SOMMARIO

Anno XI
Numero speciale
Aprile 2019

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ARCHIVIO

 

 

 

 

LIBRI

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CAPORETTO
di Alessandro Barbero
Editore: Laterza

Lavoro di Ricerca minuzioso tipico di Barbero , già visto in Lepanto,, è un colpo di bisturi nella storia, vengono evidenziati anche i capillari, chi è appassionato di storia trova dati e riferimenti, una delle cose che più mi ha colpito è l’elencazione minuziosa delle quantità di proiettili che dovevano essere disponibili per il funzionamento dell’artiglieria e il loro relativo costo, leggendo questa geniale ricerca si capisce che la guerra è un’impresa finanziaria svolta tra aziende concorrenti dove il successo arride a chi ha più risorse ed è meglio organizzato
 

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AUTUNNO TEDESCO
di Stig Dagerman
Iperborea, 2018 - 159 pagine

Nel 1946 furono molti i cronisti che accorsero in Germania per raccontare quel che restava del Reich  sconfitto, ma dal coro di voci si distinse quella di uno scrittore svedese di ventitré anni, narratore anarchico dotato di sensibilità superiore, inviato dall'Expressen per realizzare una serie di reportage poi raccolti in un libro che è considerato ancora oggi una lezione di anticonformismo. Mentre le testate di tutto il mondo offrono il ritratto preconfezionato di un Paese distrutto, che paga a caro prezzo gli orrori che ha seminato e dal quale si esige un'abiura convinta, Dagerman, libero da ogni pregiudizio ideologico e rifiutando di fatto la propaganda democratica vittoriosa, si muove fra le macerie di Amburgo, Berlino, Colonia, su treni stipati di senzatetto e in cantine allagate dove ora vivono masse di affamati e disperati, cercando di capire nel profondo la sofferenza dei vinti. Ne emerge un quadro  più complesso di quello che è comodo figurarsi. Mentre ci si accanisce a cercare nostalgici nazisti, Dagerman si chiede come può un padre che vede morire il figlio di stenti dichiarare che ora sta meglio di prima; mentre le potenze occupanti pensano a punire e ad allestire processi, Dagerman descrive la «messinscena» di una denazificazione di facciata e la morte spirituale di un Paese che è troppo impegnato a lottare ogni giorno con la morte, Dagerman scava nelle contraddizioni della Germania postbellica offrendoci atto di accusa contro la guerre mondiale e la sua bieca manipolazione, con una riflessione amaramente attuale che solo un Libertario poteva e può cogliere sul potere, la giustizia e lo Stato.

Alcuni l’hanno preso per giornalista, nulla di più falso, lui odiava il giornalismo, sue le parole  “IL GIORNALISMO è L’ARTE DI ARRIVARE TROPPO TARDI IL PIÙ  IN FRETTA POSSIILE. IO NON LA IMPARERÒ MAI”.

Stig Dagerman era un compagno anarchico con una forte sensibilità lirica, talmente forte da non poter sopravvivere al ”sistema” gli istruiti chiamano tragica la sua morte, lui ha preferito suicidarsi nel 1954 piuttosto di vivere così

Non è una lettura per democratici, partigiani, e conformisti ma solo per poeti e uomini liberi

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L'ANARCHIA SELVAGGIA
di Pierre Clastres

Da dove viene il dominio dell'uomo sull'uomo? Come si afferma la coercizione politica? Per rispondere a queste domande cruciali Clastres - smantellando un consolidato pregiudizio etnocentrico - interroga le società "selvagge", che non considera affatto degli insiemi sociali primitivi costretti a evolvere nella direzione della gerarchia e della divisione sociale per accedere alla civiltà. Il tratto peculiare che emerge dalle sue ricerche e riflessioni è che le società "selvagge" resistono coscientemente a qualsiasi accumulazione del potere al proprio interno, proprio per evitare che la disuguaglianza possa insinuarsi nel corpo sociale. E lo fanno ponendo i propri capi tribali sotto il segno di un debito verso la comunità che impedisce al loro desiderio di prestigio di trasformarsi in desiderio di potere. Sono appunto questi capi senza potere che esprimono compiutamente la filosofia politica del pensiero selvaggio, il suo essere non senza ma "contro" lo Stato.
Introduzione di Roberto Marchionatti.

