Torino. 5 dicembre 1907. Muore Federico Caprilli cadendo da cavallo, mentre, al passo, provava un tranquillo morello. Una fatalità! Al Capitano, nel centenario della morte, sono state dedicate giornate di studio e sono stati pubblicati libri. Pochi in verità. Ma, si sa, in Italia si legge
poco! Recente invece è la pubblicazione de Le passioni del Dragone. Cavalli e donne. Caprilli campione della Belle Époque di Lucio Lami per le Edizioni Mursia di Milano.Non si tratta di una biografia romanzata, come si potrebbe dedurre dal titolo, ma la storia di un uomo che ha segnato, in modo indelebile, la storia dell’equitazione. Un personaggio ben conosciuto all’estero più che in patria dove si tende ad ignorare la memoria storica.Lucio Lami, con la sua consueta abilità di storico e di giornalista, presenta il capitano in una versione nuova: il suo non è un libro “tecnico” sul nuovo sistema di andare a cavallo ed affrontare gli ostacoli, ma il ritratto di un uomo fuori del comune, il simbolo di un’epoca magica: la Belle Époque. Il testo è arricchito da una quantità di fotografie “inedite”, tratte dall’album personale del Maestro. Un libro da leggere e da conservare gelosamente in biblioteca.
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E’ ormai
diventata una tradizione. Il sabato successivo
alla Fieracavalli di Verona la Fondazione Centro
Internazionale del Cavallo di Druento (To)
organizza un convegno sulla storia
dell’equitazione. L’argomento trattato nel
novembre 2009 riguardava “L’insegnamento
dell’Equitazione e della Veterinaria alla
Venaria Reale durante la Restaurazione”. Il
tema è stato circoscritto ad un preciso e
limitato periodo storico: la Restaurazione.
Pochi decenni, ma decisivi sia per quanto
riguarda la Veterinaria sia l’Equitazione.
Proprio a Venaria Reale vennero messe le basi
del nuovo metodo di andare a cavallo sviluppato
e codificato dal genio del capitano Federico
Caprilli, a fine secolo, a Pinerolo.
Durante la
Restaurazione, alla Reggia di Venaria Reale non
riprese la vita di corte del periodo
prenapoleonico. I saccheggi e le distruzioni
subite dal monumentale complesso resero molto
oneroso il restauro delle strutture ed ai Reali
piemontesi non apparve opportuno affrontare tali
spese, enormi, per il ripristino di una vita di
corte che ormai apparteneva al passato.
Le
Reggia venne quindi progressivamente dimessa dal
regio patrimonio e destinata a fini militari. In
questo contesto hanno vita due importanti
istituzioni legate al cavallo. Nel 1818 Vittorio
Emanuele I ricostituì la Scuola veterinaria e
nel 1823 Carlo Felice istituì la Regia Scuola
Militare di Equitazione.
Il convegno di
Druento ha offerto l’occasione di presentare
al pubblico di oggi un’opera quasi dimenticata
e poco conosciuta dagli stessi studiosi della
storia dell’equitazione italiana: il Nuovo
Trattato di Equitazione di Carlo Le Maire.
Carlo le Maire
era stato allievo , forse il migliore, di Otto
Wagner, il primo Maestro di equitazione presso
la Scuola di Venaria Reale. Questo protagonista
dell’equitazione italiana, a sua volta era
stato allievo delle Scuole tedesche dove era
impartito l’insegnamento classico, praticato
in secoli precedenti in tutte le accademie
europee sorte sulla scia delle dottrine dei
maestri italiani, napoletani in particolare, del
Cinquecento, diffuso all’estero attraverso la
Scuola francese. Wagner, arrivato ventenne in
Italia, non lasciò nessun scritto, ma il suo
pensiero è stato fedelmente trasmesso da Carlo
le Maire nel suo Trattato, pubblicato a Torino,
nel 1843, dalla Stamperia Sociale degli Artisti
Tipografi, in una modesta edizione, divisa in
quattro fascicoli.
L’insegnamento
di Otto Wagner si differenziò totalmente da
quello tradizionale: Abilissimo cavaliere egli
introdusse un sistema ragionato di istruire il
cavaliere ed ammaestrare i cavalli.
