SOMMARIO
Anno VI
Speciale Isbuscenskij
Q213,5
Aprile 2016
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ARCHIVIO
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I COSACCHI
I cosacchi sono diversi, buoni anche loro ma fieri, generosi, amano i
cavalli e questa comune passione ci lega immediatamente, amano la
musica, la danza e le feste, anni di persecuzioni staliniste non sono
riusciti a domarli. Le loro stanize sono più spaziose,
più sparpagliate, hanno cavalli, il fieno è accumulato in
covoni nei cortili; sono cavalieri come noi, hanno senso
dell’umorismo e dell’autoironia.
Dal diario di marcia di Mauro Ferraris
pubblicato su lo Sperone , novembre 1988
COSACCHI IN CARNIA
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Attraverso
il passo del Rest ancora innevato, siamo arrivati in Carnia la prima
volta su un vecchio furgone; cercavamo le ombre dei cavalieri cosacchi
che la storia, con un guizzo drammaticamente bizzarro, aveva sbattuto
in queste valli durante l’ultima guerra. Sapevo un po’
della loro storia attraverso le pagine di Sgorlon e di Magris, ma li
ricordavo soprattutto dai racconti narrati da un lontano zio, Dal
Canton, che era stato soldato nelle brigata Osoppo.
Poi siamo dovuti saltare in sella in primavera per poter seguire queste
ombre da vicino, ombre che hanno lasciato segni profondi e ancora
evidenti; dirigevamo a nord verso una vana speranza oltre Plockenpass.
Villa Verzegnis - Partiamo dall’Hotel Stella d’oro di Villa
Verzegnis ek quartier generale dell’Atamano Krasnoff, scendiamo a
Tolmezzo e risaliamo la valle del Bùt fino a Paluzza.
Gregorio deve portare la sciabola cosacca fino a Peggetz, in Austria.
La guerra in Italia era finita il 29 Aprile 1945. I cosacchi iniziarono la ritirata sotto la pioggia la mattina del 1 maggio.
I presidi abbandonavano i paesi, scendevano le valli d’Incaroio e
Tagliamento; file interminabili di soldati a cavallo con le famiglie
sui carri risalivano i canali di Gorto per evitare l’aviazione
alleata concentrata sulla Pentebbana, aprendosi la strada tra mille
ostacoli; altri cosacchi salivano la valle del Bùt, quella che
stiamo percorrendo noi.
Morte e disperazione e fatica e neve che scendeva sulle scure montagne
che dividono l’Austria dall’Italia. I cosacchi si fermarono
presso Timau, stringendosi gli una agli altri, contro i cavalli a
ridosso dei carri. La bufera terribile li aveva fermati e quella notte
morirono cavalli e morì anche una donna di fede musulmana;
sempre quella notte i cosacchi lasciarono a Timau dei loro averi con
cui gli abitabti costruirono, dopo la guerra, la chiesa che oggi sorge
al centro del paese.
Noi, dopo una notte passata molto più serenamente, prendiamo la
via della montagna. Salire sulla montagna è lo stile
dell’Alpitrek, non solo per il piacere che offrono le cose
difficili e faticose, ma anche perché lassù lo sguardo
spazia lontano, l’aria è fresca, l’acqua pulita e di
conseguenza siamo contenti.
La via si arrampica sul dorso del monte Paularo; la nebbia ogni tanto
scroscia giù acqua, la salita è ardita, i cavalli salgono
la montagna e Pit giù a valle comincia ad entrare nel mondo che
i cosacchi hanno lasciato dietro le code dei loro cavalli e che
è ancora vivo nei ricordi di molta gente, soprattutto di quella
più semplice e umana non viziata del tutto dall’infame
finzione suggerita una qualsiasi ideologia organizzata commercialmente.
Sul monte Paularo, gli zoccoli ferrati dei cavalli raggiungono
“L’alta Via Carnica”; impercorribile secondo alcuni.
Noi la percorriamo tutta fino al Passo di Monte Croce Carnico.
