Mario
Andreis, l’istruttore che mi mise in sella nel
lontano 1991, ogni tanto mi diceva: “non sai
la fortuna che hai di montare in un centro serio
dove si hanno le idee chiare…”. Qualcuno
avrebbe potuto intendere quest’affermazione
come un voler tirare l’acqua al proprio
mulino, ma ho sempre avuto l’impressione che
quella fortuna, l’avessi avuta davvero.
Tra i
cavalieri, al giorno d’oggi, si assiste spesso
ad un groviglio di convinzioni, di teorie, nuove
o vecchie riciclate come fossero nuove, quasi
come se si dovesse per forza inventare sempre
qualcosa, come se la lunga tradizione equestre
del nostro paese non bastasse. Quanti cavalieri
non hanno idea di cosa sia l’equitazione,
quanti credono o hanno creduto di poter imparare
ad andare a cavallo in 20 lezioni, quanti non
hanno mai sentito parlare di Federico Caprilli.
Questo mi viene da pensare osservando e
ascoltando alcuni dei cavalieri che accompagno
in montagna e che arrivano da un po’ tutta
Italia, con il comun denominatore di avere, in
fatto di equitazione, le idee poco chiare e in
alcuni casi convinti invece di averle e di
poterle addirittura insegnare.
Ogni
anno, nel periodo di Natale, ho un tacito
appuntamento da Mario per la nostra consueta
chiacchierata annuale. Ricordo sempre con
affetto le lezioni nelle quali lui insegnava
prima il cavallo, poi l’equitazione, e un
po’ anche la vita. Quest’anno il discorso
scivola sull’attuale mondo dei cavalieri e gli
chiedo dunque cosa ne pensa.
Secondo
te, perché si vedono persone entusiasmarsi al
mondo del cavallo, e allo stesso tempo
stancarsene ben presto?
Noi,
come tutti gli esseri viventi, facciamo parte
della natura e per questo siamo attratti verso
gli animali perché è nel nostro DNA. In meno
di 50 anni però abbiamo perso tutte le
conoscenze acquisite nei millenni, a causa della
meccanizzazione, che prima venivano trasmesse
dal nonno, padre, zii. Il cavallo e gli altri
animali servivano per la sopravvivenza dunque
dovevano essere trattati come uno di noi, forse
meglio, perché a loro manca la parola e noi
esseri “intelligenti” dobbiamo interpretarli
con i segni che sono molti.
Per i
militari il cavallo era vita o morte, per questo
Caprilli ha studiato e interpretato il compagno
di vita (cavallo).
Di tutto questo alla massa è rimasto
solo l’attrazione.
Andare
a cavallo non sempre è visto come un punto di
arrivo dalle persone.
Ieri
alcuni cavalieri sono entrati a casa mia mentre
stavo guardando una ripresa di addestramento di
alto livello. Uno di loro ha detto “…allora
io non so andare a cavallo”, bene, positivo,
se non fosse che tale affermazione lasciasse
trasparire una certa demoralizzazione, non
l’entusiasmo di imparare al fine di
assomigliare ai migliori, ma l’assenza di
coraggio e di voglia di impegnarsi per arrivare
a raggiungere qualcosa.
Un
altro ha detto: “beh, certo che quei cavalli
sono ben addestrati...” chissà se mentre
guardava ha pensato che quei cavalli non
farebbero nulla se montati da persone che non
abbiano ore e ore e ore di passione e dedizione
nel loro dna, o che a forza di insistere ce le
abbiano messe loro, nel proprio dna.
(Mentre
parla va a prendere un libro, il cui autore ha
passato anche 18 ore al giorno a scrivere, a
battere i tasti della tastiera del computer.
Aveva un unico obiettivo: imparare a scrivere.)
“per raggiungere qualcosa bisogna perseverare,
al di là di tutto”.
Al
giorno d’oggi i giovani crescono in ambienti
lontani da quello agricolo dove l’essere umano
è in prima persona. A loro viene a mancare
l’imprinting che solo stando a contatto con la
natura si completa. Stanno seduti davanti ad un
computer, che ti permette di simulare una
battaglia di cui tu sei il guerriero
protagonista: l’idea di essere guerriero c’è,
ma manca ovviamente ciò che essa comporta. Poi
vanno in un maneggio, montano un cavallo
credendo di dominarlo come un computer.
Purtroppo è la realtà del mondo in cui viviamo
che ostacola, per paura, le esperienze fisiche,
ma è anche vero che, ribadisco, volere è
potere.
