RESPONSABILITA’ PER DANNI DERIVANTI DALLA PRATICA DELL’EQUITAZIONE

Responsabile è, nell’accezione comune del termine, il “colpevole” di qualche evento spiacevole, colui che con il suo comportamento, più o meno direttamente ha arrecato disagio o danno ad altri. L’andare a cavallo, o meglio ancora l’utilizzo del cavallo, ma anche il solo rapporto con tale animale possono essere l’occasione per il verificarsi, malauguratamente, di eventi dannosi, molto spesso di lieve entità, ma in alcuni casi, purtroppo, anche più gravi (il morso, il calcio, la caduta, la fuga dell’animale). Tali situazioni possono avere conseguenze giuridiche, prima fra tutte l’essere chiamato a rispondere del danno arrecato  all’integrità fisica di terze persone o a loro beni.

LA RESPONSABILITA’

Il diritto distingue tra responsabilità penale e responsabilità civile. La prima sorge in capo a chi adotti comportamenti specificamente individuati e vietati dalla legge penale sia intenzionalmente (commissione di reati dolosi), sia senza volerlo (commissione di reati colposi). Tralasciamo senz’altro la prima fattispecie, ma riflettiamo un attimo sulla seconda: il fatto che il mio cavallo possa sfuggirmi di mano in prossimità di una strada e, attraversandola, creare un incidente nel quale qualcuno può ferirsi, mi espone al rischio – penale – di essere chiamato a rispondere del reato di lesioni personali colpose (art. 590 cod. pen.), oltre che di omessa custodia e malgoverno di animali (art. 672 cod. pen). La prima di tali norme infatti prevede che “Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con….”. Rischierò pertanto fino a tre mesi di reclusione o, per lo meno, il pagamento di una sostanziosa multa.

Per responsabilità civile si intende l’obbligo di risarcire i danni derivanti da un mio comportamento “colposo”, dovuto cioè a negligenza, imprudenza, imperizia, anche se non specificamente classificato come reato dalla legge. Per tornare all’esempio di prima, se la fuga del mio cavallo si conclude in un campo di grano io sarò chiamato a risarcire i danni derivanti dall’aver l’animale calpestato il terreno e mangiato le pannocchie. In molti casi le due forme di responsabilità coesistono: il colpevole del reato di lesioni personali è infatti anche tenuto a risarcire il danno arrecato. Tralasciamo ogni approfondimento di natura penalistica e proseguiamo il discorso nell’ambito della responsabilità civile, anche in considerazione del fatto che l’interesse prevalente di eventuali danneggiati sarà quello non di vedere andare in prigione il colpevole, trattandosi di eventi verificatisi in fin dei conti per mero accidente, ma quello di vedersi risarcire il danno economico subito. La responsabilità civile, a sua volta, si distingue in “contrattuale” (ho pattuito di adempiere ad un determinato obbligo, non lo faccio e ciò arreca un danno alla controparte) ed “extracontrattuale”, cioè derivante dalla Legge. Tralasciamo ancora una volta l’argomento di minore interesse rispetto all’uso del cavallo e concentriamoci sulla seconda tipologia: la responsabilità extracontrattuale. La Legge, nella specie il Codice civile, prevede una ipotesi “generica” di responsabilità (la responsabilità cosiddetta “Aquiliana”) e varie ipotesi più specifiche, almeno due delle quali riguardano proprio direttamente la pratica equestre.

LA RESPONSABILITA’ “AQUILIANA” (ART. 2043 Cod. Civ.)

