COPERTURA E PALI
Fino all’arrivo dell’uomo bianco,
le coperture dei tipì erano in pelle di bisonte.
Cacciare il
bisonte era l'attività principale, le tribù si
spostavano seguendo le mandrie, partivano per le
spedizioni di caccia dalle quali gli uomini tornavano
indicando alle donne i luoghi in cui i bisonti erano
stati abbattuti: queste si dirigevano sul posto per
scuoiarli, caricando poi carne e pelli sulle tregge
per portarli al campo.
Per un tipì di medie dimensioni
servivano una quindicina di pelli. Queste venivano
conciate (pare con un intruglio fatto di cervello e
zoccoli di bisonte bolliti) e cucite assieme con aghi
d’osso e tendini, sempre di bisonte. Quando la
copertura diventava eccessivamente logora, essa veniva
riutilizzata in vari modi: ad esempio, la sommità
impermeabilizzata e resa morbida dal fumo del fuoco
andava bene
per le tomaie dei mocassini e per i gambali. Nulla di
ciò che era ottenuto con tanta fatica e rispetto
rimaneva inutilizzato.
Con l’arrivo dell’uomo bianco, i
popoli nomadi delle pianure iniziarono a barattare le
pelli precedentemente usate per le coperture con teli
in cotone grezzo: decisamente più leggeri e meno
ingombranti, erano più facili da trasportare anche se
d'inverno erano più freddi. Gli accampamenti
diventarono pertanto distese di tipì dal colore
chiaro, e talvolta dipinti. A volte, nelle giornate
torride, le donne arrotolavano ora facilmente la parte
della tenda in ombra per arieggiare il suo interno.
Per ripararsi dal freddo invernale, invece, veniva
teso un ulteriore telo all’interno, alto circa un
metro, che permetteva di riempire l’intercapedine
così ottenuta con foglie secche che aumentavano
l’isolamento.
I nuovi tipì erano stati felicemente
adottati anche per la velocità con la quale potevano
essere montati e smontati, e per un popolo nomade, a
volte costretto a fuggire da un nemico in arrivo,
questa caratteristica era fondamentale.
Il telo di cotone aveva una forma
ricavata da un mezzo cerchio, dal raggio variabile. In
esso c’era un’apertura a semicerchio lungo ogni
lato diritto, cosicché una volta unite le due parti
l’apertura dell’entrata aveva anch’essa una
forma circolare. Sopra a tale apertura vi erano una
serie di fori nei quali venivano fatti passare degli
spilloni di legno che permettevano alle due parti di
richiudersi, formando così una ingegnosa cerniera,
veloce da chiudere e da aprire.
La porta era fissata al telo mediante
uno di questi spilloni ed era solitamente di forma
rettangolare. Quando il proprietario del tipì non era
al suo interno, o quando semplicemente non voleva che
qualcuno entrasse, metteva due pezzi di legno
incrociati appoggiati alla porta e ciò bastava a far
sì che nessuno entrasse (anche se sarà sicuramente
capitato che qualche giovane monello infrangesse tale regola…)
A differenza delle tende utilizzate da
altri popoli nomadi, i tipì avevano un importante
accorgimento, e cioè i flap,
due ‘orecchie’ ai lati dell’apertura dalla
quale usciva il fumo. Questi erano dotati di occhielli
nei quali erano infilati i pali che venivano
facilmente spostati a seconda della direzione del
vento, permettendo sempre un ottimo tiraggio. Nei rari
casi di pioggia, ricordiamo che il clima delle pianure
è considerato semiarido, i flap venivano richiusi ed
evitavano alla pioggia di entrare (ne scorreva solo un
po’ lungo i pali), senza tuttavia dover spegnere il
fuoco. I flap venivano poi tesi mediante tue
cordicelle e ancorati ad un palo piantato a qualche
metro dalla porta.
I pali necessari erano 17.
Per trovarli veniva organizzata una
vera e propria spedizione di approvvigionamento nelle
Black Hills, solitamente in autunno, anche perché
spesso quelle colline così ricche di selvaggina erano
un’ottima zona per trascorrere l’inverno. I pali
migliori erano quelli di larice, che venivano cercati
nei boschi più fitti, laddove il sole arrivava solo
in alto e così essi, nel cercarlo, crescevano lunghi
e dritti. I pali servivano per i tipì, per le tregge,
per gli essicatoi, ovviamente mai per costruire
recinzioni, visto che i cavalli vivevano liberi. Al
ritorno da tali spedizioni i pali abbondavano, e a
volte se ne vedevano dei mucchi di riserva a fianco
dei tipì. Al contrario, nel corso dell’anno essi
potevano spezzarsi e quindi non era raro trovare tipì
che ne avessero anche meno, o che fossero tenuti in
piedi da pali storti, meno funzionali, trovati qua e là.
Per avere una casa funzionale, resistente ai forti
venti delle pianure, pratica da montare e smontare e
poco ingombrante quando smontata, gli indiani avevano
bisogno essenzialmente di pochi pali e di un telo. E
forse questo è uno dei motivi per cui qualcuno li
definisce un popolo ricco.
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