Prova
a pensare a cosa provi quando un cavallo in
passeggiata ad un certo momento decide di
tornare a casa, e con un bel dietro front parte
al galoppo a pancia a terra e ti fa ritrovare a
lui appeso cercando di non finire a terra. Quel
brivido ti trapassa per forza di cose da parte a
parte. E in quel momento, il momento, lo vivi.
Poi ti
può venire voglia di mollare tutto, oppure di
cercare di capire perché ciò è avvenuto.
E
tu, come hai imparato ad andare a cavallo?
Ad un
certo punto della mia vita comprai un cavallo e,
dopo una serie di disavventure decisi di
venderlo, non ne potevo più. Ma in
quell’attimo capii che c’è un unico modo
per imparare ad andare a cavallo: VOLERLO, e
montare, montare, montare.
In più,
capii che l’equitazione è l’arte di andare
a cavallo, e che un’arte va imparata, e non
improvvisata. Iniziai a leggere, a documentarmi,
ad andare a lezione, e ad un certo punto
incappai in un maresciallo di cavalleria che mi
mise sulla buona strada. E piano piano, a forza
di cadute e di voglia di rialzarsi, ho imparato
che bisogna rispettare e controllare
l’equilibrio del cavallo.
Senti
parlare di monta all’Inglese, monta Americana
ma non esiste ne l’una ne l’altra esiste
solo l’equilibrio del cavallo, la sensibilità,
la personalità, poi sta a te vestire
l’animale come più ti piace. E’ come se tu
vesti in blue jeans oppure in giacca e cravatta,
sei sempre tu, cambia solo l’abbigliamento.
Cavallo è e cavallo rimane.
Hai
avuto la fortuna di avere come istruttore un
maresciallo di cavalleria. Cosa ne pensi degli
istruttori di questi tempi?
Al
mondo d’oggi ho notato che il modo di
insegnare l’equitazione è cambiato.
Osservando
l’impostazione di alcuni cavalieri, si può
notare quanto il loro sia un assetto di difesa
nei confronti del cavallo, un assetto che ha
come obiettivo quello di consentire di rimanere
in sella al primo “brusco cambio di
equilibrio” o fermata del cavallo. Quello
dovrebbe essere un punto di arrivo, non di
partenza, e il fatto che invece si parta a volte
da lì (vedi gambe troppo avanti pronte ad
attutire una fermata improvvisa) porta il
cavaliere a non pensare a comunicare con
l’animale, bensì a difendersi da lui. A
difendersi da un qualcosa che non conosce, e che
in quel modo difficilmente arriverà a
conoscere.
A
volte gli istruttori non insegnano cos’è il
cavallo, il fatto che sia un animale da branco,
il fatto che una cosa è montare in maneggio, e
completamente un’altra è montare fuori, dove
il cavallo è nel proprio ambiente naturale, ed
è stimolato da mille istinti. I cavalli hanno
dei meccanismi che hanno poco a che fare con
quelli umani. Ma sembra invece una sorta di
“moda” quella di attribuirne loro.
Con i
cavalli, se si cercano scorciatoie o teorie che
si vuol far passare per “il loro bene” ma
che in realtà nascondono un qualcosa che calza
perfettamente con le nostre esigenze o con un
colmare forse un nostro vuoto, difficilmente si
potrà arrivare a sentire davvero il cavallo
quale animale che è.
Ma
perché succede questo?
Probabilmente
perché se un determinato allievo non ha la
costanza e la pazienza per arrivare a capire, e
dopo una caduta non ha il coraggio di rimontare,
con grinta ma umiltà, è più conveniente per
il centro ippico che a questi non capiti nulla,
e quindi gli insegna un metodo che lo farà
stare più o meno in sella, anche a costo di
allontanarsi dal concetto base
dell’equitazione.
Ad una
caduta, inoltre, spesso segue una denuncia,
circondata da assicurazioni latitanti, e da un
“aver ragione” sempre più difficile da
dimostrare.
Ma
se per imparare bisogna documentarsi e cercare
di capire, come si fa a sapere se uno dice una
fesseria o se ne sa davvero?
Purtroppo
per qualcuno che non è del settore da anni, è
sempre più difficile vederci chiaro: in giro
c’è gente che “insegna” senza avere una
cultura approfondita sull’argomento, o magari
sull’onda di una nuova tendenza, ma ai quali
non importa se poi ci sarà qualcuno che
seguendo i suoi consigli finisce appeso a
qualche albero disarcionato dal proprio cavallo.