L’Istituto antichissimo della responsabilità civile (detta Aquiliana dal Tribuno romano Aquilio che ne è considerato il padre) costituisce il principio generale della responsabilità civile da fatto illecito ed è contenuto nell’art. 2043 del Codice Civile secondo il quale “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”. Il concetto è chiarissimo, sintetico, sacrosanto. Possono però in pratica verificarsi dei casi nei quali lo svolgimento dei fatti è più complicato della lapidaria previsione dell’art. 2043. Che succede se  il fatto illecito è “commesso” dal mio cavallo che morde o scalcia, o da mio figlio che, improvvidamente gioca con la fionda o da un mio dipendente che arreca un danno nell’esercizio delle incombenze che gli ho affidato? Chi è in realtà il colpevole, cioè il responsabile obbligato a risarcire il danno? Io in quanto padrone del cavallo oppure il gestore del maneggio al quale l’ho affidato? Se mio figlio gioca con la fionda a scuola anziché a casa ne rispondo sempre io o è più giusto che la responsabilità ricada sugli insegnanti? Alcuni degli articoli successivi al 2043 del Codice Civile intervengono a disciplinare una serie di ipotesi specifiche: “Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d’arte (insegnanti)” (art. 2048 Cod. Civ.), “Responsabilità dei padroni e dei committenti” (art. 2049), “Responsabilità per l’esercizio di attività pericolose” (art. 2050), “Danno cagionato da cose in custodia” (art. 2051), “Danno cagionato da animali” (art. 2052).

Almeno due degli articoli sopra citati (quello relativo all’esercizio di attività pericolose e quello riguardante i danni causati da animali) meritano un approfondimento, essendo perfettamente attinenti ai pericoli derivanti dalla pratica dell’equitazione. Prima però di addentrarci nell’esame di tali norme, ricordiamo che la responsabilità civile, così come prevista dall’ art. 2043 fissa, per così dire a monte,  dei concetti generali.

CONCETTO DI COLPA

Il danno, escludendo le ipotesi di dolo, deve derivare da un comportamento colposo. Si intende per colpa in senso giuridico-civilistico un comportamento improntato a negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di norme. E’ bene tenere a mente tale concetto, perché a proposito dell’individuazione della responsabilità per i danni causati da animali, tale principio viene superato, come vedremo analizzando l’art. 2052 Cod. Civ.

NESSO CAUSALE

Tra il comportamento del responsabile e il danno cagionato vi deve essere un rapporto di causa-effetto, in senso tecnico e provabile secondo la normale esperienza, nonché una consequenzialità diretta. Ad esempio io potrò certamente chiedere la rifusione dei danni arrecati alle mie coltivazioni danneggiate da un cavallo che vi ha pascolato dopo essere sfuggito a chi ne aveva la sorveglianza, ma se, avvertito della circostanza, con l’intento di cacciarlo dal mio terreno salgo sull’auto e per la fretta ho un incidente, non potrò certo chiedere il risarcimento dei danni arrecati alla mia vettura, non essendoci un rapporto diretto tra il fatto illecito (presenza del cavallo) e danno, ma solo una consequenzialità indiretta. Avrei potuto benissimo evitare l’incidente se avessi guidato con maggior cautela.

Tale principio non conosce deroghe.

RAPPORTO DI TERZIETA’

Il danno, perché nasca il diritto al risarcimento deve essere cagionato ad “altri”, cioè a terzi. In pratica poiché il risarcimento mira a reintegrare, con una somma di denaro, il patrimonio del danneggiato, perché ciò avvenga è evidente che vi deve essere una completa autonomia tra i patrimoni di chi ha causato e di chi ha subito il danno. (Se il mio cavallo calpesta il mio orto, non potrò certo chiedere i danni a me stesso!). Tale principio, apparentemente banale, dovrà essere tenuto presente quando parleremo dell’art. 2052.

COLPA CONCORSUALE E DANNO “INGIUSTO”

Il comportamento del danneggiato può limitare o addirittura escludere il diritto di quest’ultimo ad essere risarcito. Si pensi per esempio ad una fila di cavalieri in marcia: se un cavaliere, benché più volte redarguito ed avvertito del pericolo si avvicina troppo al cavallo che lo precede, fino a provocarne la reazione, si potrà ben dire che ha concorso egli stesso a determinare i danni in caso venga raggiunto da un calcio. Avrà pertanto diritto ad un risarcimento in forma limitata. Così pure il ladro che si introduca in una scuderia dopo averne forzato i cancelli sarà responsabile dei danni che uno degli animali custoditi all’interno può procurargli.

