Uno
dei pezzi più belli scritti sulla fine della guerra civile Spagnola,la
resa della Repubblica, Venè descrive i fatti, descrive molto bene, la
Repubblica dilaniata da lotte interne più feroci addirittura di
quella contro “los moro”, istanti poco conosciuti e molto poco
conosciuti. Dramma che si trasforma in tragedia, demenziale alleanza
tra democratici, anarchici e stalinisti, contro Franco per giunta
scambiandolo per fascista mentre era un reazionario feudale che
rappresentava e difendeva il medioevo cattolico spagnolo, la fine delle
Brigate Internazionali, composte dalle anime migliori della Rivoluzione
distrutte in un colpo solo a beneficio esclusivo dell’attuale
democrazia. (M.F.)
Caduta
la Catalogna, la repubblica di Spagna entra nell'ultima fase
dell'agonia. Non sarà una morte onorevole, se non per gli ultimi,
sconosciuti, eroi. I politici, in buona o cattiva fede, si scambiano
accuse di incompetenza o di vigliaccheria. Tutti sanno, orma», che il
massacro finale è inevitabile; ma nell'estremo tentativo di contenerlo
non si fa che accelerarne il compimento. E’ questo il momento, tra la
fine gennaio e il marzo del 1939, in cui la guerra civile spagnola sta
per figliare un'altra guerra civile all'interno della stessa repubblica.
« Madrid que bien resiste », come dice la leggendaria canzone
repubblicana, ha smesso da tempo d'essere l'eroica capitale di un sogno
democratico. I mitici rivoluzionari fanno i bagagli negli stessi giorni
in cui le ultime truppe repubblicane organizzate
attraversano la frontiera francese nella notte tra il 9 e il 10
febbraio. Il Presidente della repubblica Azaña è in Francia, a Tolosa,
già il 5 febbraio. Tre giorni dopo lo raggiunge Negrín, capo del
governo, seguito dai ministri.
Dal punto di vista militare, dove i repubblicani non sono ancora stati
sconfitti, massacrati o dispersi, l'estremo appello alla mobilitazione
generale non fa che esasperare le defezioni e il caos. Polizia e
carabineros vengono chiamati a far parte dell'esercito repubblicano
combattente; ma la maggior parte di loro si disperde o cerca di
passare dalla parte franchista. Le frontiere sono intasate di
profughi finché il governo francese, per fare un po' d'ordine nella
biblica fuga degli spagnoli, non decide di lasciar passare solo le
donne e i bambini respingendo verso il massacro tutti gli uomini
validi. Gli storici, sulla base delle innumerevoli testimonianze
giornalistiche di quei giorni, segnalano tuttavia, a testimonianza del
coraggio degli sconfitti, l'ordine composto con cui le truppe
combattenti repubblicane reduci della Catalogna passano la frontiera.
La fuga in Francia dei politici, per quanto comprensibile sotto ogni
aspetto, pare ai resistenti di Madrid e dei pochi territori ancora
liberi la riprova che non c'è più nulla da fare. Si crea tra i vari
gruppi combattenti un'ostilità verso i dirigenti che aggrava ancor
più la situazione. Eppure i politici radunati a Tolosa sono tutt'altro
che decisi a una resa incondizionata.
Negrín rispolvera i suoi « tredici punti » stilati l'anno precedente
in vista di una composizione della guerra civile. Certo, la situazione
è ora estremamente più grave. Negrín riduce quindi i « tredici punti
» a tre soltanto e vaghi: 1) garanzia dell'indipendenza e
dell'integrità del territorio spagnolo; 2) garanzia di libertà nella
scelta politica futura da parte degli spagnoli; 3) nessuna
rappresaglia.
Qualora Franco non accettasse di discutere questi tre punti il governo
ritornerebbe in Spagna per organizzare, pur senza alcuna possibilità
di vittoria, una resistenza fino all'ultimo uomo. Franco rifiuta
qualsiasi negoziato. Il suo rifiuto era d'altronde scontato. Priva
ormai dell'appoggio internazionale (la solidarietà democratica
dell'Europa si esprimeva ormai soltanto e avaramente in promesse di
ospitalità politica), dilaniata dai contrasti interni, militarmente
disfatta, la repubblica di Spagna era ormai per Franco un territorio
devastato dove celebrare senza altri sforzi sforzi il trionfo della
ribellione nazionalista.
