collegarsi con la colonna del Montana — quella del Wyoming era in
rotta dopo lo scontro con Cavallo Pazzo avvenuto sul Rosebud il 17
Giugno cioè cinque giorni prima e la notizia non era ancora
giunta.
Ecco le tappe:
22 Giugno - inizio manovra di avvicinamento. Il 7° aveva viveri per
quindici giorni caricati su muli, circa duecento colpi per ogni
cavalleggero. Percorsi 20 km a cavallo.
23 Giugno - il 7° continua a risalire il Rosebud percorrendo 50 km e trovando le tracce di un campo ostile molto grande.
24 Giugno - i cavalli vanno ancora avanti per 45 km e gli scout Corvi
individuano il campo degli "ostili" oltre il crinale che divide il
bacino dei Rosebud da quello del Bighorn.
A questo punto il comandante Custer. credendo che gli indiani messi in
allarme volessero scappare, ordinò di riprendere la marcia alle
23.30 per percorrere altri 16 km: intanto era già il 25 Giugno.
Alle otto di questo giorno il reggimento si metteva in sella per
raggiungere la cresta dalla quale si poteva vedere il Little Bighorn.
Altri 16 km di strada per i cavalli.
Strano per un ufficiale di cavalleria far percorrere in quattro giorni
140 km a dei cavalli su terreno estremamente difficile, di cui gli
ultimi 80 km praticamente senza soste, in parte di notte per attaccare
degli indiani che tutti sapevano essere formidabili cavalieri che
montavano freschi e addestratissimi cavalli da guerra.
Così verso l’una del 25 Giugno del 1876 un reggimento di
cavalleria che montava cavalli stremati si mise al galoppo per
attaccare i cerchi dei campi. Questa volta però Custer non aveva
davanti donne e bambini impauriti ma guerrieri Sioux liberi e
coraggiosi che non erano mai scappati davanti a un nemico in vita loro.
Il 7° attaccò su tre direzioni, due colonne si infilarono
giù per la valle mentre il gruppo al comando diretto di Custer
voleva bloccare la fuga degli indiani aggirando il campo per sbarrare
loro la strada a Nord.
Se li trovò praticamente tutti davanti nel volgere di un attimo
mentre effettuava queste manovra, i Sioux avevano liquidato Reno e
Benteen che comandavano le prime due colonne, e adesso furiosi si
lanciavano contro di lui. Mentre i cinque squadroni che seguivano Custer uno di seguito
all'altro, si infilavano dentro ad un piccolo
canyon chiamato Median Tail Coulee, i Sioux e i Cheyennes arrivavano a
sciami decisi da Sud.
I cavalli degli indiani - si parla di una mandria di 2000 cavalli
— pascolavano nelle parte occidentale della valle. I guardiani,
tutti bambini, li spinsero nel
campo dove i guerrieri montavano veloci in groppa al primo cavallo che
riuscivano a prendere senza curarsi di chi fosse per fare in tempo ad
andare a combattere i soldati. La battaglia finì sulla collina
che venne in seguito chiamata Custer Hill sulle pendici della quale
morirono circa duecento cavalleggeri. Sembra che Custer sia stato uno
dei primi a perdere la vita mentre, alla testa degli squadroni, cercava
di guadare il torrente. Alce Nero racconta che molti soldati, quando si resero conto che la
fine era inevitabile,
anziché combattere si suicidavano . Anche se gli indiani avevano dei fucili moderni
— da analisi fatte dagli archeologi del "National Parks Service
USA" ne sono stati stimati circa 200 — fu soprattutto l'urto dei
guerrieri a cavallo a travolgere in pochi
istanti ogni velleità di resistenza caricando frontalmente.
Custer era andato oltre i limiti, non solo della prudenza ma anche del
buon senso: attaccare con duecento cavalli sfiniti millecinquecento
guerrieri Sioux credendo che questi scappassero era solo assurdo.
Questo generale, a differenza di altri soldati, aveva capito molto poco
degli indiani, anche se li aveva combattuti per molti anni e
trascinò nella catastrofe non solo i suoi uomini ma anche buona
parte della sua famiglia: il capitano Tom Custer, suo fratello, che
comandava il terzo squadrone, Boston Custer, l'altro fratello,
giornalista che seguiva il reggimento da borghese. Le mazze da guerra
Sioux spaccarono la testa anche al giovane soldato Reed che era suo
nipote e al brillante tenente Calhoun che aveva sposato la sorella del
generale.
Quando la battaglia finì gli indiani raccolsero cartucce e
fucili che sarebbero ancora serviti, presero anche i cavalli ma li
abbandonarono presto perché non essendo abituati alla vita della
pianura, privi di avena dimagrivano in fretta. Il sauro di Custer di
nome Vic morì sulla collina.
Il giorno dopo gli indiani tolsero il campo sparpagliandosi nelle
pianure. I bianchi falsando la verità fecero di Custer un mito
che sarebbe servito a scatenare il genocidio e a giustificare quindi il
sacrificio di un popolo libero al loro "progresso". Ma gli indiani
sapevano e sanno che: per un bel sogno vale la pena morire.
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