Il termine trekking è ormai entrato nel linguaggio
comune. Ma quanti sanno quale sia l'effettivo
significato di questa parola? Viene spesso
utilizzato come sinonimo di escursionismo (tanto
è vero che su alcune enciclopedie multimediali
digitando trekking si viene rimandati a
escursionismo) ma con questo non ha niente a che
fare, o meglio, molto poco. L'obiettivo di
queste poche parole è quello di provare a fare
chiarezza su questo argomento.
A cavallo tra gli anni '30 e '40 del XIX secolo
migliaia di boeri, intorno a 12.000, si
spostarono dai territori del Capo di Buona
Speranza verso quella che ora è la parte più a
nord del Sudafrica: il Nataal, le province di
Transvaal e lo stato libero di Orange. Questa
migrazione ebbe origine dall'emancipazione degli
schiavi da parte degli inglesi e dalla
restituzione alle tribù delle terre sul confine
della Colonia del Capo.
I Boeri, la maggior parte dei quali di origine
olandese, si mossero verso nord per fuggire dal
dominio coloniale britannico. Questo viaggio dei
Voortekkers (pionieri in lingua africaans) prese
il nome di “Great Trek”, o per dirlo in
italiano “Grande Trek”.
Ecco dunque spiegata la derivazione del termine
trekking. Ancora oggi se andiamo a cercare su un
dizionario di inglese il suo significato
troviamo: viaggio con animali da soma, in
condizioni disagiate, talvolta su terreni
sconnessi; oppure viaggio lento e faticoso
talvolta su carri.
Potrebbe essere un ottimo sinonimo di escursionismo non
fosse per quel piccolo particolare degli
“animali da soma” che ormai non vengono
quasi più utilizzati. Dico quasi perché c'è
ancora qualcuno che intraprende davvero un
trekking: chi mette la sella o il basto al suo
cavallo, mulo o altro quadrupede e parte per una
meta più lontana che vicina.
A questo proposito è bene fare un po' di distinzione
perché è uso comune indicare con la parola
trekking ogni qual volta si esca a cavallo. Non
tutti sanno che esistono termini appropriati per
ogni uscita e che questi dipendono dalla durata,
dalle finalità, dalla presenza o meno di un
servizio logistico.
Un'uscita che dura da qualche ore a due giorni è
identificabile con il “passeggiata” o
“escursione”. Sono proprio le passeggiate le
uscite più gettonate nei maneggi che praticano
l'equitazione di campagna.
Ben altro affare sono le spedizioni e i raid. Sono
questi trekking molto impegnativi, sprovvisti
nella maggior parte dei casi di servizio
logistico. Si differenziano tra loro per le
finalità.
Le spedizioni hanno carattere prevalentemente
esplorativo e ricognitivo. Si partirà per una
spedizione ad esempio per verificare l'agibilità
di un percorso e le modifiche che sono state
eventualmente fatte qualora non si passi da
lungo tempo su un sentiero. Sono consigliate
quando si ha in previsione di guidare un gruppo
di cavalieri su percorsi conosciuti ma non
battuti di frequente.
Di raid non se ne fanno ormai più. E' un termine di
origine inglese che indica le incursioni a
carattere militare. Ma ormai le cavallerie
esistono più per finalità di rappresentanza o
sportive che operative.
Quando nel 1800 nelle pianure americane si incontravano
delle bande di indiani era possibile sapere se
fossero in spedizione o se stessero facendo un
raid osservando le code dei cavalli: nel primo
caso le code erano legate, nel secondo no. Erano
frequenti tra gli indiani i raid per rubare i
cavalli alle tribù nemiche. Ecco perché i
cavalli migliori la sera erano portati al centro
dell'accampamento invece di essere lasciati con
le mandrie al pascolo.
E' opportuno fare un'ulteriore distinzione per quanto
riguarda i rally.
Soprattutto a cavallo tra gli anni '80 e '90 del secolo
scorso centinaia di cavalieri si radunavano per
viaggiare una settimana. Erano caratteristici
nel sud della Francia e venivano organizzati
alla fine della stagione estiva quando i
maneggi, impegnati tutta l'estate con le attività
turistiche, accoglievano persone e caricavano i
cavalli sul van per incontrare altri cavalieri
provenienti da tutta la Francia.
Lupo Luzi raccontava che ai suoi tempi i rally con
l'ANTE francese radunavano 350 cavalieri che
attraversavano la Provenza da Gap a Sisteron in
sette giorni. Erano gli anni di Henry Roque e
Giorgio Luzi.
I rally erano sempre appoggiati da un servizio
logistico che portava l'equipaggiamento dei
partecipanti.
In Italia negli ultimi anni hanno preso piede i raduni,
che ai rally francesi si rifanno in parte. E'
brutto notare però che si si sta perdendo la
caratteristica equestre e che invece si tende a
valorizzare l'aspetto aggregativo e soprattutto
culinario. Il cavallo e l'andare a cavallo
spesso non sono più il fine ma il mezzo per
mangiare e bere in compagnia. Mi hanno
raccontato di un raduno equestre in cui i
cavalieri , se così si possono chiamare, sono
partiti dalla scuderia, hanno cavalcato per 5 km
su asfalto
per arrivare in centro al paese dove
hanno legato i cavalli per prendere l'aperitivo.
Usciti dal bar sono rimontati in sella per
tornare dalla stessa strada dell'andata e
sedersi a un tavolo per mangiare e far festa
fino a sera.
A noi piace andare a cavallo e vivere con il cavallo
perché il cavallo ci rende liberi, portandoci
attaccato alla sella tutto l'equipaggiamento
necessario per non essere legati a un servizio
logistico, badando solo alla strada che abbiamo
davanti e alle esigenze del nostro cavallo.
Questo non sempre è possibile e quindi talvolta
ci avvaliamo di un mezzo di appoggio,
soprattutto quando stiamo via più giorni e ci
sono persone alle loro prime esperienze di
trekking.
Luca
Zignin
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