Ma
Negrín pretende di essere coerente all'impegno preso nel formulare i
tre punti della resa; e poiché i tre punti sono stati respinti si
accinge alla « resistenza a oltranza ». Ed è qui che il governo rompe
con i combattenti repubblicani. I militari di carriera della
repubblica, come il generale Rojo sconfitto in Catalogna, sanno con
certezza che ogni resistenza è ormai impossibile. « Con che cosa
resistere? » domanda Rojo; « E perché resistere? ». Gli storici Brouè
e Témime scrivono: « Per molti militari infatti la guerra è finita. Le
Temps del 9 febbraio annota la scelta operata dagli ufficiali
dell'entourage militare di Azaria: essi sono decisi a riunirsi alla
Spagna nazionalista. Tra i capi militari che constatano la disfatta e
il governo che ravvisa ancora la possibilità di una resistenza, non può
nascere alcuna intesa ». è assolutamente ingiusto, tuttavia, dire che
militari e governo sono su posizioni opposte. In nessun periodo della
guerra di Spagna come questo le parole tenacia, eroismo, coerenza,
opportunismo sono altrettanto equivoche. La realtà è che tanto gli
esponenti del governo quanto i militari cercano il modo più onorevole
per salvare la vita e la propria credibilità. Ciascuno perciò si
comporta in base alla propria professione: i politici puntano sulla
resistenza a oltranza senza badare al massacro militare, nella speranza
di ottenere da Franco qualche concessione. I militari calcolata la
debolezza oggettiva delle proprie forze tendono a dichiarar chiusa la
sanguinosa partita per ottenere in cambio almeno l'onore delle armi e
per accaparrarsi, in più di un caso, un posto pari-grado nel vittorioso
esercito franchista. Benché nessuno storico dubiti di ciò, è un fatto
che per anni o decenni, dopo la fine della guerra civile spagnola,
reduci politici e militari hanno continuato a polemizzare sui reciproci
atteggiamenti di quelle ultime settimane della repubblica. Formalmente
Negrín appare come un resistente indomito. In realtà egli tenta
soltanto di resistere nella convinzione, non certo errata, che la
Seconda Guerra Mondiale sia ormai imminente. Con Alvarez del Vayo,
Negrín crede che la guerra mondiale antifascista porterà alla Spagna
repubblicana l’appoggio concreto delle democrazie e che il fronte
spagnolo diventerà internazionale. Come qualcuno ha fatto notare,
Negrín non tiene conto, tuttavia, che il Paese un tempo più
interessato alla sopravvivenza e alla vittoria della Spagna
repubblicana, l'Urss, si è andata sempre più avvicinando alla
Germania hitleriana per motivi di politica estera.
Di conseguenza l’Urss. indipendentemente dai desideri dei comunisti
spagnoli decisi alla resistenza a oltranza con Negrín, è ben lontana
ora dal garantire aiuti alla repubblica. A Tolosa, nei tumultuosi
consigli del governo Negrín predica il ritorno immediato dei ministri
di Spagna. I comunisti sono tutti solidali con lui e con Del Vayo. E’
il presidente Azaña che si oppone: per lui la guerra è finita. La sua
destinazione è Parigi.
Azaña si dimette: gli succede, di diritto, Martinez Barrio: ma compie
un solo gesto politico: quello di rifiutare di tornare in Spagna. Fa
nulla: Negrín dichiara, sostenuto dai comunisti, che il governo
riprenderà il proprio posto, in territorio spagnolo, anche senza
presidente della Repubblica.
