Nel 1519 sedici cavalli sbarcarono su una spiaggia
arroventata e malsana del Messico, in quel posto
esatto sorge ora la città di Veracruz.
Cavalli procurati con gran difficoltà perché erano
rari e costosissimi sulle isole, ma necessari alla
spedizione perché incutevano terrore agli indios, per
la cronica la spedizione era composta da centodieci
marinai e cinquecentocinquantatre soldati.
Quei cavalli furono i primi a giungere nel continente
americano, erano con Cortes e gli permisero di
conquistare l'impero Azteco. Autorevoli fonti
sostengono che senza cavalli l’impresa non gli
sarebbe stata possibile.
Come mette piede in America il cavallo diventa
determinante nella storia del continente, aiuta i
bianchi a conquistarlo e aiuta gli indiani a
difendersi dai bianchi.
Sappiamo che gli indiani delle pianure erano, e sono,
abili cavalieri, ma non tutti sanno come il “cane
misterioso” arrivò fino a loro.
Fu una strada lunga e complessa e queste righe ne
seguono il tracciato.
La storia comincia a sud, su quella spiaggia messicana
- dove sbarcarono
gli uomini di Cortès.
Tra i cavalli spagnoli, a quei tempi, predominava l'andaluso,
nelle cui
vene scorreva abbondante
sangue arabo-berbero. Nel Messico possedere, e
quindi cavalcare, era privilegio esclusivo degli
Spagnoli, che ben sapevano che se gli indigeni
avessero acquisito la cultura equestre, sarebbe stato
più difficile controllarli e dominarli.
Quando gli Spagnoli si furono ben radicati nel nuovo
mondo, circa trent'anni dopo la conquista, una legge
permise agli encomanderos di lasciare usare i cavalli,
che nel frattempo erano diventati numerosi sia per le
nascite in loco che per le continue importazioni dalla
Spagna, agli indios per poter contare sul loro aiuto
nel duro lavoro dell’allevamento del bestiame.
Restava però vietato agli indios l'uso della sella.
Sembra più per ragioni di sicurezza che di razzismo.
Per motivi climatici l'allevamento veniva praticato a
nord della zona equatoriale, laddove sorgono gli
odierni stati di Sonora e di Chihuahua ai confini con
il Texas.
Gli indigeni impararono presto e bene l'arte del
cavalcare e diventarono buoni vaqueros, indispensabili
ai loro padroni; questi ultimi, contrariamente al
comune pensare, trattavano gli indigeni con una certa
umanità, sicuramente meglio dei loro colleghi
colonialisti anglosassoni.
La mancanza della sella determinò il modo del
cavalcare indiano, esso fu, fin dall’inizio, più
dolce e meno brutale della maniera europea. Pochi
furono i feroci morsi di ferro, le gambe e non le mani
ebbero la funzione di trasmettere al cavallo il
desiderio del suo cavaliere.
Curioso è notare a questo proposito che la maniera
indiana di domare e addestrare i cavalli si indica in
inglese con il verbo “to
gentle”
(ingentilire) mentre la doma dei bianchi spicciola e
brutale, veniva definita “to break”
(spezzare).
Verso nord
Dalla metà del ‘500 il cavallo si diffuse nelle
pianure, dapprima lentamente poi sempre più
rapidamente. Da fonti diverse, le date, anno più anno
meno, coincidono: si ha notizia di abili cavalieri
nello stato di Sonora fin dal 1567. Intorno al 1650
gli Spagnoli occuparono l'odierno Texas. Fu in questo
periodo che alcuni schiavi indiani, non sopportando più
il peso della civiltà, rubarono cavalli e tornarono
alla vita selvaggia; inoltre nel 1680 scoppiò la
rivolta dei Pueblo che si pensa sia all'origine del
formarsi, a causa di alcuni cavalli scappati e
inselvatichiti, della prima mandria di mustang nelle
praterie (mestenos in spagnolo significa selvaggio,
inglesizzato in mustang). La mandria si sviluppò
rapidamente, le pianure erano ricche di leguminose e
graminacee, ma contrariamente a quello che si pensa,
gli indiani catturarono broncos solo in un secondo
tempo.
Da questo momento in poi, fu essenzialmente il
commercio che contribuì alla diffusione verso nord
del cavallo.
Stiamo parlando del cavallo indiano, quello che si
espandeva nelle pianure steppiche che andavano dal
vecchio Messico al Canada e avevano come confine a
ovest le montagne Rocciose e a est il Missouri e il
Mississipi.
Questo commercio veniva effettuato illegalmente da
meticci, visto che gli scambi con i nativi, che erano
sempre considerati potenziali nemici, erano soggetti a
particolari vincoli.
I commercianti illegali, spesso banditi, venivano
chiamati “comancheros” per il fatto che i loro
migliori clienti erano i Comanches. Questi mercanti
andavano alla frontiera indiana che correva nel Texas,
non solo per vendere di contrabbando cavalli e
finimenti, ma anche per insegnare a cavalcare a quelli
che non lo sapevano fare.
