PRIMA ESPERIENZA PROFESSIONALE DI UNA GUIDA A CAVALLO

Qualche hanno fa partecipai ad un corso organizzato dalla Regione Piemonte per accompagnatori di turismo equestre. Dopo averlo superato (era un corso serio non una delle solite buffonate) ottenni la licenza d’uccidere, cioè di poter esercitare la professione. Così ho cominciato a guardarmi intorno in cerca di preda.

Nel dicembre del 2007 ero da poco tornata da Canterbury quando si presentò l’occasione di organizzare due trekking di 3 o 4 giorni, da effettuare sulle montagne nostre nell’arco dell’estate successiva, ai quali avrebbero partecipato tre persone.

Incontrai Alberto, Giovanni e Luisa in una di quelle fredde sere d’inverno, a cena in un agriturismo. Chiesi che caratteristiche avrebbero dovuto avere le due escursioni, dicendo che avrei fatto il possibile per andare incontro alle loro esigenze.

Mi dissero che avrebbero voluto attraversare una zona montuosa, possibilmente partire da un punto e arrivare ad un altro, evitando un percorso circolare per gustare l’idea di avere una direzione da seguire. Per cene e pernottamenti era preferibile appoggiarsi ai rifugi. Aggiunsero che avrebbero pensato loro al trasporto dei cavalli al luogo della partenza e dal luogo di arrivo a casa, aspetto che non destava alcuna preoccupazione. Durante la piacevole serata mi chiesero di raccontare il viaggio appena concluso, dimostrandosi entusiasti all’idea di trascorrere qualche giorno in montagna a cavallo.

Ci salutammo con strette di mano, guardandoci negli occhi e dandoci appuntamento ad un successivo incontro.

Studiai tre itinerari, con difficoltà diverse, a seconda del numero di pernottamenti e dal tipo di montagne attraversate e li proposi loro.

Erano trascorsi tre mesi. Le prime foglie si schiudevano sui rami degli alberi.

Ci incontrammo nuovamente al solito agriturismo per concordare le date del primo e del secondo viaggio. Dissi loro come equipaggiarsi, spiegai i tipi di terreno, e li rassicurai per quanto riguardava i cavalli. Come si sa i cavalli hanno mille problemi in meno dei cavalieri.

Sembravano davvero entusiasti.

Alberto mi invitò alcune volte al bar del paese, ben fornito di cartine dettagliate era curioso di sapere ogni particolare relativo alle due uscite. Avendo già un lavoro, gli chiesi se fosse sicuro che saremmo partiti, in quanto avrei dovuto chiedere alcuni giorni di ferie. Lui insisteva dicendomi che non vedeva l’ora che arrivasse la terza settimana di giugno, quando si sarebbe svolto il primo trekking. E anche i suoi due amici fremevano di impazienza. Si rimanda, diceva, solo in caso di forti piogge.

Verso fine maggio feci una ricognizione nella zona che avremmo attraversato, e telefonai ad Alberto per l’ultima conferma. Mi disse che Giovanni forse avrebbe preferito spostare la partenza di una o due settimane, cosa per me possibile, ma che alla fine la data prefissata andava bene e che era tutto ok. Prenotai quindi i pernottamenti ai rifugi.

Dieci giorni prima della partenza, non so perché, cominciai ad avere la strana sensazione che il tutto sarebbe saltato.

Alberto mi telefonò un pomeriggio dicendomi che il cavallo di Luisa aveva avuto un problema, ma che lei si sarebbe fatta prestare un altro cavallo. “E Giovanni? E’ ancora d’accordo con la data?” Mi disse che non l’aveva più sentito ma che dava per scontato che non ci fossero problemi.

Una settimana prima di partire Alberto mi telefonò dicendomi che il trekking era sospeso, in quanto Giovanni era semi sparito e Luisa aveva cambiato idea o non era riuscita a trovare un altro cavallo, non ricordo. Aggiunse, direi sottovoce, che si sarebbe fatto sentire per il secondo appuntamento fissato.

Gli dissi che se gli altri due avevano dei problemi e lui invece era ancora dell’idea di andare, si sarebbe potuto rivolgere all’Alpitrek, che proprio nella data in cui noi saremmo dovuti partire organizzava un’uscita di due giorni alla quale, visto la semplicità e la spettacolarità del percorso, per lui sarebbe stato l’ideale partecipare, anche perché si svolgeva in un luogo che avrebbe potuto facilmente raggiungere con il suo trailer. Lui sembrava voler cambiare discorso, non capivo perché ma la voglia di andare tanto chiara durante i nostri incontri invernali sembrava essersi sciolta insieme alla neve.

Non l’ho mai più visto né sentito.

Chiamai i rifugi scusandomi di dover disdire le prenotazioni. Ebbi l’impressione che non erano stati inconvenienti tecnici a fare andare in fumo il programma, altrimenti l’entusiasmo non avrebbe accettato di farsi imbavagliare e se ne sarebbe riparlato.

Al caldo di un bar, con una buona cioccolata calda davanti, è bello sognare delle verdi montagne, del bel sole estivo che accarezza i laghi alpini, è bello lasciarsi trasportare dall’emozione.

Ma al momento di sellare ecco arrivare tutte le titubanze dettate dalla razionalità respirata nei maneggi coperti. E’ in quel momento che si vede se si è pronti a mettere in gioco le proprie fantasie al fine di vivere un’avventura, è in quel momento che l’avventura fa affiorare il dubbio di non amarla poi così tanto. E’ in quel momento che si rischia di perdere l’occasione di sentire che staccarsi dalla routine, sellare e andare significa vivere un istante di libertà, un istante che riecheggia poi per giorni.

p.s.  

A 2500 metri non arriva la nebbia grigia delle città, i corvi imperiali planano a fianco del cavaliere che con la gamella calda in mano osserva le cime e le valli sotto di lui.
Forse ha rinunciato ad una grigliata in compagnia, forse è umido di pioggia, forse il sole gli ha cotto la pelle, ma non vorrebbe essere in nessun altro posto, perché laggiù la sete di quello stare lassù col proprio cavallo sarebbe implacabile.

Arianna Corradi