E una mattina di fine febbraio Negrín e i ministri atterrano
all'aeroporto di Los Llanos. Convocano i capi militari e si sentono
dire - o meglio ripetere - che qualsiasi speranza di resistere è
follìa. Solo il vecchio generale Miaja pronuncia qualche parola più
ottimista. Ma la realtà, vista in prospettiva, è ancora più grave di
quanto i militari non dicano. La sconfitta, il contrasto di opinioni
tra militari e governo legale, la generale demoralizzazione,
esasperano la frattura tra i vari gruppi politici repubblicani. Al
disaccordo tra politici e militari si aggiunge ora quello tra
socialisti, anarchici e comunisti. L'alleanza tra partito comunista e
governo, l’uno e l'altro decisi alla resistenza, provoca, per
contrasto, un fronte compatto tra militari, socialisti e anarchici.
L'atteggiamento « ragionevole » dei militari viene ora condiviso da
tutti coloro che mai hanno tollerato la leadership del partito
comunista durante la rivoluzione e la guerra civile. Negrín sì rende
conto di questa situazione nuova e grave quanto quella militare. Gli
oppositori anticomunisti fanno gruppo attorno a un colonnello dal
passato irreprensibile: Segismundo Casado.
È ben difficile accusare
quest'uomo di tradimento; è impossibile sospettare in lui un
filo-franchista dell'ultima ora. Militare di carriera è politicizzato
a sinistra: le sue simpatie dichiarate vanno ai socialisti e agli
anarchici. Nei comunisti egli vede, invece, un partito troppo compatto
e autoritario: quasi un concorrente dell’esercito.
Il colonnello Casado è inoltre convinto che una pace onorevole con
Franco potrà essere ottenuta solo da tecnici di guerra, ossia da
militari. Di sicuro, egli pensa, Franco rifiuterà qualsiasi trattativa
finché nel governo ci saranno i comunisti.
Dato il clima di sfacelo della repubblica e l’impopolarità della parola
d’ordine di Negrín circa la resistenza fino all’ultimo uomo, la
proposta di Casado è bene accetta da tutte le forze politiche,
naturalmente ad eccezione dei comunisti. Casado propone a Negrín
l'immediata costituzione di un governo senza comunisti: del governo
dovranno inoltre far parte persone gradite alle democrazie occidentali
e in particolare all'Inghilterra.
Il
Colonnello Sigismundo Casado (al centro con gli occhiali) durante una
riunione al suo quartier generale. Capo dell'esercito repubblicano del
Centro e animatore della opposizione dei militari contro Negrín, Casado formò con un vero e proprio "golpe" un governo senza comunisti
La proposta è puramente formale: Casado sa bene che Negrín non può né
vuole accettarla. Per ciò Casado agisce per proprio conto ponendo le
basi di un autentico golpe politico-militare anticomunista. Prende
accordi precisi con gli anarchici della FAI e con i socialisti: i
sindacati esitano, ma alla fine di febbraio i rappresentanti
anarchici prevalgono sui sindacalisti leali a Negrín. A tutt'oggi non
è ancora chiaro quale consistenza avessero i rapporti segreti
intessuti da Casado con rappresentanti politici inglesi: non c'è
dubbio, tuttavia, che diplomatici inglesi furono suoi consiglieri nel
colpo di Stato.
Alla fine di febbraio Negrín, pur non avendo ancora fatto concessione
alcuna a Casado, sembra ancora avere il controllo. Gli anarchici, pur
avendolo denunciato come esponente di un partito, il comunista,
troppo ligio all'ordine e alla gerarchia, si rivolgono ancora a lui
per ottenere incarichi di responsabilità nelle operazioni di sgombero
prima della resa. Temono infatti che i comunisti tendano a mettere in
salvo solo gli alti funzionari del loro partito. Anche gli anarchici,
come Casado e i socialisti, invocano da Negrín un rimpasto governativo
che tolga ogni potere ai comunisti
Negrín risponde il 2 marzo con una mossa difficilmente comprensibile
se si dà il giusto valore all'entità delle pressioni esercitate dai
militari, dagli anarchici e dai socialisti contro i comunisti.
Rimpasta il governo, ma lo fa ad esclusivo vantaggio dei comunisti.