I Comanches sono una nazione di lingua uto-azteca e si
pensa siano gli unici indiani migrati verso sud, nel
paese dell'eterna estate, unicamente per il desiderio
di possedere cavalli. Divennero in breve tempo
formidabili cavalieri, scacciarono sulle montagne gli
Apaches, terrorizzarono con le loro incursioni la
frontiera del vecchio Messico, determinando il flusso
di cavalli verso nord a seconda dello stato di guerra.
Ecco alcune date della diffusione di ponies tra le tribù
delle grandi pianure: Comanche 1680, Kiowa 1700, Cree
e AriKara 1738, Corvi Assiniboine 1740.
Fonti autorevoli sostengono
che i Western Sioux conoscevano il cavallo fin dal
1750 o anche prima, ma che diventarono un popolo
equestre solo quando varcarono il Missouri e questo
avvenne intorno al 1800, quando il vaiolo risalì il
fiume eliminando la potenza militare dei Mandan, che
erano concentrati in villaggi fortificati sulle rive
del fiume Fangoso. I Sioux che vagavano nomadi, e
quindi sparpagliati a est, non risentirono
dell'epidemia; fu solo allora che le bande più
intraprendenti passarono il grande Missouri e il
passaggio fu reso possibile dal cavallo che nel
frattempo era arrivato anche a loro; essi divennero i
famosi Lakota, come si chiamano fra loro, quei
formidabili guerrieri a cavallo che tutti conosciamo.
Il commercio del cavallo si sviluppò verso nord
seguendo la strada inversa del commercio delle
armi da fuoco. Le armi da fuoco, infatti,
venivano dall'est ed erano vendute agli indiani
principalmente da mercanti di lingua francese e
inglese che provenivano dal lontano paese dei laghi e
delle foreste. Forte Michilimackinac, nell’odierno
Michigan, ad esempio, era un importante centro di
scambi.
Inizio della
cultura del cavallo
Grandi cambiamenti nel vecchio sistema di vita erano
nell'aria delle pianure in questo periodo. Molte
nazioni pedestri di lingue diverse attraversarono
prima il fiume rosso (rosso per il sangue delle
battaglie intertribali), quello del nord naturalmente,
poi il Missouri; principalmente erano Cheyennes e
Sioux. Ad
est la “guerra del castoro” infuriava e si
spostava: gli Irochesi con armi da fuoco inglesi
cacciarono a est i Cippewa, che a loro volta spinsero
gli Ojibwa e questi spinsero i Sioux oltre il
Missouri.
I Sioux i Cheyennes prima di diventare cacciatori
nomadi a cavallo vivevano ai bordi della prateria,
seminavano in giugno il mais, abbandonavano il
villaggio per la caccia estiva al bisonte, tornavano
in autunno per il raccolto e ripartivano, sempre a
piedi e col solo aiuto dei cani, per la caccia
invernale.
Fu questo il periodo (1800) che le tribù popolarono le
pianure, attraversarono il Missouri e, grazie al
cavallo, poterono vivere libere a ovest di esso.
L'acquisizione di cavalli e fucili ruppe l'equilibrio
presente e aprì un periodo di orrore nelle pianure:
indiani più cavalli più armi da fuoco diventarono il
terrore delle tribù pedestri.
Ci volle circa una generazione perché il clima si
facesse meno rovente, ossia il tempo necessario
affinché il cavallo si diffondesse in tutte le tribù
delle praterie. Fu allora che il cavallo contribuì ad
addolcire le
abitudini e i modi di vita indiani e permise di
sviluppare la
loro l'innata primitiva vena poetica. Siamo arrivati
al 1800, data in cui si può affermare che l'arte e la
cultura equestre erano state assimilate da tutti i
pellerossa arrivati nelle pianure.
Gli antropologi hanno idee diverse sulle conseguenze di
questa acquisizione.
G. Roe, ad esempio, afferma che il cavallo non modificò
il modo di vita indiano; secondo lui, dopo
l'acquisizione, gli indiani fecero le stesse cose di
prima, solo su più larga scala, in altre parole
divennero più nomadi, più cacciatori, più
guerrieri.
James Mooney scrive invece che l'indiano da essere
spaurito, affamato e sempre nascosto nei boschi, si
trasformò, grazie al cavallo, in un intrepido
cacciatore nomade di bisonti, capace di procurarsi in
un sol giorno cibo per sostenere la famiglia tutto
l'anno, libero di spaziare nelle pianure, durante le
spedizioni di guerra, per migliaia di miglia.
Denhart scrive invece che gli indiani da un povero
gruppo sedentario divennero nomadi intrepidi e liberi
con una mobilità di tipo arabo, ma in una diversa
struttura sociale.
George Bent racconta che il cavallo rese i Cheyenne uno
dei popoli più fieri e indipendenti che mai siano
esistiti sulla faccia della terra. Noi la pensiamo
come lui.