Egli ben convinto che “i cavalli
dovevano essere addestrati in modo da intendere
ogni cenno del cavaliere ed essere pronti ad
eseguirne le volontà”. Egli, come farà
Caprilli, montava personalmente i cavalli che
presentavano dei problemi “dando prova di
inarrivabile perizia sui cavalli difficili che
assoggettava interamente al suo volere e dai
quali otteneva le movenze le più eleganti”
scriverà Arrigo Bonacossa nella sua opera sulla
Scuola di Cavalleria di Pinerolo (Pinerolo
1930).
Wagner
introdusse nel suo insegnamento una serie di
innovazioni che fecero scalpore nelle alte
gerarchie militari legate alla tradizione, alle
antiche accademie di equitazione: abolizione
delle imboccature particolarmente costrittive,
eredità dei secoli precedenti, lavoro in
campagna, lontano dal chiuso delle cavallerizze,
salti, seppure secondo il metodo
“tradizionale”, impiego di nuove razze di
cavalli, più rinsanguati. Tutti principi che
vennero adottati ed ampliati dal piemontese
Carlo le Maire ed esposti nel suo scritto.
“Scopo
principale del trattato è la fedele esposizione
di quanto praticasi in questo Regio
Stabilimento” attesta l’autore nella
presentazione del lavoro. L’autore si rivolge
al cavallo ed all’equitazione militare, ma
attraverso una attenta lettura, il discorso può
essere trasferito ai giorni nostri,
all’equitazione sportiva.
Dal libro si
riscontra che i principi espressi, prima da
Wagner e poi proseguiti nella loro applicazione
da Carlo Le Maire, saranno ripresi fedelmente a
Pinerolo, dove la Scuola verrà trasferita nel
1849 e diverranno una realtà con la
“rivoluzione” di Federico Caprilli che
realizzerà e metterà in pratica quanto già
era stato intravisto e mai completamente messo
in opera a Venaria Reale , perché i tempi non
erano maturi e diverse erano le situazioni
storiche, prima da Otto Wagner, poi dal cavalier
Cesare Paderni, i grandi Maestri
dell’Equitazione italiana.
Le Maire
insiste, a più riprese, sulla necessità di
addestrare nel giusto modo i cavalli. “Con
l’addestramento, si legge nel Trattato, si
vincono il cavallo ramingo, si eccita il pigro,
si rallenta il focoso, e convenientemente
dirigonsi le forze del cavallo di difettosa
conformazione. Se poi la perizia del cavaliere
è necessaria per la conservazione delle forze
del cavallo… il di lui addestramento è
concorre non poco a quest’uopo, giacché
costituendolo in una passiva obbedienza ai
voleri di chi lo cavalca, questi più non
abbisogna d’impiegare modi ruvidi e mezzi
violenti che facilmente ne accelerano la rovina,
e per altra parte il cavallo, avendo imparato a
muoversi con agilità e sveltezza, minore è la
fatica che viene a provare nelle sue mosse
stesse…”. Caprilli realizzerà in pieno
questi concetti.
Trascriviamo
alcuni aforismi tratti dal trattato di le Maire.
Osservazioni sempre valide; non importa la
disciplina equestre praticata:
*”l’addestramento
è una necessità per tutti i cavalli”
*”l’addestramento
non solo costituisce il cavallo in condizione di
eseguire con precisione e sveltezza ogni sorta
di movenza di cui sia capace, ma ancora deve
costituire il cavaliere padrone delle di lui
forze, onde dirigerle secondo le proprie
intenzioni e che il morso altro non è che un
veicolo con cui questi comunica le sue volontà
al cavallo, quando trovasi in condizioni di
riceverle”
*”il
cavaliere… ricorre ai castighi facendone uso
con sobrietà”
*”non si
dovrà mai fare troppo frequentemente uso dei
castighi contro il cavallo, qualunque ne sia
l’indole, giacché essi o lo inaspriscono o
gli tolgono affatto la sensibilità”
*devesi
avvertire di
usare,, nelle prime volte che si fanno uscire i
cavalli in campagna, andature lente ed agire con somma moderazione con essi ogniqualvolta, per paura,
rifiutano di andare avanti o passare vicino a
qualche oggetto, altrimenti, a cagione del
castigo, potrebbero perseverare nei loro timori
ed il più delle volte diventare restii”
*”Il cavallo
sarà assai più obbediente all’azione della
mano, se la forza di questa gli è trasmessa
senza doloroso effetto”
Il libro
originale di Carlo Le Maire, oggi, quasi
introvabile, è facilmente leggibile negli Atti
del Convegno, pubblicati, per conto del Centro
Internazionale del Cavallo, dall’editore
Roberto Chiaramonte.
Mario Gennero
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