DANNO CAGIONATO DA ANIMALI (ART. 2052 Cod. Civ.)

Esaminiamo adesso la norma che più di ogni altra ci può riguardare: “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”.

La prima osservazione che è d’obbligo formulare è che nel caso di danno arrecato da un animale, si supera il concetto di responsabilità per colpa, a favore del più severo criterio della responsabilità “oggettiva”: in pratica io risponderò dei danni causati dal mio cavallo, non solo se per negligenza non ho chiuso la porta del box e l’animale è andato in giro arrecando danno, o se imprudentemente l’ho fatto montare da un cavaliere inesperto, o se, essendo incapace di fare un nodo ho permesso che si liberasse (imperizia), o se percorrendo una strada vietata al transito dei veicoli a trazione animale ho causato un incidente (inosservanza di norme), ma risponderò comunque dei danni arrecati, anche se nessun rimprovero può essermi mosso, avendo io agito con tutte le cautele del caso, per il semplice fatto di essere proprietario o utilizzatore dell’animale. Può intervenire ad esimermi dalla responsabilità solo il “caso fortuito”, cioè un evento “imprevedibile e non previsto”. Si tratta di un criterio di attribuzione della responsabilità particolarmente rigido, anche considerato che, secondo la Giurisprudenza, il “caso fortuito” può derivare solo da un fattore esterno o da un comportamento di terzi, compreso il danneggiato, non potendosi considerare tale il comportamento dell’animale. L’improvviso imbizzarrimento di un cavallo abitualmente mansueto non potrà quindi essere invocato come elemento idoneo ad escludere la colpa del proprietario.

Detto questo precisiamo un altro punto, ormai chiarito da chi si è occupato della materia: la responsabilità del proprietario rispetto a  quella dell’utilizzatore è alternativa, non solidale. Una volta accertato che responsabile è il padrone del cavallo, non sarà più chiamato a rispondere l’utilizzatore e viceversa. Qualora il proprietario avesse delle contestazioni da muovere dovrà a sua volta chiamare in giudizio chi aveva in uso l’animale, e fornire delle nuove prove per ribaltare la situazione.

Precisiamo inoltre che la qualifica di proprietario può essere accertata con qualunque mezzo, e può anche superare quanto risultante da eventuali documenti (c.d. anagrafe canina, passaporti degli equidi etc), dovendosi ricercare la qualifica di proprietario sulla base di indici di natura concreta, che evidenzino l’esercizio da parte di una o più persone di un potere di governo dell’animale.

Più complicato è stabilire chi sia l’utilizzatore dell’animale. L’opinione prevalente in materia è che per utilizzatore debba intendersi colui che dall’animale trae una utilità economica. Tale impostazione, senz’altro condivisibile qualora si pensi ad animali allevati per scopi produttivi, può far sorgere delle perplessità in relazione alla possibilità di “fare uso”, in senso pratico di un cavallo. In altre parole: è evidente che “l’uso” di una mucca ha solo finalità economiche, l’uso di un cavallo invece implica un potere di governo e di controllo dell’animale finalizzato allo spostamento, al diletto o allo sport. Secondo questa teoria l’attività di noleggio di cavalli sarebbe idonea a trasferire in capo al cavaliere la responsabilità per danni causati dal cavallo, pur mantenendo il proprietario il beneficio economico derivante dall’animale. Attenzione però: ciò può avvenire non qualora si tratti di una lezione di equitazione all’interno di un maneggio nella quale si eseguano le istruzioni impartite da un istruttore, o di un’uscita su un percorso usualmente praticato, in fila indiana, con una facoltà di controllo del cavallo da parte di chi lo monta assai limitata, ma qualora si realizzi l’ipotesi di un affidamento dell’animale ad un cavaliere già esperto per la partecipazione a competizioni o a passeggiate all’esterno del maneggio, con possibilità di allontanarsi dal gruppo, o comunque di esercitare delle manovre in autonomia. Questa ipotesi, accolta in un paio di casi dalla Giurisprudenza, ha due evidenti e significative conseguenze: la prima è che la responsabilità in caso di danni a terzi arrecati dal cavallo non graverà sul proprietario, ma sull’utilizzatore, la seconda è che chi ha in uso il cavallo non è terzo rispetto a sé stesso, e non potrà pertanto chiedere alcun risarcimento al proprietario in caso, ad esempio, cada rovinosamente dall’animale.

