LA COPERTURA E I PALI

di Arianna Corradi

COPERTURA E PALI

Fino all’arrivo dell’uomo bianco, le coperture dei tipì erano in pelle di bisonte.

Cacciare il bisonte era l'attività principale, le tribù si spostavano seguendo le mandrie, partivano per le spedizioni di caccia dalle quali gli uomini tornavano indicando alle donne i luoghi in cui i bisonti erano stati abbattuti: queste si dirigevano sul posto per scuoiarli, caricando poi carne e pelli sulle tregge per portarli al campo.

Per un tipì di medie dimensioni servivano una quindicina di pelli. Queste venivano conciate (pare con un intruglio fatto di cervello e zoccoli di bisonte bolliti) e cucite assieme con aghi d’osso e tendini, sempre di bisonte. Quando la copertura diventava eccessivamente logora, essa veniva riutilizzata in vari modi: ad esempio, la sommità impermeabilizzata e resa morbida dal fumo del fuoco andava  bene per le tomaie dei mocassini e per i gambali. Nulla di ciò che era ottenuto con tanta fatica e rispetto rimaneva inutilizzato.

Con l’arrivo dell’uomo bianco, i popoli nomadi delle pianure iniziarono a barattare le pelli precedentemente usate per le coperture con teli in cotone grezzo: decisamente più leggeri e meno ingombranti, erano più facili da trasportare anche se d'inverno erano più freddi. Gli accampamenti diventarono pertanto distese di tipì dal colore chiaro, e talvolta dipinti. A volte, nelle giornate torride, le donne arrotolavano ora facilmente la parte della tenda in ombra per arieggiare il suo interno. Per ripararsi dal freddo invernale, invece, veniva teso un ulteriore telo all’interno, alto circa un metro, che permetteva di riempire l’intercapedine così ottenuta con foglie secche che aumentavano l’isolamento.

I nuovi tipì erano stati felicemente adottati anche per la velocità con la quale potevano essere montati e smontati, e per un popolo nomade, a volte costretto a fuggire da un nemico in arrivo, questa caratteristica era fondamentale.

Il telo di cotone aveva una forma ricavata da un mezzo cerchio, dal raggio variabile. In esso c’era un’apertura a semicerchio lungo ogni lato diritto, cosicché una volta unite le due parti l’apertura dell’entrata aveva anch’essa una forma circolare. Sopra a tale apertura vi erano una serie di fori nei quali venivano fatti passare degli spilloni di legno che permettevano alle due parti di richiudersi, formando così una ingegnosa cerniera, veloce da chiudere e da aprire.

La porta era fissata al telo mediante uno di questi spilloni ed era solitamente di forma rettangolare. Quando il proprietario del tipì non era al suo interno, o quando semplicemente non voleva che qualcuno entrasse, metteva due pezzi di legno incrociati appoggiati alla porta e ciò bastava a far sì che nessuno entrasse (anche se sarà sicuramente capitato che qualche giovane monello infrangesse tale  regola…)

A differenza delle tende utilizzate da altri popoli nomadi, i tipì avevano un importante accorgimento, e cioè i flap, due ‘orecchie’ ai lati dell’apertura dalla quale usciva il fumo. Questi erano dotati di occhielli nei quali erano infilati i pali che venivano facilmente spostati a seconda della direzione del vento, permettendo sempre un ottimo tiraggio. Nei rari casi di pioggia, ricordiamo che il clima delle pianure è considerato semiarido, i flap venivano richiusi ed evitavano alla pioggia di entrare (ne scorreva solo un po’ lungo i pali), senza tuttavia dover spegnere il fuoco. I flap venivano poi tesi mediante tue cordicelle e ancorati ad un palo piantato a qualche metro dalla porta.

I pali necessari erano 17.

Per trovarli veniva organizzata una vera e propria spedizione di approvvigionamento nelle Black Hills, solitamente in autunno, anche perché spesso quelle colline così ricche di selvaggina erano un’ottima zona per trascorrere l’inverno. I pali migliori erano quelli di larice, che venivano cercati nei boschi più fitti, laddove il sole arrivava solo in alto e così essi, nel cercarlo, crescevano lunghi e dritti. I pali servivano per i tipì, per le tregge, per gli essicatoi, ovviamente mai per costruire recinzioni, visto che i cavalli vivevano liberi. Al ritorno da tali spedizioni i pali abbondavano, e a volte se ne vedevano dei mucchi di riserva a fianco dei tipì. Al contrario, nel corso dell’anno essi potevano spezzarsi e quindi non era raro trovare tipì che ne avessero anche meno, o che fossero tenuti in piedi da pali storti, meno funzionali, trovati qua e là.

Per avere una casa funzionale, resistente ai forti venti delle pianure, pratica da montare e smontare e poco ingombrante quando smontata, gli indiani avevano bisogno essenzialmente di pochi pali e di un telo. E forse questo è uno dei motivi per cui qualcuno li definisce un popolo ricco.