E forse non se ne possono nemmeno rendere conto.
Ad
ogni modo, se qualcuno vuole imparare, e si reca
da una persona di fiducia, la riconoscerà
valida dal fatto che essa gli darà dei consigli
una volta soltanto: se sarà interessato vedrà
lui di seguirli. Non serve ripetere decine di
volte un concetto se chi lo ascolta non lo vuole
recepire. E, come si sa da sempre, chi meno
parla è chi ne sa di più.
A
proposito di teorie dubbie, com’è possibile
che la maggior parte dei cavalieri pensi che per
affrontare una discesa si debbano portare le
spalle indietro?
Federico
Caprilli lo spiegò molto bene, qual’è il
modo corretto per affrontare una discesa.
Caprilli
è arrivato a quella conclusione in conseguenza
al fatto che nella cavalleria, e quindi in una
ipotetica battaglia, affrontare una discesa nel
modo sbagliato poteva significare cadere al
fondo e magari morire, o danneggiare il cavallo
che poteva equivalere a morire. Non si poteva
dunque che affinare l’unico metodo che
permettesse al cavallo di scendere in
equilibrio, quindi in sicurezza, e continuare la
sua strada.
Mantenere
la posizione corretta, nelle discese, non è
facile, se perdi l’equilibrio puoi rischiare
di cadere in avanti… ecco spiegato il fiorire
di persone che per rimanere in sella buttano le
spalle indietro, e di chi addirittura fa passare
una propria incapacità come fosse un qualcosa
che aiuta il cavallo, come lo si facesse per il
bene suo, invece che proprio. Se poi dopo alcuni
anni il cavallo avrà dei problemi, purtroppo
accade che alcuni non capiscano nemmeno il perché.
O che non avvertano, troppo concentrati su loro
stessi, la mancanza di equilibrio nelle proprie
discese. Questo è il punto.
Cosa
vuol dire “andare a cavallo”?
E’
un qualcosa che arriva, come dicevo, solo grazie
a tanta pazienza e voglia di imparare. Inoltre
non ci si dovrebbe mai scordare che per quanto
impareremo, rimarremo sempre un qualcosa di
estraneo al cavallo. Lui rimane un animale, e
noi un altro animale che ci monta sopra. Cercare
la comunicazione, che è possibile solo grazie
ad un contatto ravvicinato con l’animale,
questo dovrebbe essere l’intento.
Cioè?
Come
dicevo, non è di moda la vita agricola, e se lo
è lo è fino a che non diventa reale, fino a
quando non si arriverà a casa con le mani
tagliate (non screpolate) dal freddo. Si vive
lontano dall’odore del letame del cavalli, si
trovano i loro zoccoli sempre perfetti perché
vivono in box di truciolo morbido e asciutto, e
non si devono ripulire dal fango. Si tosano i
cavalli e poi li si rimette nei box con due
coperte, poi si va a casa e non si sente la
scomodità di un oggetto estraneo come una
coperta di troppo per un cavallo su di se: e non
ci si rende conto, ancora una volta, di cosa sia
il cavallo. O si fa finta di non vedere che il
proprio amato starà in un box di 4 m x 4 per
altre 23 ore, lo si crede felice solo perché ha
una lettiera morbida, una coperta calda, del
buon fieno. Questo si arriva a pensare, se il
cavallo non si ha la possibilità di viverlo, di
osservarlo in un branco di suoi simili. E
purtroppo non è colpa di nessuno se il cemento
sta soffocando sempre più il mondo agricolo.
Il
cavallo talvolta diventa un po’ un oggetto, al
cui cuore difficilmente si arriverà, e non
stupitevi se quella che pensate sia la passione
per il cavallo, è in realtà passione per ciò
che lui evoca in voi, o per la gara, per il
risultato ad ogni costo. Non c’è nulla di
male in questo, ma nonostante ciò pochi lo
capiscono e lo ammettono.
Al Centro Ippico Andreis ho iniziato a montare a
cavallo, e mi rendo conto che è solo per questo
che la passione non mi ha mai lasciato, perché
iniziare a montare con un qualcuno che, ad
esempio, ti fa scendere da cavallo a metà
lezione, dicendoti di non rimontare fino a
quando non capirai che qualsiasi cosa il cavallo
“non fa”, la colpa è esclusivamente tua, è
stata un’enorme fortuna.
Arianna
Corradi
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