Utilizzatore, e pertanto responsabile al posto del proprietario, in sua assenza, è il gestore del maneggio, in caso di cavalli “in pensione” presso i circoli ippici, poiché costui trae dalla custodia dell’animale un utile economico e per di più ne ha anche il controllo di fatto. Oltre che dei danni arrecati dall’animale a terzi i circoli ippici che esercitano l’attività di “pensione cavalli” (a pagamento) risponderanno anche dei danni subiti dagli stessi animali a loro affidati, in base ai principi sulla “responsabilità per custodia” (art. 2051 Cod. Civ.).

RESPONSABILITA’ PER L’ESERCIZIO DI ATTIVITA’ PERICOLOSE (ART. 2050 Cod. Civ.)

Un’altra disposizione, contenuta nel Codice Civile, che può essere applicata ai danni derivanti dall’uso del cavallo è l’art. 2050: “Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento se non prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno”.

Come si può notare – paradossalmente – la responsabilità per danni cagionati nell’esercizio di attività pericolose è meno gravosa di quella derivante dall’art. 2052 (Danno cagionato da animali). Infatti, se il proprietario o l’utilizzatore rispondono sempre del danno arrecato, chi esercita un’attività pericolosa può evitare di essere costretto a risarcire i terzi danneggiati se prova di “avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno”. Ma può la pratica dell’equitazione considerarsi una attività pericolosa? Sintetizzando al massimo tutte le teorie sorte in merito, diremo che: l’attività di gestione di un maneggio, la  pratica dell’equitazione “in campo”, e perfino le passeggiate in campagna non sono da considerarsi attività pericolosa. Sono state considerate attività pericolosa le lezioni di equitazione impartite ad allievi giovanissimi, o particolarmente inesperti (principianti), privi delle conoscenze e delle possibilità pratiche di controllare sufficientemente le reazioni dell’animale. E’altresì pericolosa l’attività di doma di puledri. In tutti gli altri casi l’eventuale pericolosità può derivare da un impiego strumentale dell’animale nello svolgimento di  altre attività, di per sé pericolose, nelle quali la circostanza di impiegare un cavallo, le cui reazioni possono essere impreviste, rappresenta un ulteriore pericolo. L’attività di trekking o di escursionismo alpino possono essere considerate pericolose, a maggior ragione lo saranno se svolte a cavallo. In caso si verifichino quindi dei danni a persone o cose estranee ai partecipanti al trekking, oppure ad un partecipante medesimo, il singolo cavaliere o l’organizzatore (o la “guida”) potranno essere chiamati a rispondere dei danni ex art. 2050, ma potranno liberarsi dalla responsabilità provando di avere posto in essere tutte le cautele che l’esperienza, il buon senso e la normale diligenza impongono. (Scelta del percorso, attività di ricognizione, rispetto dei tempi di riposo, verifica dei requisiti di idoneità dei partecipanti etc.).