Senza scendere giù a valle arriviamo a Casera Pramosio dove il vento portava pioggia, nebbia e sole.
Massimo Peresson, cavaliere friulano, responsabile del centro
“Ciavaj Radijs”, ci guida senza sbagliare un passo, tra
nevi, creste, pietraie, su sentieri di guerra e di pastori, Pal
Piccoli, Pal Grande vengono superati, i giorni passano e noi arriviamo
al passo, una fessura di roccia tra l’Italia e l’Austria.
L’accoglienza in Austria è commovente; là il
ricordo dei cosacchi è vivo, più vivo che in Italia; li
hanno visti annegare a centinaia nella Drava per non finire nelle mani
di Stalin e hanno visto caricare gli altri sui “merci” a
Oberdrauburg; famiglie intere portate nei campi di Koljno.
Il nostro “andare a cavallo”, dopo essere stati ricevuti
dal sindaco di Mauthen, accompagnati prima dai cavalieri di Wurmlach
poi da quelli della scuola di Lienz, ci avvicinava al campo di Peggetz.
Le vicende del viaggio non sempre piacevoli si mischiavano al sentire
la “Loro” presenza; forte per alcuni. Le ombre cosacche
riposano nella fossa comune di Peggetz, ai bordi di una Drava gonfia di
acqua di ghiaccio come in quel giorno - 1 luglio 1945 - dove cavalieri,
soldati, donne, vinti e disperati ma incrollabili nella difesa della
libertà, decisero di annegare.
A Peggetz la storia è diversa da quella raccontata, con i
tedeschi sempre tutti cattivi e gli alleati sempre buoni; una storia
umanamente semplice che ricoda i cavalieri cosacchi e ricorda Helmut
von Pannwitz giovane generale comandante del XV Cavalleria Cosacca che
potendo farne a meno, essendo prigioniero tedesco, seguì i
cosacchi con cui aveva vissuto e diviso pene e speranze in Russia e fu
impiccato con loro il 16 gennaio del ’47.
Piove e sento freddo, qualcosa non funziona; Pit fila via senza una
parola, abbiamo percorso centinaia di chilometri per arrivare qua a
Peggetz, e non riesco ad entrare dentro questo piccolo cimitero russo
in terra d’Austria; forse non mi sento degno, lo guardo da fuori
e guardo la Drava, vedole icone. Poi con i cavalli e Renato salto sul
camion col quale dobbiamo rientrare, non c’è spazio
sufficiente per tutti, e noi due stiamo dietro con sette cavalli e le
selle, avvolti nelle loro coperte, attenti a non farci pestare; davanti
in cabina, due presenze che rincuorano: Silla e Gianpiero.
Torniamo.
Ma i cosacchi non tornarono più: si erano arresi agli inglesi
che li avevano a loro volta consegnati ai sovietici; prima avevano
preso i loro cavalli e li avevano spediti in Inghilterra; non si erano
dementicati neanche di prendere i loro soldi - la Feldbank. I resti
umani di quella che una volta erano le fiere armate dei cavalieri del
Don, del Terk e del Kuban furono caricate sui treni e spedite a Graz.
Per gli inglesi non era poi un cattivo “affare”; dei
cosacchi non sapevano cosa farsene, e poi avevano anche loro
l’acquolina in boca, soprattutto quando pensavano ai compagni
comunisti dell’esercito rivoluzionario greco, che sempre in
rispetto di Yalta, Stalin gli aveva dato in cambio. Infatti la XIII
armata sarebbe sbarcata subito dopo nei Balcani per inghiottirli
golosamente. Faceva freddo su quel camion con sette cavalli, e avevamo
paura di essere pestati; per fortuna avevamo addosso le loro coperte e
per fortuna davanti c’erano Silla e Giampiero.
Michele
Tarafas: atamano dei Cosacchi del Don, staniza di Ust-Choperskij. A lui
l’Alpitrek ha consegnato il documentario “ i
Cosacchi” di Pier Maria Formento che racconta l’odissea dei
Cosacchi in Carnia. Sempre presenti i cavalli i veri protagonisti della
marcia.
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