Qualcuno, trascurando il fatto che il colpo di stato di Casado è già in
atto, accusa Negrín d'essere a propria volta un golpista. Con una
acrobazia politica abbastanza banale in genere ma straordinaria
rispetto alla situazione, Negrín tenta di eliminare Casado
giubilandolo: gli toglie il comando effettivo dell'esercito del Centro
per assegnarlo a un comunista, ma lo promuove generale. I porti
principali, e quindi il comando della marina, vengono assegnati a
militari di sicura fede comunista.
La reazione alla mossa di Negrín è brusca e brutale. Nessun periodo
della guerra civile di Spagna ha visto una tale insorgenza di
anticomunismo da parte degli altri gruppi di sinistra. Al PC, e quindi
al governo Negrín, vengono attribuite tutte le principali
responsabilità della sconfitta. Soffiano sul fuoco gli agitatori
franchisti che operano in territorio repubblicano. I comunisti, da
parte loro, non paiono rendersi conto delle reali forze dei ribelli.
Alcuni tra i più autorevoli si dichiarano sicuri di poter eliminare in
poche ore qualsiasi tentativo di golpe. In effetti, la prima rivolta
armata, quella di Cartagena, viene subito soffocata. A Cartagena è
concentrata la flotta repubblicana: in questa ultima fase della guerra
il porto di Cartagena ha un'importanza determinante non solo per la
continuazione delle operazioni militari ma anche nella prospettiva di
una fuga. Per questo Negrín ha dato il comando dei porto al comunista
Paco Calan. (L’ammiraglio Buiza, predecessore di Galan, aveva
minacciato di allontanare la flotta se Negrín non si fosse risolto a
trattare la pace con Franco). La sostituzione di Buiza con il
comunista Galan provoca la prima, sanguinosa, esplosione ribelle
anticomunista: la guarnigione si ammutina agli ordini di un comandante
d'artiglieria, Almentia. La quinta colonna franchista si unisce ai
ribelli fingendo di combattere per la loro stessa causa: in realtà si
impadronisce della stazione radio e comincia a trasmettere notizie,
ordini e contrordini falsi. Proprio nel timore di qualche colpo di
mano da parte dei franchisti la flotta lascia il porto: non tornerà
più a Cartagena.
Invece la rivolta della città abortisce nel volgere di poche ore. I
comunisti intimano la resa ai rivoltosi e la ottengono. Il colonnello
Almentia, ben sapendo di non potersi sottrarre alla fucilazione, si
spara alla testa. Ma la fallita rivolta di Cartagena anziché
scoraggiare i seguaci di Casado li esaspera: nel contempo, poiché la
flotta anziché ritornare in porto approda a Biserta e lì si ferma, dà
ai comunisti e al governo la misura dei danni irreparabili che l'urto
tra casadisti e governo può provocare. Ecco perché, da questo momento
in poi, comunisti e governo si comporteranno con estrema prudenza nei
confronti dei ribelli, mirando più a lasciar esaurire la fiammata del «
tradimento » che a soffocarla.
È la notte tra il 5 e il 6 marzo quando, a meno di quarantotto ore
dalla crisi di Cartagena, i partigiani di Casado, a Madrid, si
riuniscono nei sotterranei del Ministero delle Finanze. Il colpo di
stato vero e proprio è imminente. Casado ha già costituito un «
comitato di difesa » nel quale egli stesso rappresenta i militari.
Del comitato, cui hanno aderito tutti i partiti meno i comunisti, fa
parte anche il leggendario generale Miaja. Prima dell'alba la
settantesima brigata, comandata da un anarchico, occupa i punti
strategici della capitale. Casado stila un appello che viene
immediatamente trasmesso non solo a Madrid. Il proclama-appello invita
gli spagnoli a riconoscere come unico legittimo governo della
repubblica spagnola quello formato dalla maggior parte dell'esercito:
cioè il proprio.
Programma di governo di quella che d'ora innanzi verrà chiamata « Junta
Casado » è, fondamentalmente, « una pace onorata ». Negrín viene
accusato nel programma della Junta di « cercar di guadagnare tempo in
attesa di una catastrofe di proporzioni universali ». Casado tuttavia
non assume la presidenza della Junta: preferisce affidarla al
prestigio del generale Miaja.
