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SOMMARIO

Anno VI
Speciale Isbuscenskij
Q213,5
Aprile 2016

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ARCHIVIO

 

 

 

 

I reduci

 
Albino

Il 21 ottobre 1960 moriva Albino a Merano dove era acquartierato "Savoia
Cavalleria".
Albino era un cavallo sopravvissuto alla battaglia di Isbuscenskij, il suo
cavaliere, Sergente Maggiore Giuseppe Fantini era caduto caricando. Albino
aveva proseguito la carica da solo.
Il 24 luglio 1983 mentre attraversavamo le Alpi da Ventimiglia a Venezia,
eravamo stati ospitati in "Savoia" che era stanziato a Merano; il Comandante
di allora Col. Rutilio Rutili ci aveva accompagnato in visita al museo del
Reggimento.
Fu lì che vidi Albino, assomigliava all'unico mio cavallo: Gregorio.


Incontro con il Col. Massimo Gotta
Milano, 27 maggio, 1998.
 
Avevo un senso di timore quando incontrai il Col. Gotta. Arrivavo a Milano dalle montagne piemontesi, in treno, misero e umido di pioggia. Il suo studio mi ha accolto, uno studio piccolo reso angusto da libri e fotografie.
Volevo ascoltare; ascoltare cosa era successo, come era avvenuto, come marciavano, cosa mangiavano, assetato di notizie pratiche sui cavalli, sugli uomini.
Mentre parlava venivo avvolto piano piano dallo “Spirito della cavalleria”; difficile descriverlo: è un insieme di fierezza, servizio, coraggio e sacrificio, di una incredibile giovinezza dove c’è ancora un piccolo spazio per l’ingenuità. Il “vecchio cavaliere” trasmetteva la sua forza d’animo. Mi tornava in mente che all’inizio della nostra era la cavalleria era l’esercito del popolo di Dio.
Nella conversazione i cavalli sono stati continuamente presenti, sentivo il suono degli squadroni in marcia, a volte soffice nella morbida steppa, a volte duro quando si attraversavano spettri di città.
Parlava ed io ascoltavo. Illustrava le fotografie; guardavo con un senso di disagio: sull’unica sedia ero seduto io.
Mi son trovato di nuovo sotto la pioggia, in strada verso la stazione, avevo in mano quattro piccoli opuscoli. Il primo era dedicato al colonnello Sandro Bettoni 55.simo Comandante di “Savoia Cavalleria” e suo Comandante ad Isbuscenskij, nel secondo “la mia Carica” il terzo era scritto da Salvatore Gotta padre del Colonnello; era dedicato a “Palù cavallo di squadrone 1924- 1942”.

Poi un libricino di quindici pagine con 951 nomi, nomi di cavalli. Nella prima pagina:
“Ho ritenuto doveroso raccogliere i nomi dei cavalli che nell’arco della Campagna di Russia, dal luglio 1941 al maggio 1943 hanno “prestato servizio” nel Reggimento di Savoia Cavalleria”.
Massimo Gotta.
 
Avevo un senso di rispetto quando lasciai il Col. Gotta.
 
  
Incontro con il Tenente Pietro Crespi
Milano, 16 giugno, 1998
 
Nella steppa marciavo con due libri nella bisaccia, che leggevo e rileggevo confrontandoli tra loro e con quello che i miei occhi vedevano attraverso la calura torrida, senza respiro, della giornata.
Uno era scitto da Lucio Lami l’altro era Dosvidania, il diario del Ten. Pietro Crespi del primo squadrone di “Savoia”.
Dosvidania l’avevo avuto in dono da Col Vittorio Serafini Comandante “Savoia Cavalleria” (3°) quando in Grosseto ci era stata consegnata la drappella da portare ad Isbuscenskij.
Lo scritto Ë testimonianza della marcia di “Savoia”  in terra russa. Tre cose colpiscono maggiormente il sentimento: due ceffoni appioppati da un tenente ad un cavaliere che in zona operazioni si era addormentato nel turno di guardia: chi Ë stato sotto la naja, sa cosa vuol dire aver salva la vita.
Il rientro nel Reggimento al fronte dopo la licenza, Pietro Crespi poteva restare a Milano dove si era appena laureato e dove i saggi ed influenti amici gli consigliavano di restare. Il tenente Crespi doveva e voleva tornare tra i suoi soldati, il suo posto era là, consapevole, sono parole sue, che la guerra era perduta e neppur giusta. Laureato di fresco in filosofia, tornava in treno verso il fronte dove i suoi soldati aspettavano, aspettavano di non essere traditi. L’ultima Ë una frase del dottore che, con il suo permesso, ho fatto mia:<<I cavalli sono la nostra forza morale>>.
 

Incontro con i Caporalmaggiori
Benigno Salvadè e Ermanno Ricci
Como, sabato, 28, aprile1998
 
Si conoscono da sempre, si frequentano ancora, gentili ,cortesi, alla mano, tutti e due cavalieri in Savoia, tutti e due Caporalmaggiori nel 3° Squadrone, tutti e due decorati con la Medaglia d’Argento al Valore.
Raccontano la “carica”, le loro voci si sovrappongono, si entusiasmano loro malgrado, i loro sono racconti di soldati di servizi, disincantati, sofferti, e coperti di ferite.
Il signor Salvadè ancora oggi risente  delle numerose ferite ricevute nella carica. -Ero stato rimpatriato perché ridotto come un colabrodo, racconta oggi alla nipotina mentre noi stiamo ad ascoltare. Anni dopo mentre assisteva ad un concorso ippico il Col. Bettoni che era stato suo comandante a Isbuscenskij, dopo averlo riconosciuto gli aveva consegnato un prezioso filo dello “Stendardo”. Lo Stendardo che era stato tagliato per meglio nasconderlo dopo l’armistizio dell’8 settembre, e che aveva sventolato, coraggioso a Isbuscenskij.