CLAUSOLE DI ESONERO DA RESPONSABILITA’

E’prassi far sottoscrivere, presso i maneggi o i circoli ippici, prima della partecipazione a lezioni di equitazione o prima delle passeggiate all’esterno, delle dichiarazioni di esonero dalla responsabilità della struttura che gestisce la scuola di equitazione per eventuali danni subiti o arrecati dai cavalieri. Pur non mancando pareri contrari è ritenuto dai più, ed è anche opinione di chi scrive, che tali clausole siano assolutamente nulle, ai sensi dell’art. 1229 Cod. Civ. (“E' nullo qualsiasi patto preventivo di esonero o di limitazione di responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore o dei suoi ausiliari costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico). Ciò soprattutto con riguardo ad eventuali danni fisici, stante l’indisponibilità del diritto all’integrità fisica. A parte le considerazioni meramente tecnico-giuridiche, non si può negare che la sottoscrizione delle clausole in parola possa essere letta come il tentativo di legittimare atteggiamenti colposi o di leggerezza degli organizzatori dell’attività equestre, incentivando l’elusione di regole e trasformando una sana attività sportiva, al servizio del benessere psicofisico della persona, in una fonte incontrollata di pericoli.

Di nessun valore saranno soprattutto quelle dichiarazioni sottoscritte per praticare attività all’interno di un maneggio, sotto la guida di personale ed istruttori inseriti nella struttura sportiva, ancor più in considerazione della giovane età degli allievi. E’ inoltre da tenere presente che il recente “Codice del consumo” (D.lgs 6 settembre 2005 n. 206) ha sancito il diritto dei partecipanti alle lezioni di discipline sportive  a ricevere, in quanto “consumatori” un servizio “sicuro” e “garantito” ed ha altresì espressamente sancito (all’art. 36 comma 2 lett. a) la nullità “….delle clausole che (….) abbiano per oggetto o per effetto di escludere o limitare la responsabilità del professionista, in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da un’omissione del professionista”.

Si potrebbe ipotizzare la validità di clausole di esonero dalla responsabilità in caso di attività di equiturismo o trekking a cavallo, esercitata da cavalieri esperti, laddove si ravvisi il carattere di pericolosità oggettiva dell’attività. In tal caso la dichiarazione di ogni partecipante di assumersi la responsabilità dei danni che potrebbe subire o causare potrebbe valere come dichiarazione di accettazione di una particolare e consensuale ripartizione dei rischi.

Alla luce delle considerazioni espresse nei precedenti paragrafi, riteniamo che potrebbero essere ben più utili delle dichiarazioni scritte nelle quali l’utente dei servizi offerti dal circolo ippico attesta il suo grado di abilità nella pratica equestre (suffragandolo magari con attestazioni o brevetti posseduti) e nel quale viene descritta compiutamente l’attività che si andrà a svolgere (lezioni base, lezioni avanzate, attività di maneggio, escursioni all’esterno), sottolineando, qualora ne ricorrano gli elementi, la concessione dell’utilizzo “in autonomia” del cavallo, al fine di testimoniare, in caso di bisogno, la concessione in uso del cavallo al cliente, ed escludere così la responsabilità del proprietario.

CONCLUSIONI

Abbiamo cercato in queste poche pagine di tracciare un quadro generale delle principali norme di legge che disciplinano l’attribuzione della responsabilità derivante dall’utilizzo o dal possesso di un cavallo, cercando di capire come sono state applicate fino ad oggi dai tribunali e come sono state interpretate dagli studiosi.

Va ricordato che qualunque caso concreto è un episodio a sé, che può sfuggire alla interpretazione utilizzata per casi analoghi in considerazione di particolari condizioni di tempo,  luogo o circostanze dell’evento, della particolare gravità del danno cagionato o della presenza o meno di coperture assicurative a tutela di una o più  persone coinvolte nell’evento.

Stefano Ponga

 
PER EVITARE INCIDENTI LA COMPAGNIA MARCIA CON ORDINE OSSERVANDO IL MANTENIMENTO DELLE DISTANZE TRA CAVALLI.
LA GUIDA E ALLA TESTA, IL RESPONSABILE PROCEDE PER ULTIMO. 
LE DISGRAZIE POSSONO SEMPRE CAPITARE MA NON SI DEVONO OVVIAMENTE CERCARE.