Negrín mostra di non preoccuparsi molto. Benché le forze controllate
dal governo, cioè dai comunisti, siano tutt'altro che esigue, Negrín
non risponde militarmente. Si limita a rivolgere un appello alla
Junta invocandola di risparmiare alla Spagna una nuova guerra civile e di accettare un colloquio con gli esponenti del
governo legittimo. Ma Casado, avendo saputo che nel frattempo Negrín
ha fatto arrestare il generale Matallana, casadista, dà al presidente
tre ore di tempo per farlo liberare: altrimenti tutti i membri del
governo Negrín presenti a Madrid verranno passati per le armi.
All'interno della capitale Negrín sa di poter disporre di forze
comuniste abbastanza vigorose. Sa che tali forze hanno già cominciato
ad armarsi contro i ribelli. Ma invece di mettersi a capo di queste
forze, Negrín, Del Vayo ed altri tra i principali capi comunisti
partono in aereo per la Francia. Di questa « fuga » gli storici
futuri forniranno varie interpretazioni. Scartiamo a priori quella
delia vigliaccheria. E assai probabile che si sia trattato di una
decisione volta ad evitare ulteriore spargimento di sangue. E un fatto
che, di fronte al « pronunciamiento » di tanta parte dell'esercito e
alla decisione di tutti i partiti non comunisti di accettare il
programma della Junta Casado, il governo legittimo non avrebbe avuto
più alcuna possibilità di continuare la guerra né di intavolare
trattative di qualsiasi genere con Franco.
Tra i comunisti che in questi giorni abbandonano la Spagna c'è Dolores
Ibarruri. E’ Stalin a chiedere che la Pasionaria trovi rifugio in
Unione Sovietica prima ancora che la rivoluzione sia stata sconfitta.
Con la partenza della Ibarruri e del generale Lister l'esilio dei
rivoluzionari spagnoli ha ufficialmente la propria data d'inizio.
Il ritiro del governo, la fuga dei capi comunisti, non ottengono però
lo scopo di risparmiare eccidi. Benché, come tutti gli storici
riconoscono, il partito comunista ancora presente a Madrid nei suoi
quadri assuma da questo momento un atteggiamento di estrema
moderazione nei confronti della Junta Casado (si tratta di una tattica
politica che non esclude, ovviamente, azioni militari), la settimana
successiva all'insediamento della junta dà luogo a un massacro. Non
meno di duemila persone che per anni hanno combattuto fianco a fianco contro Franco ora si sterminano a vicenda. A Madrid i
comunisti riescono, per poche ore, a conquistare il quartier generale
della Junta: quasi tutti gli ufficiali casadisti vengono fucilati. Lo
stesso accadrà agli ufficiali comunisti dopo che i casadisti avranno
riconquistato il quartier generale.
Sia i comunisti che i casadisti non possono non rendersi conto che
quest'ultimo, inutile sterminio avvantaggia solo le truppe di Franco
le quali d'ora in avanti non avranno neppure più occasione di
combattere sul serio. Migliaia di militari repubblicani lasciano il
fronte antifranchista per combattere contro i comunisti o contro i
casadisti. Nel fuoco,della polemica e dei combattimenti il PC e la
Junta si rimproverano vicendevolmente l'ultimo tradimento nei
confronti della repubblica e della democrazia. Ed è proprio per ciò
che il PC a un certo punto propone a Casado qualcosa di più di una
tregua: chiede semplicemente a Casado di non compiere rappresaglie
anticomuniste, di prendere in considerazione l'ingresso di un comunista nella Junta e di continuare ad amministrare
il potere. In proprio il PC continuerà ancora per qualche settimana,
fino alla fine di marzo, a organizzare l'esodo dalla Spagna dei propri
quadri.