Il cavallo, che i Sioux chiamavano shunka wakan,
cioè “cane del mistero”, fece progredire talmente
la vecchia cultura fino a travolgerla creandone
una nuova. Da questo momento tutte le tribù delle
pianure, dai Comanche ai Piedi Neri, divennero simili
dove prima erano differenti e le danze, soprattutto
quella del sole, ne costituiscono la prova etnografica
più tangibile. Era la cultura del cavallo
Finimenti
Le tribù che vivevano a sud del Canadian avevano
un'attrezzatura che ricordava quella spagnola e
moresca; molti dei cavalli acquistati dai Comancheros
avevano finimenti originali, e man mano che si
logoravano, le parti consumate venivano sostituite con
manufatti indigeni, di solito in pelle cruda.
Verso nord le selle e le briglie si riducono di
dimensioni e diventano cuscini, fino a scomparire
quasi del tutto a nord del Nord Platte. Quello era il
territorio di caccia delle selvagge bande Lakota,
degli Cheyennes, degli Araphaos e dei Corvi, le prime
tre tribù alleate contro tutte le altre nazioni
indiane. Nemici tribali atavici erano i Piedi Neri,
gli Shoshone, gli Assinibone e tanti altri.
Questi nomadi, variopinti guerrieri, esclusivamente
cacciatori di bisonti dovevano aver le mani libere
quando cavalcavano: mani
per tirare con l'arco sia nella caccia che in
guerra. Legavano solo una striscia di pelle cruda alla
mandibola inferiore del cavallo; questa striscia era
lunga, passava tra la groppa e la coscia destra del
cavaliere, strisciava per terra per permettere di
afferrarla e riprendere il destriero se il cavaliere
cadeva.
Per la caccia erano particolarmente apprezzati i
Mustang in quanto pascolando fin da puledri con i
bisonti non li temevano. I Mustang venivano catturati
alla fine dell'inverno quando non erano in forma e
quindi di facile cattura.
I Cheyennes legavano i musi di questi bronchos alla
coda delle vecchie giumente, stavano così finché non
si abituavano agli indiani, venivano poi domati con
l'aiuto della solita corda, stavolta usata come
capezzone.
Cavalli in guerra
Mentre gli studiosi, come si è visto, hanno pareri
discordi sulle modificazioni avvenute con
l'acquisizione del cavallo per quanto riguarda la
caccia, la struttura sociale e il nomadismo, sono più
unanimi per
quanto concerne la guerra.
Il cavallo incoraggiò ovunque la propensione già di
per sé bellicosa delle tribù delle pianure.
Possiamo
dividere questo fenomeno in due periodi: il primo,
fino al 1850 caratterizzato da conflitti intertribali;
il secondo, drammatico, dal 1850 a Wounded Knee,
quello della guerra contro i bianchi. Durante il
periodo del conflitto inter tribale il cavallo non è
solo il mezzo ma anche il fine della guerra stessa.
Nella scala “di valore”, o dei punti, stava al
primo posto un cavallo rubato senza ucciderne il
proprietario, veniva poi il riprendere al nemico i
cavalli rubati, solo al terzo posto era contemplato lo
scalpo dell'avversario ucciso, a condizione che fosse
in combattimento corpo a corpo; era il vincitore chi
toccava il corpo dell'avversario per primo e non chi
scoccava la freccia o, peggio ancora,
uccideva con armi da fuoco.
Il furto dei cavalli divenne scienza nelle pianure e
spiega anche il basso numero di vittime nonostante il
continuo stato di guerra o di tregua armata, cioè il
periodo più tranquillo che caratterizzava la pace
indiana.
Il cavallo da guerra era il prediletto, il più veloce,
non stava mai fermo per non essere colpito, non
nitriva mai e non si lasciava montare da altre
persone. L'addestramento era individuale. A questo
cavallo veniva passata una corda di crine intorno al
collo, legata alla criniera per permettere al
cavaliere di scivolarvi dentro e sparare o tirare di
freccia da sotto la testa; per risalire si metteva un
piede sull'anca del destriero galoppante e così si
tornava in groppa. Cosa
più facile da scrivere che da fare.
Durante la marcia di avvicinamento, che poteva durare
anche alcune settimane, cavalcavano un cavallo normale
per non consumare le unghie del destriero, che veniva
montato soltanto nell’azione vera e propria.
Era usanza durante le spedizioni di guerra annodare le
code a tutti i cavalli che vi partecipavano.
Molti indiani per indurire lo zoccolo facevano bruciare
dell'artemisia e applicavano la cenere sopra i fettoni.
In
questo periodo l'indiano si trovò davanti un
animale sconosciuto, veloce e più grosso di lui
e così lo accettò. L'indiano non aveva
complessi di superiorità verso le cose che lo
circondavano, fossero volatili, quadrupedi o
bipedi, le osservava e le amava e di conseguenza
conosceva bene i segreti e le abitudini degli
animali, molto meglio di come non li conoscano
oggi gli animalisti; per loro era vita quello
che per questi è oggetto di studio. Ecco
spiegato come una massa di uomini, donne e
bambini poterono acquisire la cultura equestre
diventando cavalieri in breve tempo.