EDITORIALE

La competizione travolge l'essenza della passione, 
spesso stravolge anche sentimenti e rapporti umani,
dicono che sia stimolante, che aiuti l'umanità a progredire, 
può darsi abbiano ragione
ma il mondo primitivo è, o meglio era, bellissimo per alcuni.
L'andare a cavallo per noi è passione
semplice, quasi pura.
Può essere divertente, ma non selliamo per divertirci,
possiamo passare del tempo, 
ma non selliamo perché non sappiamo cosa fare,
ecco perché il trekking a cavallo non è una disciplina agonistica.

Animale valutante per eccellenza, l’uomo ha ridotto l’agonismo in uno sport, ha determinato delle regole, organizzato una misurazione sulla quale ha imposto la competizione ai fini di ottenere un successo con gli stessi schemi della produzione del mercato e dell’industria al fine di proporsi, di apparire per essere consumato, al prezzo dell’eccesso e dello spreco.
Ma nell’etimo di agonismo “agwnia” indica lotta, esercizio ma anche agitazione e angoscia e nella nostra lingua indica l’estrema lotta con la morte.
Noi cavalieri dell’Alpitrek abbiamo in effetti il sentimento dell’angoscia, della lotta e anche un po’ di agitazione e sono proprio questi “sentimenti” che ci spingono a cavallo sulle montagne, con i cavalli, animali lontani dalla valutazione del profitto che condividono con noi il sentiero dell’agonismo ma non quello della competizione o della supremazia dello sport.
Più vicini all’animale cavallo che all’animale uomo della citazione nietzschiana, i cavalieri dell’Alpitrek rimangono estremamente estranei ai fenomeni della competizione e della vittoria, al prezzo del risparmio, dell’attenzione, dell’economia, e dell’essenzialità intese come rispetto.
Prezzo felice perché garantisce anche la lontananza dall’uomo dello spreco organizzatore di gare.

M.F.