Ma quale mai potere può ormai conservare la junta? Se la repubblica era
in agonia, ora è decerebrata. I franchisti hanno sfruttato fino in
fondo la follia di quest'ultima fase della guerra civile. Sanno che il
loro nemico, dilaniato dalle fazioni, non è più in grado neppure di
fingere una resistenza. Solo Casado sembra non rendersi conto di ciò e,
smessa la lotta anticomunista (per decisione unilaterale del PC), tenta
Ingenuamente di concretare il proprio programma. Propone a Franco una
« pace onorevole » basata su otto punti. Tra questi otto punti ci sono
le richieste di « un periodo di grazia di 25 giorni per chiunque vuol
lasciare liberamente la Spagna », « rispetto di tutti i combattenti i
cui motivi di lotta sono stati sinceri e onorevoli », « rispetto della
vita, della libertà e della carriera per i militari di professione », «
idem per i funzionari ».
Franco non accetta nemmeno di discutere. Esige la capitolazione. Per
umiliare la Junta, da lui comunque ritenuta espressione della
repubblica, Franco incarica un subalterno di Casado di intimare la resa
della repubblica allo stesso Casado. Per ulteriori trattative (ma il
termine trattative è inesatto) Franco rifiuta di parlare a militari
d'alto grado come Casado o Matal- lana: vuole che i suoi emissari
abbiano a che fare con ufficiali di grado secondario. Pur avendo
ottenuto tutto ciò Franco respinge gli emissari di Casado con questo
semplice e brutale ordine: « Il 25 marzo deve arrendersi l'aviazione,
li 27 marzo tutto il resto dell'esercito ».
Arriva anche il momento degli anarchici. Adesso sono loro, ma per
poche ore, a chiedere la resistenza fino all'ultimo uomo. Adesso sono
loro a doversi opporre a quanto rimane di un esercito che vuole
arrendersi ad ogni costo. Ci riescono per 48 ore. L'aviazione si
arrende il 27 marzo. E il resto dell'esercito? Casado chiede ancora a
Franco di trattare, di stabilire una qualche modalità che salvi almeno
una parvenza di dignità. La risposta di Franco è, in sintesi, questa:
« Noi attaccheremo comunque Madrid. Se volete salvare vite umane
ordinate ai vostri uomini di alzare bandiera bianca ai primi segni
dell'attacco ». Ora tocca alla Junta, come giorni prima al PC,
organizzare l'evacuazione dei profughi. Le ultime ore della
repubblica di Spagna trascorrono penosamente così: nel vano tentativo
di recuperare i contratti di trasporto via mare che alcuni stati
europei avevano concordato con il governo Negrín. Ma il governo Negrín
benché sconfitto era un governo legittimo; la Junta è sotto tutti gli
aspetti l'ultimo sussulto di uno stato che di fatto non esiste più.
Nessun contratto viene quindi onorato. Anche se pochi storici lo
sottolineano, l'atteggiamento delle democrazie occidentali in questi
ultimi giorni del marzo 1939 moralmente annulla il contributo che esse
diedero al lungo tentativo di libertà della Spagna repubblicana e
prelude - è altrettanto certo - a quel comportamento « neutro »
mantenuto nei decenni futuri nei confronti della dittatura di Franco.
La notte del 27 marzo la Junta lascia Madrid al suo destino e parte in
volo per Valenza. Da Valenza tutti i membri si disperderanno in varie
zone d'Europa. Una nave da guerra inglese si porta via Casado.
A Madrid la quinta colonna franchista organizza una dimostrazione di
festa. I giovani dei quartieri alti sfilano con fiaccole e con la
camicia azzurra. I franchisti entrano in città inquadrati. Moriranno
altre migliaia di repubblicani e di libertari nei giorni e negli anni
successivi, ma nessuno, in Spagna, mostrerà di accorgersene. La più
sanguinosa guerra civile della storia contemporanea finisce così: con
una parata applaudita da pochi traditori e da un popolo sfinito.
I « paesi ospiti », le democrazie occidentali, preparano i campi di
raccolta per i profughi. Come sempre accade quando un popolo è
sconfitto, i « campi di raccolta profughi » sono circondati da filo
spinato.
un gruppo di prigionieri baschi condotti alla fucilazione
una folla di esuli spagnoli attraversa la frontiera francese sui
Pirenei. In un primo tempo la Francia consentì il transito solo ai
civili e ai feriti. Poi, il 5 febbraio 1939, il governo decise di
accogliere anche i militari. In cinque giorni varcarono i confini
250.000 combattenti
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