FILM

Sentieri Selvaggi

Capolavoro di John Ford girato nel 1956 prima che la moda buonista condizionasse l’ago della bilancia a favore dell’Uomo Rosso,
il titolo originale del film è “ The Searchers “ letteralmente I Ricercatori, ben tradotto come concetto in Sentieri Selvaggi, ricercatori non poteva essere un titolo immediato per l’ italia, appropriato avrebbe potuto essere Scout termine che implica :esplorazione, ricognizione e anche ricerca ma è un termine che appartiene soprattutto all’Esercito e non si adatta ai coloni degli insediamenti di frontiera, comunque la parola Scout è evidentemente consona alla storia ed è stata appioppata nel film al leader guerriero comanche.
I Comanche sono i protagonisti del film, invisibili, inafferrabili, evanescenti ma sempre presenti, nel cercare la bambina rapita i due protagonisti vagano la frontiera per anni e nel farlo la descrivono rappresentandola abbastanza adeguatamente. Siamo abituati a confini certi, definiti, ma la frontiera indiana e nel Texas in particolare è indefinita, spesso a macchia di leopardo, non vi erano segni ma quando la varcavi l’inquietudine ti prendeva.
Così scorrono coloni, farabutti, messicani, comancheros, soldati,indiani addomesticati e ovviamente gli “ ostili”, su tutto prevale l’odio e la rassegnazione, addolcito dall’abile umorismo di Ford; lui o chi per lui doveva conoscere bene la vita nella comancheria e il terrore suscitato nella tradizione della luna piena, la “ luna comanche” quella prediletta dai razziatori.
Sono passati duecento anni e nell’ovest, quest’odio è assopito ma tangibile, racconta di massacri e violenza, vendette e ritorsioni.
Chi aveva ragione?
Forse nessuno, i Comanche dopo l'acquisizione del cavallo si erano avventati nelle pianure del sud-ovest spazzando via tutto: spagnoli. apache, messicani, tonkawa, e a loro volta erano stati preda degli angloamericani assetati di terra foss’anche desertica.
Hethan rappresenta l’epico colono, che in realtà non era per niente epico ma solo uno che voleva vivere coltivando una terra non solo ostile ma che non gli apparteneva nemmeno e quando il suo potere di forza lo permise stermino i vecchi signori nomadi confinando i superstiti nelle Riserve più o meno come avevano fatto i Comanche qualche secolo prima.
Mauroferraris

Nota
Il magnifico film è ispirato alla storia di Cinzia Anna Parker rapita da bambina da un gruppo di razziatori quasi tutti comanche, non un gruppo guerriero come alcuni affermano.
Nella razzia alcuni bianchi furono uccisi, altri scapparono cinque, due donne e tre bambini furono presi prigionieri, era la primavera del 1836.
Una di questi bambini era Cinzia che poteva avere sui dieci anni.
Questo episodio ha una rilevanza importante nella storia del west in quanto una prigioniera Rachel Parker Plummer venne riscattata dopo tredici mesi di prigionia e descrisse in un resoconto attento al dettaglio tutto l’avvenuto dopo l’assalto.
Rachel Parker Plummer si spense poco dopo aver scritto il resoconto, morì per le sevizie subite nei mesi di prigionia.
Nella violenta vita delle pianure le perdite di vite maschili era grande, le tribù tramite l’adozione di prigionieri cercavano di colmare i vuoti, tutte le tribù ne avevano i comanche in particolare; Cinzia venne adottata e venuta adulta sposo Peta Nocona e con lui ebbe tre figli Quanah il primo divenne leader guerriero delle Antilopi e implacabile nemico dei bianchi fino alla sua resa.
La famiglia Parker per anni cercò Cinzia, alcuni la videro e cercarono di riscattarla ma lei e non i comanche rifiutarono il riscatto
Ma non finì qui
Nel 1860 una compagnia di Rangers scovò sul Pease la banda di Peta Nocoma, nello scontro trovarono Cinzia e la riportarono nel civile. Lo fecero contro la sua volontà lei ormai era Comanche.
Quale era la sua gente?
Per lei erano i Comache, non si adatto alla vita civile, cerco di scappare e tornare da loro; l’odio, l’astio, il rancore dei Texani verso gli indiani e in parte verso lei non potevano lasciarla indifferente, viveva per la sua adorata bambina Fiore Della Prateria e quando morì anche lei si lascio morire.
Ps
Su questa tragedia si avventarono numerose romanziere bianche, merita rispetto lo scritto di un certo Gwynne a cui si perdona l'essere giornalista considerando la sua ricerca storica